Palestrina

palestrina-9Palestrina  è un comune italiano di 21 661 abitanti in provincia di Roma. Il nome deriva dall’antica via romana Prenestina. Sorge sull’antica città latina Praeneste. Il santuario si colloca tra i capolavori dell’architettura romana di epoca repubblicana, influenzato, nella scenografica disposizione a terrazze, A partire dal Medioevo fu sede suburbicaria, con patrono sant’Agapito martire.

Attrattori ambientali

Sorgenti

Non lontano da Palestrina, l’antica Preneste e dal suo famoso Tempio della Fortuna, sede palestrina-19.jpgdi un oracolo tra i più frequentati della romanità, l’area protetta comprende il magnifico bosco delle Cannuccete. Lo compongono annosi esemplari soprattutto di aceri, cerri, carpini, scampati al taglio in virtù di un vincolo volto da secoli a proteggere alcune sorgenti, che grazie a un acquedotto in parte sotterraneo alimentavano Praeneste (da cui il nome dei locali monti Prenestini). I loro tronchi offrono rifugio al picchio verde e al rosso maggiore, al torcicollo, al picchio muratore, alle cince e ai rapaci notturni come l’allocco e l’assiolo. Una storia locale racconta che sotto una roverella colossale, vecchia forse di sette secoli, amasse sostare il musicista Pierluigi da Palestrina.

Il monumento naturale è solcato da alcuni sentieri tabellati.

Cenni storici

Palestrina è adagiata sul versante sud del monte Ginestro, uno sperone dei monti Prenestini, a 450 m. s.l.m.; è d’interesse notevole per la sua posizione, per la sua conformazione urbana e per i resti di un santuario pagano dedicato alla Fortuna Primigenia.download (2)
La leggenda la vuole fondata da Telegono, figlio di Ulisse, o da Prenesteo, nipote dello stesso; per Strabone è addirittura d’origine greca. I ricchi corredi tombali di proprietà dei Barberini e Bernardini attestano che agli inizi del VII secolo a.C. l’antica Praeneste era molto fiorente e in seguito fece parte della lega latina per contrastare la potente Roma, alla quale però nel 338 a.C. si sottomise diventandone alleata.  Conobbe alterni periodi di pace. Nell’82 a.C. subì il saccheggio di Silla, in marcia contro Mario che si trovava fra le sue mura durante le guerre sociali. Nel periodo imperiale fu luogo di villeggiatura (Augusto si fece costruire una villa ingrandita forse da Adriano), e vi fervevano attività diverse fra cui la produzione di oggetti bronzei, di sculture funerarie, di ciste, specchi ecc. Il santuario della dea Fortuna fu meta di pellegrinaggi almeno sino al 250 d.C.; la statua e la rinomanza del culto furono testimoniate anche da Cicerone, ma nel IV secolo il tempio fu probabilmente chiuso in conseguenza degli editti di Teodosio contro la cultura pagana.
Sul santuario abbandonato sorse la città prenestina che fu coinvolta nelle guerre di Roma contro Goti e Longobardi nel 792. Nell’873 si trova per la prima volta, in un codice di Farfa, la denominazione di “Palestrina”; alla fine del IX secolo avvenne la traslazione nel Duomo delle ossa di S. Agapito. Nel 970, dopo esser stata feudo dei Conti di Tuscolo, Giovanni XIII la concesse in enfiteusi alla senatrice Stefania. Nel XII secolo passò sotto i Colonna che, essendo ghibellini, ingaggiarono feroci lotte contro i papi fra cui Bonifacio VIII che prese la città, la distrusse e la riedificò nella pianura. Nel 1300 fu nuovamente distrutta da un incendio. Ne tornarono in possesso i Colonna, ma nel 1436 il cardinal Vitelleschi, sconfiggendo il fronte antipapale della nobiltà romana, costrinse Francesco Colonna a ritirarsi in esilio a Terracina e rase al suolo la città e la sua Cattedralepalestrina3 (1). Nicolò V restituì, dopo la sua ascesa, la proprietà ai Colonna che operarono per la sua ricostruzione. Nel 1630 Francesco Colonna la vendette per necessità a Carlo Barberini, fratello di Urbano VIII. I secoli successivi furono caratterizzati da una crescita civile ed economica interrotte da eventi naturali (terremoto del 1703) e, con alterne vicende, da scorribande di eserciti stranieri che a più riprese imperversarono nella provincia romana. Durante la seconda guerra mondiale, Palestrina subì pesanti bombardamenti che per contro favorirono il recupero e la liberazione di gran parte delle zone del tempio antico. Con Ostia, Frascati, Albano, Velletri, Porto (e Rufina) è una delle “diocesi suburbicarie”, di cui sono titolari sei cardinali vescovi. Palestrina inoltre, ha dato i natali al famoso Giovanni Pierluigi (1529-94) creatore della musica polifonica.

Tempio della Dea Fortuna

Una cinta muraria in opera poligonale risalente al VI secolo a.C. includeva l’abitato e l’acropoli (oggi Castel S. Pietro). I resti archeologici più significativi sono quelli del grandioso santuario della Fortuna Primigenia , uno dei luoghi di culto più importanti del mondo romano. Il santuario costituisce l’esito più straordinario dell’influsso di modelli architettonici dell’Oriente ellenico, caratterizzati da una scenograficadownload (1) monumentalizzazione del paesaggio. La datazione è fissata alla fine del II° secolo a. C. In posizione dominante sul Foro e sulla città, si articola su terrazze artificiali collegate da rampe e scalinate perfettamente assiali al tempio superiore e alla statua di culto, culminanti in un’ampia cavea, anticamente coronata da un portico e da un tempietto circolare, che rappresentava il centro ideologico di tutto il sistema. Le prime due terrazze, di cui la seconda munita di un portico colonnato e di cinque ninfei ad emiciclo, sono costruite da giganteschi muri in opera poligonale e separano il vero santuario dal cosiddetto “santuario inferiore” corrispondente in realtà al foro della città, collegato al complesso sacro da una serie di scalinate laterali, oggi non più visibili. Queste conducevano alla terza terrazza (la prima del santuario) e terminavano contro due esedre tetrastile munite di fontane, le vasche lustrali da cui aveva inizio il santuario vero e proprio. Ai lati delle due esedre sono stati scoperti vari ambienti decorati con pitture. Sulla terza terrazza è situata una gigantesca rampa doppia, costituita da due scalinate simmetriche, per metà coperte e per metà colonnate, al centro libere per consentire una visione prospettica della parte superiore. Si tratta in realtà di un portico colonnato, coperto a volta e decorato all’interno con semicolonne ioniche a capitelli inclinati. Il portico costituiva l’accesso principale al santuario e permetteva di raggiungere la quarta terrazza, che è la cosiddetta “terrazza degli emicicli”. Al centro di quest’ultima ha inizio una scalinata assiale che conduce ai livelli superiori; ai lati della scalinata sono due grandi emicicli (che danno il nome alla terrazza) affiancati da due serie di quattro ambienti per lato. Entro gli emicicli presumibilmente sedevano i fedeli in attesa di consultare l’oracolo.
download (3).jpgLa sede dell’oracolo, infatti, era proprio davanti all’emiciclo di destra, dove è stata rinvenuta una base di statua decorata con un fregio dorico, che doveva sostenere il simulacro della Fortuna con Giove e Giunone in grembo. Accanto al simulacro era, secondo Cicerone, il luogo di ritrovamento delle sortes; qui infatti è stato scavato un pozzo all’interno del quale sono stati scoperti i resti di un’edicola circolare e la testa della Fortuna. Si tratta di un monoptero di travertino con sette colonne corinzie su alto podio,decorato con fregio dorico. Il sacello serviva a ricoprire il luogo di ritrovamento delle sortes, ritenuto sacro.
La scalinata assiale situata al centro della terrazza degli Emicicli permette di accedere alla quinta terrazza detta “dei Fornici a semicolonne” perché caratterizzata da una serie di ambienti inquadrati da semicolonne ioniche. La terrazza degli Emicicli e quella dei Fornici costituivano il cosiddetto “santuario inferiore”. Segue la sesta ed ultima terrazza, quella “della Cortina”, che costituiva invece il “santuario superiore”. L’area era delimitata su tre lati da un doppio portico di colonne corinzie; il lato meridionale invece era aperto, in direzione del complesso sottostante. La parte centrale della terrazza era occupata a nord dalla cavea di un teatro, conclusa in alto da un portico a doppia fila di colonne. Al di sopra del teatro era il tempio di cui restano solo i muri di fondazione.
E’ questo il luogo sacro dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe trasudato miele; qui era l’altra statua di culto della Fortuna, ricordata da Plinio, che rappresentava l’aspetto giovanile e guerriero della dea, in contrapposizione a quello materno del santuario inferiore.

Villa di Adriano

Molti sono i resti delle ville romane sparse sul territorio prenestino, ma l’unica che conserva una certa maestosità e vastità è senz’altro quella di Adriano che sorge a fianco del cimitero, per la costruzione del quale furono abbattute molte strutture della villa.download (5) Da Svetonio sappiamo che Augusto fece costruire per sé e per i suoi successori la famosa Villa degli Imperatori dove rascorreva parte dell’anno. Incerta però fu la sua ubicazione, visto che nel seicento P. Volpi fece capire che questa era sotto il Casino di Campagna dei Barberini, detto il Triangolo per la sua forma particolare. Il Vescovo di Montalto Leonardo Cecconi ne individuò con perspicacia il sito esatto, sia basandosi su Aulo Gellio, che narra che Tiberio guarì da una grave malattia dimorando sotto Preneste e che Marco Aurelio, nel 170 d.C., qui perse il figlio di sette anni di nome Vero, sia sul fatto che in corrispondenza del luogo (cioè sotto Palestrina) ove sorge la chiesa rurale da sempre chiamata di S. Maria in Villa, vi sono dei grandi resti, in parte sotterrati, alla sinistra dei quali sorge ora il cimitero Pubblico stabilito nel 1860. La parte centrale, più conservata, è un grande download (4)edificio rettangolare con il muro in opera reticolata a legamenti laterizi del I-II secolo dell’impero, ed è divisa in tante aule minori della stessa forma. I bolli dei mattoni rinvenuti portano la data del terzo consolato di Serviano (a. 134), è certo quindi che la Villa Imperiale di Augusto fu restaurata ed abbellita da Adriano. Ad ulteriore conferma qui fu scoperta la statua di Antinoo suo favorito, durante gli scavi condotti nel 1793 da Hamilton.
Lo studioso afferma che “le rovine del palazzo mostrano un atrio maestoso e portici spaziosi e ancora resti degni di residenze destinate ad usi imperiali i quali si stendono nei terreni circostanti per circa un chilometro” . La statua di Antinoo fu venduta al pontefice Pio VI per il suo Palazza Braschi; Gregorio VXI la trasferì nel museo lateranense e Pio IX la fece collocare nella sala Rotonda del Museo Vaticano dove è attualmente. La statua era priva di manto (il panneggio attuale è di epoca moderna), questo fa pensare che in origine fosse di metallo.

Cisterna Romana

Anche la cisterna di notevoli dimensioni sembra avere comunque un orientamento prevalente secondo i punti cardinali, come la villa, e misura all’esterno circa m. 34 x 16. Il nucleo cementizio è costituito da scapoli di tufo bruno disposti in filari orizzontali, con due ricorsi orizzontali di bipedali di 4 cm. di spessore, uno posto a cm. 45 dal terreno attuale, l’altro a m. 1,80 dal primo. Il paramento esterno, conservato in un tratto del lato ovest e nel lato sud, è in opera laterizia con mattoni rosa e gialli dello spessore di 3-4 cm. (modulo 24-25 cm.). Questo paramento è interrotto nel lato sud, in corrispondenza di quelli che dovevano essere quattro contrafforti, ora distrutti quasi completamente.
L’interno è suddiviso al centro da quattro grossi pilastri a pianta cruciforme, da cui si dipartono delle volte a crociera, che iniziano a 3 m. da terra, ora crollate nella parte superiore. I pilastri sono uniti fra loro da archi a tutto sesto. Parte delle reni di questi archi è inserita nel muro dei pilastri stessi.palestrina-18
Ai quattro angoli interni ed in corrispondenza degli angoli tra i lati corti e i pilastri centrali si trovano dei rinforzi in laterizio con pianta ad arco di cerchio Il muro del lato nord, per il tratto ancora visibile su cui non si sono inserite le superfetazioni moderne, ha un andamento rettilineo con contrafforti, che in totale dovevano essere quattro, mentre quello sud presenta invece un andamento curvilineo in mezzo ai contrafforti, probabilmente per opporre maggiore resistenza alla spinta verso valle della enorme quantità di acqua che doveva essere contenuta nella cisterna. Tutti i muri interni hanno un paramento in opera laterizia con un rivestimento in opera signina dello spessore di ben 4 cm.
Tali caratteristiche architettoniche e strutturali, molto particolari, mostrano la estrema cura e la notevole raffinatezza posta nella costruzione di questa grande conserva d’acqua che doveva evidentemente rifornire un complesso residenziale di grande estensione e rilevanza. Purtroppo, l’edificio ha subito nel corso del tempo alcuni rimaneggiamenti ed è stato oggetto di interventi impropri che ne hanno in parte stravolto l’aspetto originario che deve invece essere ripristinato correttamente.
Le arcate dei pilastri centrali sono state tamponate; la prima crociera a nordovest è stata obliterata da una volta ribassata; nell’angolo sud-est è stato ricavato in tempi post-antichi un ambiente sotterraneo.

Bassolato  Romano

palestrina-20Via Pedemontana è fiancheggiata, sul lato destro per chi va verso Roma, dall’antica strada Consolare Prenestina che congiungeva Roma con Praeneste, passando per Gabii.
Il lastricato romano, perfettamente intatto, è composto da selci poligonali nere di basalto, talmente lisce da sembrare levigate, unite tuttora da un perfetto stato di coesione.

L’antico selciato affiora per molti tratti, a lato dell’attuale Via Prenestina, fino a Roma.

Chiese

Duomo di San Agabito

La Cattedrale dedicata a Sant’Agapito, martire a 15 anni sotto l’imperatore Aureliano (probabilmente nel 274), è sorta su un edificio romano (Iunonarium) di cui si vedono alcune strutture nella cripta, nello scavo visibile nella piazza e nella facciata, che faceva parte del santuario della Dea Fortuna. La forma primitiva era rettangolare, in opera quadrata con massi tufacei, e risalente al VI sec. a.C. Comprendeva in pratica l’area racchiusa entro i cinque pilastri dell’attuale navata centrale.palestrina-4
La trasformazione in tempio cristiano è di epoca incerta, ma senza dubbio fu realizzata dopo la pace di Costantino e comunque non oltre la fine del V secolo. Leone III restaurò la basilica e nell’anno 898 le reliquie di S.Agapito vi furono traslate dal sepolcro della basilica di Quadrelle. La sua forma si conservò inalterata fino al principio del sec. XII, quando la chiesa fu ampliata dal vescovo prenestino Conone in forme romaniche.
La parete di fondo che collegava le ultime due colonne, fu abbattuta e sul prolungamento, ricavato da una parte dell’area sacra del santuario, furono eretti l’abside, il presbiterio e l’altare maggiore. Furono aperti nelle pareti laterali grandi archi ed erette le navate laterali, e sotto l’abside una cripta. Di questo periodo si conservano la facciata a timpano e il massiccio campanile posto al suo fianco, con robuste trifore negli ultimi due ordini (la parte superiore, con la cuspide, fu rifatta nel sec. XV). Il Duomo sopravvisse alla distruzione che Palestrina subì per ordine di Bonifacio VIII nel 1298 ma fu devastato, nel marzo-aprile 1437 sotto il pontificato di Eugenio IV, dal suo commissario militare cardinal Giovanni Vitelleschi. Il portale di bronzo e gli stipiti marmorei dell’ingresso principale furono sottratti e portati a Corneto (oggi Tarquinia) città natale del Vitelleschi. L’attuale portale marmoreo è del sec. XV, con stemmi delle famiglie Della Rovere e Colonna: i due battenti di bronzo e rame sbalzato (1967) sono opera di Nicola Russo.

palestrina-3La Cattedrale fu riattivata e riaperta ai tempi di Niccolò V, come si rileva dall’iscrizione sepolcrale della nobile giovinetta romana Francesca Della Valle. La lapide è murata presso la porta laterale della navata destra. Subito dopo l’edificio fu abbellito, anche se non si hanno notizie precise di questi lavori. La basilica ebbe successivi rimaneggiamenti, aggiunte, restauri, tra cui quelli eseguiti nel 1706 dal cardinale Ludovico Emanuele Portocarrero, com’è ricordato dalle grandi epigrafi situate ai due lati dell’ingresso principale. Nel corso di questi interventi, furono anche sostituite le antiche incavallature in legno delle navate laterali ed eretti due piccoli altari che attualmente P1 – Duomo di San Agapito PALESTRINA La facciata fanno parte del presbiterio. Nel 1865 si progettò, dietro impulso del card. Luigi Amat, l’aspetto attuale del Duomo. La realizzazione fu tuttavia iniziata nel 1882 e proseguita fino al 1917 con l’assistenza ed il disegno di Costantino Sneider, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici. Le linee architettoniche e le membrature in stucco dell’abside e del presbiterio sono opera dell’architetto Augusto Bonanni.
La cerimonia di inaugurazione della rinnovata cattedrale fu presieduta da uno dei promotori dell’intervento, il cardinale Vincenzo Vannutelli, il 16 dicembre 1917. Nel 1957, le lesioni provocate dal tempo e accentuate dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale consigliarono all’architetto Furio Fasolo la demolizione dell’avancorpo che nascondeva l’antica facciata, che fu restaurata con integrazioni e consolidamenti per rendere leggibile le tracce dell’antica meridiana posta nella zona superiore della parete. L’avancorpo comprendeva la loggia delle benedizioni e il portico fatti costruire nel 1839 dal card. Carlo Maria Pedicini. A seguito dei lavori di demolizione dell’avancorpo sono tornati alla luce il timpano romanico con un’edicola retta da due colonnine marmoree e la parte inferiore del campanile che ne rivela l’origine medievale (XII secolo). La parte superiore, demolita nel 1437, fu ricostruita nel XV secolo, probabilmente ai tempi del cardinale Girolamo Bassi Della Rovere e contemporaneamente vi fu aggiunta l’alta cuspide piramidale successivamente restaurata nel 1535. Riguardo all’epoca della struttura originaria del campanile, si può confermare l’osservazione fatta da Orazio Marucchi a proposito della visita pastorale del cardinal Bernardino Spada che, nel 1659, indicava di antichissima struttura la torre campanaria. Oggi si presenta con quattro ordini separati da semplici cornici in travertino. I due ordini superiori mostrano trifore con archetti tondi che poggiano su colonnine di marmo.download (6)
All’interno nell’ultimo ripiano, sono alloggiate quattro campane: due maggiori e due minori. Purtroppo sono da qualche anno inutilizzate per il timore che, con le vibrazioni indotte, possano compromettere la struttura campanaria. Il campanile è stato in parte consolidato nel 1977, quindi pulito e monitorato nel 1994 a cura del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Gli ultimi interventi degni di nota nel duomo sono stati eseguiti per iniziativa del vescovo monsignor Pietro Severi ed hanno interessato la ristrutturazione del presbiterio e dell’altare maggiore per adeguarli alle vigenti norme liturgiche e per portare alla luce la cripta. Inoltre, la Cattedrale è stata dotata di un moderno organo a canne in sostituzione del preesistente risalente ai primi anni del ‘700. statuaLa parete di sinistra, in peperino rosso scuro tra due pilastri in muratura, è di recente costruzione e fu edificata per la collocazione della statua Regina Pacis di Francesco Coccia (1957). L’interno si presenta ricco di luce con partiture architettoniche arricchite con decorazioni in oro e marmi pregiati. I grossi pilastri in opera quadrata separano e scandiscono lo spazio che divide le tre navate. Il soffitto a cassettoni con rosoni dorati copre l’intera navata centrale; il pavimento è in lastroni di marmo bianco di Carrara e di bardiglio cappella, disposti a scacchiera. Nella seconda cappella sinistra, sull’altare con paliotto cosmatesco, si possono ammirare un Crocifisso, la Madonna, S. Lorenzo e due committenti (G. Cesare Colonna e sua madre Elena Della Rovere) di Girolamo Siciolante. In fondo alla navata sinistra, Martirio di S. Agapito di Carlo Saraceni, e di fronte, una tela di Andrea Camassei, pure raffigurante S. Agapito. In fondo alla navata centrale, addossato all’ultimo pilastro destro, è il pulpito marmoreo, con un Crocifisso bronzeo di Francesco Coccia. La navata centrale Nell’abside, dove è collocato il coro ligneo del 1650, vi sono affreschi di Domenico Bruschi (fra cui Martirio e Gloria di S.Agapito). Sugli altari minori, ai due lati del presbiterio, sono due tele ovali di Giovanni Odazzi raffiguranti S. Ildefonso e l’Estasi di S. Teresa. Nel primo altare a destra, Transito di S. Giuseppe (1888) di Achille Guerra. Ai lati dell’altare maggiore sono gli ingressi alla cripta (accessibile a richiesta), ove sono visibili una parte della gradinata dello Iunonarium, colonne e capitelli, il basolato di un’antica strada, iscrizioni e tracce di affreschi del sec. XII. Nello scavo lungo il fianco destro del Duomo, sono visibili i resti della gradinata di raccordo tra il piano del supposto Iunonarium e il sottostante lastricato.

 

Chiesa di Santa Maria in Villa

Per la bellezza delle campagne e la piacevolezza del suo clima, Palestrina durante l’Impero Romano era meta di soggiorni da parte di imperatori, di nobili e Procuratori che lì avevano costruito numerose ville. In corrispondenza del luogo ove sorge la chiesa rurale da sempre chiamata di S. Maria in Villa, vi sono dei grandi resti, in parte sotterrati, alla sinistra dei quali sorge ora il cimitero Pubblico stabilito nel 1860. La chiesa, annessa al cimitero, fu quindi edificata sulle rovine da cui prende il nome. Era ricca di mosaici e così era rivestito anche il pavimento. Sul muro vi è dipinta l’immagine miracolosa della Madonna, venerata anche dagli abitanti dei paesi vicini. La chiesa di Santa Maria in Villa è costituita da un impianto di forma rettangolare e presenta al centro della facciata un protiro con colonne, posto su una gradinata e sormontato da timpano triangolare, dal quale si accede ad un vestibolo passante che si apre verso la parte meglio conservata della villa romana.
Al centro di questo vano di passaggio, sui lati interni, si aprono le porte per l’ingresso alla chiesa ed alla sagrestia, rispettivamente a destra e sinistra. La parete laterale verso il cimitero è occupata, ai lati del portico, da due costruzioni addossate di forma regolare, con tre file sovrapposte di loculi, con copertura piana. Il lato opposto, invece, presenta per più della metà dell’altezza l’antica struttura romana della Villa Imperiale, su cui è stata sopraelevata la parete perimetrale della chiesa e della sagrestia. Ad est, sullo stesso fianco, sopra l’area presbiteriale, s’imposta un campanile a vela , mentre sul lato corto adiacente è visibile la struttura del catino absidale. All’interno, l’aula e la sacrestia, anch’esse di forma rettangolare, hanno dimensioni simili in lunghezza, mentre in larghezza la chiesa è più stretta, per la realizzazione di un rinfianco interno e per la costruzione delle colonne addossate su cui s’imposta una doppia volta a crociera. La copertura dell’intero organismo è continua e del tipo a capanna. Della chiesa fa parte un piccolo convento di cui sono rimaste poche stanze.download (7)
L’architettura interna della chiesa è semplicemente scandita da modanature in stucco e cornici dipinte color avorio, differenziate dal fondo celeste cielo. Nelle quattro lunette laterali delle volte si aprono altrettante finestre, mentre la controfacciata non presenta nessuna emergenza. Prima del presbiterio, su entrambe i lati, erano presenti due piccoli passaggi laterali che si aprivano verso l’esterno, dei quali è rimasto attivo solo quello di destra. L’impianto dell’aula è, quindi, arricchito soprattutto dall’abside, che costituisce l’unico elemento decorato; il fulcro visivo religioso e artistico.
Sia la parete, sia il catino absidale, sono scanditi da lavorazioni in basso rilievo in stucco e decorati con motivi floreali. Al centro dell’abside, una cornice inquadra la pala d’altare con l’immagine di Maria. L’area presbiteriale include l’altare in marmo, forse anticamente murato nella parete di fondo dell’abside. Infatti, la sua lavorazione frontale lascia intendere che fosse addossato ad una parete, anche se lateralmente presenta una lavorazione rozza. Sul fronte sono scolpite due colonnine tortili che incorniciano un pannello decorativo, anch’esso scolpito, con inserti in mosaico molto danneggiati. Il pezzo è di valore e potrebbe essere l’unica testimonianza della prima costruzione, quella di epoca medioevale. S. Maria era sotto la giurisdizione del Capitolo della Cattedrale che l’assegnò ad un collegio di Benedettini, eretto da Gregorio XV, con l’onere di mantenere un sacerdote e un servente per il culto della prodigiosa immagine ma, non mantenendo il mandato ricevuto, il tempio tornò al Capitolo. Nel 1656-57, durante l’epidemia che si abbatté su Roma e il Lazio, la chiesa ebbe funzione di lazzaretto. Fu restaurata nel 1659 da Maffeo Barberini. Nel 1709 passò ai padri Serviti che la tennero per breve tempo tornando poi di nuovo al Capitolo. Attualmente è sotto la giurisdizione della parrocchia della Sacra Famiglia da cui dipende tutta la contrada di S. Maria.

Chiesa e Convento di San Francesco

palestrina-22Il convento di S. Francesco, sorto nella parte alta del paese, vicino alla porta di S. Francesco a ridosso delle antiche mura, gode di uno splendido panorama che domina la valle del Sacco. La tradizione francescana a Palestrina risale al XIII secolo, quando la Beata Margherita Colonna lasciò gli agi che la sua nascita le avrebbe garantito e si ritirò nella Rocca prenestina (l’odierna Castel S. Pietro) per vivere sotto la Regola del terzo ordine e dedicarsi ai malati e ai poveri. La madre, che era della Famiglia Orsini, conobbe personalmente S. Francesco in casa del fratello Matteo Rosso e la sua devozione, insieme a quella di Margherita, fece convertire anche i due figli Giovanni e Giacomo. La prima comunità religiosa quindi, secondo documenti certi, fu quella fondata dalla pia figlia di Oddone II Colonna; quattordici anni dopo la sua morte, nel 1294 sotto papa Celestino V si formò una congregazione di frati chiamati Eremiti Celestini, ma due anni dopo Bonifacio VIII, salito al soglio pontificio, annullò gran parte dei loro benefici e nel 1317 Giovanni XXII li condannò come eretici. A Palestrina nel XV secolo era nota la presenza di “fraticelli” che si professavano seguaci di S. Francesco e successori degli Eremiti Celestini, ma nel corso degli anni vennero tacciati di essere eretici e per contrastarli si istituì in città una vera congregazione di frati francescani. Tale presenza fu fortemente voluta da Giacomo Colonna in concerto con il vescovo Angelo Sommaripa, che ottennero da Martino V una Bolla datata 2 aprile 1426, con cui si concedeva ai Frati Minori Osservanti la chiesetta di S. Biagio con annessa abitazione per costruirvi un convento “al fine di estirpare l’iniqua setta dei Fraticelli”. Cecconi afferma nella sua Storia di Palestrina che il luogo dell’attuale convento è il medesimo in cui sorgeva la chiesa di S. Biagio, ma da altre fonti si deduce che non è così. Padre Lodovico da Modena ipotizza che il primo insediamento non fosse adatto alla vita spirituale dei frati sia per la vicina presenza di abitazioni civili, sia per l’ambiente ristretto in cui erano costretti i frati. Per questo cercarono un luogo più idoneo e lo trovarono in un terreno donato da un certo Ciprari in località detta “del Cembalo”. Così scrive il Modena: “… ed è traditione de’ Vecchi, che un amorevole e commodo citadino di Casa Ciprari gratiosamente quel nobilissimo sito li donasse in cui hoggi si trova il convento fondato; così appunto mi disse il Padre Francesco Antonio di Palestrina, Religioso di integerrima vita e settuagenario, affermando haverlo più volte sentito dire da vecchi di detta cità sua patria…”.chiostro-2
Questa versione è accettata anche da Padre Spila nelle sue Memorie storiche della Provincia Riformata Romana perché più specifica e ragionata di quella generica di Cecconi. Non si ha certezza di chi abbia costruito il convento poiché nel 1437, durante nella guerra fra Eugenio IV e Stefano Colonna, il Vitelleschi distrusse Palestrina e andarono così perse le cronache e i documenti dell’archivio francescano. Si pensa comunque sia stato lo stesso Giacomo Colonna con il Vescovo Cardinal Sommariva, con il contributo dei cittadini palestrinesi che da sempre hanno avuto devozione per questo ordine religioso. Petrini nelle Memorie prenestine disposte in forma di annali testimonia che nel 1495 la devota Clarina Colonna ampliò il convento e fece demolire la chiesa già allora chiamata S. Francesco, per edificarne una nello stesso posto e di dimensioni maggiori. I lavori finirono nel 1503 e l’anno successivo la nuova chiesa fu consacrata dal Cardinale Girolamo Bassi della Rovere.
Quest’ultimo avvenimento era descritto nell’architrave in pietra della porta della chiesa, come rileva Petrini in una lettera del 1697 indirizzata dal vicario del convento Padre Carlo da Nizza a Padre Ludovico da Modena, ma dopo il rifacimento degli stipiti nel 1735 voluti da Padre Pietro da Bergamo, questa iscrizione è andata del tutto perduta. Il campanile fu probabilmente eretto contemporaneamente alla chiesa, sia per motivi pratici e funzionali che per motivi simbolici. Inoltre, negli anni seguenti non si sono mai trovate cronache di costruzione, bensì di manutenzione dello stesso. Negli anni immediatamente successivi la chiesa fu abbellita di rifiniture e ricevette donazioni per gli arredi sacri soprattutto sotto il Vescovo Cardinale Bernardino Corvajal (1508-1509), il cui stemma era inciso (fu poi rimosso) nel Coro dei religiosi francescani. Urbano VIII aveva forte simpatia per i minori Riformati e in più di un’occasione la dimostrò: nel 1626 affidò loro il convento di S. Pietro in Montorio, nel 1628 quello dei Conventuali di S. Francesco in Sermoneta e nel 1637 fece lasciare ai frati minori Osservanti la loro residenza per scambiarla con i suddetti Padri Riformati.

download (8)Il convento venne comunque riconosciuto come uno dei migliori di tutta la Provincia Romana; fra i vari frati ricordiamo San Carlo da Sezze, che vi dimorò dal 1638 al 1640, ebbe qui le prime estasi e subì una lotta interiore che assunse l’aspetto di una vera crisi spirituale. Nel 1639 una parte dei francescani, su ordine del cardinale Francesco Barberini Protettore, dovettero spostarsi nel monastero di S. Andrea per far posto alle monache del Monastero di Santa Chiara che avevano bisogno di maggior spazio, e vi ritornarono il 21 novembre 1642 quando le stesse furono accompagnate nel nuovo monastero di S. Maria degli Angeli edificato a Palestrina dal principe Taddeo Barberini. Nel 1654 proprio per l’importanza che il convento francescano aveva acquisito nella provincia romana, vi si portò la scuola di filosofia ma, per sopravvenute esigenze di spazio, nel 1660 si pensò di ingrandirlo nella parte est. Nel 1669 sotto Padre Giuseppe da Milano fu rifatto il corpo centrale riguardante la sacrestia e i nuovi alloggi al piano superiore e fu eseguito il pozzo nel chiostro. Tali lavori caricarono troppo le fondazioni e, insieme alle spinte delle volte e ai movimenti tellurici, crearono dei dissesti tali che durante la guardiania di Padre Angelo da Bergamo (1687-1690) furono costruiti gli speroni nella parte di ponente. Nel 1694 fu restaurato e rinforzato il campanile; nel 1740 sopra l’ingresso principale del convento fu costruita una nuova ala che unisce nel perimetro tutto il complesso e che ospitò all’epoca la sartoria e la biblioteca.
Nel 1807 le truppe francesi dimorarono nel convento e nel 1875 fu confiscato per passare come bene pubblico alla nuova Italia, ma Padre Vincenzo da Jenne fra il 1876 e il 1883, mentre era Ministro dei Padri Riformati, lo riacquistò mentre altri conventi senza le loro comunità religiose caddero in rovina. Nel 1972 si convertirono i magazzini in un cinema-teatro e per questo furono anche edificati in cemento i necessari servizi. Il complesso monumentale è costituito dalla chiesa e da alcuni corpi di uno e due piani, articolati in modo tale da formare due chiostri. Vi si accede percorrendo via Barberini fino a una piazzetta appartata sulla quale vi sono le edicole della Via Crucis, alquanto grossolane, che hanno sostituito di recente quelle edificate nel 1731. La chiesa è preceduta da un portico tamponato nell’ottocento per ricavare nuovi locali e già recintato nel 1752 per impedire la sosta ai pezzenti, nel quale è oggi inserita una piccola cappella con un quadro rappresentante l’Assunzione.
La facciata presenta due aperture ovali disposte simmetricamente, fatte in sostituzione di in rosone centrale tamponato (probabilmente nel 1852 quando il montaggio del nuovo organo avrebbe ostruito l’apertura originale). La chiesa è a una sola navata, con il tetto originariamente a capriate; nel 1746 fu aggiunto un soffitto di legno dipinto da Fra’ Giuseppe da Venezia, sostituito con il contributo di vari benefattori tra i quali il Principe Barberini, nel 1853, essendo stato corroso dai tarli. Divenne così un soffitto a cassettoni, formato da quadrati e rettangoli con inscritti rombi dove sono inseriti dei fiori dorati. Nella parete di destra sono allineate quattro cappelle intercomunicanti, illuminate da piccole finestre; tutte e quattro hanno degli affreschi sulle pareti laterali eseguiti nel 1884 con la tecnica del “cartone” da Enrico Cinti, che riprese delle figure sottostanti quasi completamente illeggibili. Tramite un percorso coperto, le cappelle, si possono raggiungere direttamente dal coro senza disturbare la funzione dell’altare maggiore.
La prima cappella all’inizio della navata è dedicata a San Francesco e vi sono due affreschi che rappresentano la nascita e la morte del santo nonché una statua lignea che lo raffigura in estasi. La seconda cappella è dedicata a S. Francesco di Sales, con pala d’altare del Santo; l’affresco fu coperto nel 1752 da una tela eseguita dal pittore Giuseppe Segolini di Palestrina che raffigurava S. Pasquale in preghiera insieme a S. Francesco di Paola e a Carlo Borromeo. In uno degli affreschi laterali è rappresentata la nascita di Gesù e l’adorazione dei pastori, nell’altro è raffigurata la Beata Vergine con il Bambino e Sant’Anna, San Gioacchino e San Giuseppe. La terza cappella è dedicata a S. Francesco di Paola rappresentato in preghiera sull’affresco dell’altare.70_71_eli
Anche questo fu coperto nel 1752 da una tela di Giuseppe Segolini che raffigurava S. Antonio da Padova, ma questa, come la precedente, furono tolte probabilmente nel secolo scorso e le cappelle ripresero la primitiva denominazione. Nei due affreschi laterali vi sono la deposizione di Cristo e il martirio di S. Andrea Apostolo. Questa cappella era dei Barberini e nel 1691 Innocenzo XII vi concesse l’indulgenza plenaria in favore dei defunti. La quarta cappella è intitolata a Gesù Crocifisso essendovi posta una statua di legno di Cristo in croce del 1400. Apparteneva alla famiglia Ciprari che la ricevette come segno di gratitudine per aver donato il terreno dove è sorto il convento. Sulle pareti laterali, gli affreschi rappresentano due scene della passione di Cristo. Nelle pareti laterali della navata si trova, fra le iscrizioni sepolcrali, quella di mons. Leonardo Cecconi, famoso storico prenestino.
Sull’altare maggiore è posto un trittico cinquecentesco che raffigura nella pala centrale la Madonna col Bambino, in quelle laterali S. Francesco con le stimmate e S. Agapito M. patrono della città. Ai piedi della Madonna vi è una veduta di Palestrina con il convento in evidenza, da ciò si deduce che il trittico fu commissionato espressamente per questo convento.
Il trittico fu restaurato grossolanamente in passato, e con la manomissione si è persa l’immagine cinquecentesca della città; in seguito è stato ancora sottoposto alle cure della Soprintendenza alle Gallerie, nel 1968. Sotto l’altare maggiore, costruito in finissimo marmo, sono custodite le reliquie di S. Costanza M. Nel 1852 furono rifatti anche i gradini dell’altare che erano in legno e probabilmente assai rovinati, per volere del Padre Pietro da Dolceacqua. Nelle pareti laterali del presbiterio ci sono due affreschi ritoccati drasticamente nel 1852 da Enrico Cinti ed interpretano uno il martirio di S. Agapito, l’altro la vittoria della Chiesa su Lucifero. Ai lati dell’altare sono poste due statue del 1730 fatte eseguire da Padre Pietro da Bergamo e rappresentano S. Bernardo e S. Antonio.
palestrina-23              Nel 1796 fu collocato l’attuale pulpito in legno, che ne sostituì uno più antico proveniente da S. Francesco a Ripa; per accedere a quest’ultimo si passa dagli alloggi. Dietro l’altare maggiore vi è un ampio coro di legno, di forma rettangolare che segue il perimetro della chiesa con due ordini di scranni del 1700. La zona del coro è leggermente più stretta della navata perché, essendo coperta con due volte a crociera, ha i muri perimetrali più spessi atti a contrastare con più efficacia le spinte laterali delle volte; fu opera di Fra’ Bernardino da Ravenna e Fra’ Pasquale da Milano e ne sostituì uno più antico ormai rovinato. Una porticina inserita nella parte sinistra del coro, consente l’ingresso alla struttura di base del campanile, il che anticamente, prima della collocazione del sistema elettrico, permetteva di suonare le campane senza uscire dalla chiesa. Le campane attuali vi furono collocate nel 1637, dopo essere state benedette nella chiesa di San Giuseppe in Roma il giorno 23 giugno.

Chiesa e Convento Sant’Antonio

La chiesa di S. Antonio Abate è situata ad occidente dell’antico borgo di Palestrina, all’interno di una piccola piazza. L’impianto principale risale all’epoca di Stefano Colonna, periodo in cui era cardinale Giorgio Fieschi (1449-1453). Annesso alla chiesa si trova il convento dei Religiosi Carmelitani che precedentemente era abitato dai Romiti del Monte Carmelo, ai quali il 17 giugno del 1449 fu lasciata una casa e un’altra ne comprarono l’11 marzo 1467 con l’intenzione di ampliare la chiesa di S. Antonio ed il predetto convento, unita da Alessandro VI e poi confermata da Giulio II il 2 luglio 1512. È da rilevare che questo convento dei Padri Carmelitani, è il più antico dopo quello di Perugia. Dice Cecconi: “…nel centro della città vi è il Convento dei Religiosi Carmelitani, dentro vi è una nobile Biblioteca, una ricca Sagrestia ed una magnifica Chiesa dedicata a S. Antonio Abate, nella quale vi è eretta la Compagnia detta del Carmine, che ha l’Oratorio appresso…”.
Nel 1620 tornò ad occuparsi del Convento di Palestrina e con l’aiuto generoso di Francesco Colonna, spese circa cinquantamila scudi per ampliare il giardino, arricchire una scelta libreria, ma soprattutto fece demolire la chiesa precedente costruendone una, su progetto di Orazio Turriani, con cappelle ornate di marmi per lo più trovati fra i resti dell’antico Serapio. L’arricchì inoltre di Reliquie sacre e preziosi suppellettili: si dice che i soli argenti della Sagrestia avevano un valore pari a centocinquanta libre dell’epoca.
La chiesa fu terminata nel 1623, anno in cui egli morì, e consacrata nel 1626 da mons. Cacucci, arcivescovo di Efeso, su ordine dal card. Domenico Ginnasi. Fra i rari doni che gli concesse Paolo V c’è un busto ligneo di un Ecce Homo che rappresenta Gesù impiagato, e la misericordia che suscita avrebbe colpito lo stesso papa Urbano VIII quando visitò il tempio; egli stesso poi esentò il Convento dei Carmelitani dalla giurisdizione del Provinciale nel 1640, dichiarandolo direttamente soggetto al Generale dell’Ordine.
La chiesa, che venne elevata a parrocchia nel 1802, ha una sola navata ampia e luminosa, il presbiterio, un tempo chiuso da balaustra, coro e sagrestia ed è fiancheggiata da sei cappelle, tre per parte. È ricca di marmi pregiati, provenienti in gran parte dai resti dell’antico tempio di Serapide, e di stucchi dorati; è dotata di confessionali settecenteschi, del coro in noce, con due ordini di scranni, opera di Giovanni Mandelli, e di un moderno organo a canne, in sostituzione del precedente, gravemente danneggiato dal tempo e dagli eventi bellici dell’ultima guerra.
L’organo, costruito nel 1962 dalla famiglia artigiana Vincenzo Mascioni di Cuvio, ha 17 registri, 2 tastiere e pedaliera. Partendo dall’entrata della chiesa, a sinistra la prima cappella è dedicata al Crocifisso, di cui è la pala in tela dell’altare. Ai lati del Crocifisso sono le figure di Santa Teresa d’Avila e di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Alle pareti laterali le immagini di Sant’Anna e di Santa Brigida. La seconda cappella è intitolata a Sant’Alberto di Sicilia con pala d’altare del Santo carmelitano. I due dipinti delle pareti laterali rappresentano Sant’Avertano e il beato Franco di Siena, ambedue carmelitani. La terza cappella è quella della Confraternita dello Scapolare: sodalizio già esistente prima del 1550 e che aveva ubicato fuori della chiesa il suo oratorio, che fu completamente distrutto dagli ultimi eventi bellici. Questa cappella custodisce la statua della Madonna del Carmine, che viene portata in processione ogni anno la domenica che segue la sua festa liturgica.palestrina-25
La pittura della parete laterale sinistra raffigura San Sebastiano, martire. L’altare maggiore è sovrastato dall’immagine della Madonna del Carmine dipinta su tavola e risalente al 1570. Fu sostituita a quella dipinta su rame, che attualmente si conserva nell’ufficio parrocchiale. Ai lati del presbiterio due monumenti funebri di marmi policromi: a sinistra di chi guarda quello che ricorda il padre Sebastiano Fantoni; a destra quello del carmelitano Antonio Marinari, vescovo ausiliare di Velletri. Ambedue i monumenti recano i busti di marmo e l’elogio dei rispettivi personaggi. I due belli amboni del presbiterio sono costruiti con l’utilizzo dei marmi della rimossa balaustra, le cui colonnine fanno da sostegno alla mensa del nuovo altare, eretto secondo le vigenti norme liturgiche.

Proseguendo a destra, apre la serie di cappelle quella che conserva la statua del Sacro Cuore di Gesù, ma in origine era dedicata a San Nicola, vescovo di Bari, San Biagio, vescovo e martire, e San Guarino, vescovo di Palestrina. I due dipinti delle pareti laterali ritraggono uno san Simone Stock che riceve dalla Madonna lo Scapolare del Carmelo, l’altro a Sant’Alberto, patriarca di Gerusalemme, che dà la regola a San Brocardo, generale dell’Ordine Carmelitano. Questa pittura è attribuita a Giambattista Ricci (+1627). Segue la cappella dedicata a Sant’Antonio abate, con pala d’altare del Santo eseguita nel 1688 da Bernardino Balduino. Alle pareti laterali due dipinti: il primo riguarda Santa Maria Maddalena, il secondo San Pier Tommaso, patriarca di Costantinopoli. Conclude la serie delle cappelle quella adibita a battistero, ove sono tre dipinti: il centrale che raffigura Sant’Elia, profeta; quello sulla parete sinistra, San Vito, martire; il terzo sulla parete destra, l’arcangelo Raffaele.
Di lavori alla chiesa non si hanno notizie certe, se si escludono alcuni documenti del 1903 nei quali si menzionano opere di pulitura e restauro ordinati dal Comune, proprietario dell’immobile. Nella lettera dell’Ispettorato ai Monumenti e Belle Arti di Palestrina indirizzata al Direttore Generale di Roma, si comunica la scoperta di un affresco. Il testo riporta:…togliendosi in questi giorni il vecchio intonaco, sopra l’altare maggiore, nella lunetta della volta, si è scoperta una pittura a fresco, di piuttosto grandi proporzioni, raffigurante Elia ed Eliseo sul carro di fuoco, in mezzo ad altre figure di persone e di ornamenti… L’ispettore dell’epoca prosegue indicando come data della pittura il XVII sec. e, seppur affermando il non grande valore dell’opera, spiega la cura con cui è stato liberato e chiede l’autorizzazione a fotografarlo. Lavori di pulitura, eseguiti durante gli anni 80’ del XX secolo, hanno reso dignitoso l’interno del tempio. P17 – Chiesa e convento di Sant’Antonio PALESTRINA Il campanile Annessa alla chiesa la sagrestia con armadi in legno di noce costruiti nel XVII secolo da Giovanni Antonio Salvalaglio. La sagrestia è, peraltro, arricchita di una piccola statua di alabastro, che raffigura la Madonna del Carmine di Trapani, di una tela del 1538 che ritrae San Nicola di Bari e San Ciriaco, e di un’altra del XVIII secolo, che presenta questi due Santi insieme a San Guarino. All’interno del convento, di cui alcuni locali sono messi a disposizione per le attività parrocchiali, sono custodite varie tele, tra le quali qualcuna di pregio, e il prezioso busto ligneo dell’Ecce Homo, rimosso dalla cappella del Crocifisso.

Ex Chiesa di Santo Stefano

La chiesa di S. Stefano è posta nel centro storico di Palestrina in via della Portella, al di fuori delle antiche mura della città. Della sua antichissima storia non si conosce molto, anche se la dedicazione a Santo Stefano permette di ipotizzare l’esistenza della chiesa già dal V-VI secolo d.C., poiché in suo onore, in quell’epoca, si costruirono molti luoghi di culto ed oratori. Per il Bandiera, la tesi della sua esistenza già nel V secolo, coeva al primo nucleo della Cattedrale eretta sulla Basilica romana, acquista attendibilità e consistenza se si considera che dal IX secolo e sino al tardo medioevo la città si rinserrò di nuovo nelle mura. Sarebbe stato del tutto innaturale che la chiesa fosse costruita ex novo al di fuori della stessa, all’altezza della fascia mediana della città.
Dall’osservazione diretta della sua architettura, dei materiali impiegati e delle tecniche di costruzione adottate si può dedurre che l’attuale struttura risale al XI-XII sec. Nella cornice marmorea che costituisce l’attuale stipite sinistro della porta, nei primi del novecento si leggeva: “Quamvis templa Dei nullis ornata metallis hec tamen ut patrium natus ditaret honorem. viribus exiguis sed XPI victus amore. ….Iohannem ….”. Da questi versi si ricava che tale Giovanni, benché la chiesa non fosse riccamente ornata, tuttavia, spinto dall’amore verso Cristo, con deboli forze, volle decorarla a sue spese per accrescere l’onore paterno. Oggi alcune lettere sono illeggibili ed a stento si riesce a ricomporre la frase citata, ma lo stile i caratteri utilizzati confermerebbero l’ipotesi dell’incisione avvenuta nel XII sec. È dunque probabile che la chiesa fosse esistente prima dell’epoca in cui fu arricchita con gli affreschi. Il materiale marmoreo utilizzato per gli stipiti e per l’architrave della porta, una cornice tagliata in tre parti, è di epoca romana e non si esclude la possibilità che l’occasione dei lavori fatti per munire di una “nuova veste” la piccola basilica abbia convinto i promotori ad inciderle a futura memoria.
Cialdea riporta : “…Nella superficie che resta nell’interno della porta in ambedue i marmi si vede un intaglio rettangolare ed oblungo per tutta la lunghezza del marmo stesso, simili a quelli che vediamo nei plutei delle balaustrate delle basiliche cristiane. È da pensare adunque che questi due marmi stessero da prima nell’interno della chiesetta e tolti in epoca posteriore” .
Una notizia citata da Cecconi ricorda l’esistenza di un’iscrizione del 1420 presente nella chiesa, che nominava un sepolcro fatto da tal Rodolfo De Spiris:
HOC OPVS FECIT FIERI RIDOLFVS DE
SPIRIS SIBI ET POSTEROR. SVOR.
SVB ANNO DNI MCCCCXX INDICTIONE XIIII
PONTIFICATVS DNI MARTINI PP QVINTI
DIE IIII MENSIS SEPTEMBRIS
palestrina-5Purtroppo dell’iscrizione oggi non c’è traccia, come non è visibile, sull’attuale pavimento, alcuna sepoltura. La struttura architettonica interna della navata, coperta da volte a crociera con nervature di piccoli parallelepipedi in marmo su peducci in peperino scolpiti a forma di mano, lascia presupporre una diversa altezza dell’aula originaria. Infatti, l’imposta delle volte è troppo vicina all’attuale piano interno e un rapporto geometrico-dimensionale corretto, confrontato con le analoghe costruzioni romaniche dell’epoca, fa supporre che il livello antico potesse essere più basso rispetto a quello attuale di circa due metri. Tale livello potrebbe essere quello sotto il quale si troverebbe la sepoltura citata dal Cecconi. La chiesa, nel corso dei secoli successivi, visse alterne vicende che si conclusero con un definitivo abbandono. Nel 1679, si ha notizia della visita a Santo Stefano del Vescovo Prenestino, il card. Alderano Cybo dei Principi di Massa e Carrara, che ne dimostra all’epoca l’apertura al culto, mentre nel 1729 si legge che era “ … malandata e pericolante, tanto che si pensò o di restaurarla, o di demolirla; ma pare bene che né l’uno, né l’altro divisamento si effettuasse, poiché la lasciarono come stava, sconsacrandola solamente, e portandone via tutti gli arredi sacri”. Da allora, la piccola chiesa non fu più officiata, si degradò progressivamente e, dopo essere stata sconsacrata, fu utilizzata come bottega di calderaio. Soltanto nel settembre del 1909, dopo una semplice pulitura, fu riaperta al culto per merito dell’Associazione del Collegio dei Cultori dei Martiri. Nell’occasione, sembra che l’allora Rev. Parroco dell’Annunziata, D. Guido Croce, coll’approvazione delle autorità ecclesiastiche, rinunciò in perpetuo alla rendita della chiesina, purché l’Associazione s’impegnasse nel restauro per riaprire il “sacro oratorio” . Dalle notizie degli anni successivi non risultano interventi di recupero e, forse per questo, il Vescovo decise di affittarla ancora come bottega. Con un documento del novembre 1925, il Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, sollecitato, chiede notizie sulla chiesa, attribuita erroneamente a San Silvestro, sul suo stato di conservazione e sul pregio artistico; si rende, inoltre, disponibile a finanziarne un eventuale restauro. L’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico di Finanza di Roma, con nota del successivo 22 aprile, risponde che l’edificio è ridotto “in uno stato irriconoscibile. Non c’è più il tetto, che copriva le volte, la facciata tutta erosa, nel cui mezzo sorge un muretto con arco per la campana, conserva ancora traccia di architettura gotica, come nell’occhialone sopra la porta, e le pareti interne conservano le nervature gotiche e hanno vestigia di pitture e forti colori, tutte danneggiate dalla umidità, che viene dall’alto terrapieno, al quale la Chiesetta è addossata nella parte posteriore”. Al termine della lettera, si chiede di coinvolgere direttamente la Regia Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna affinché, una volta riconosciuta l’opportunità di restaurare la chiesa, ne compili il progetto dei lavori ed informi sulle possibilità di un contributo. Per la cronaca, l’ingegnere si sbilanciò con una previsione di L. 6.000, soltanto per il rifacimento del tetto. Il Soprintendente dell’epoca, Muñoz, rispose nel giugno del 1926 confermando l’importanza e l’interesse artistico della chiesa e pretese, per compilare un preventivo, di liberarla dalla “indecorosa … attuale destinazione.” Degli anni successivi e precedenti la guerra non ci sono notizie attendibili ma soltanto alcune testimonianze di vicini ed anziani del luogo che la ricordano sempre più in rovina. In seguito furono eseguiti lavori di salvaguardia sulla copertura, con la posa di uno strato di guaina bituminosa, ma un vero e proprio restauro, ad oggi, non è stato ancora realizzato.

 

Sentieri escursionistici

La sezione di Palestrina sta procedendo alla realizzazione del progetto di una carta dei cartellosentieri escursionistici sui Monti Prenestini. Le tantissime richieste che provengono da escursionisti, soci di altre sezioni, associazioni culturali e naturalistiche, mettono ancora più in evidenza la necessità di uno strumento esaustivo, agile ed efficace per la fruizione delle belle montagne del nostro comprensorio territoriale.

Esistono in realtà alcune pubblicazioni, alcune anche ben fatte, ma che sostanzialmente si rivelano frammentarie in quanto dedicate a singoli settori e non all’intero territorio dei Monti Prenestini. E’ stato costituito uno specifico gruppo di lavoro nel quale sono presenti autorevoli conoscitori dell’habitat montano prenestino e diversi soci con specifiche competenze professionali (geologi – ingegneri – biologi), che sta procedendo all’individuazione dei sentieri che dovrebbero essere inseriti sulla carta da stampare inizialmente in 4000-5000 copie formato 80×60. I sentieri indicati sulla carta, realizzata utilizzando la base cartografica dell’ Istituto Geografico Militare, saranno rilevati con il sistema GPSmonti-prenestini e numerati secondo le procedure previste dal CAI Centrale. La carta comprenderà anche l’indicazione delle strutture ricettive presenti, dei musei e dei più importanti siti artistici, naturalistici e storici del territorio oltre ovviamente alle indicazioni dei recapiti degli enti istituzionali. Molti soci della sezione hanno dato la loro disponibilità, come del resto avviene periodicamente, per il lavoro di ripulitura e ripristino della segnaletica della rete sentieristica che inizierà nel mese di settembre e si concluderà entro il mese di maggio del 2011. Sono già stati presi gli accordi preliminari con la casa editrice e sono in corso i contatti con i Comuni interessati e la IX Comunità Montana. La conclusione del lavoro del lavoro è prevista per il mese di giugno del 2011, e a settembre/ottobre si terrà la manifestazione di presentazione della carta.

Manifestazioni

Eventi

Tra le manifestazioni religiose citiamo la festa dedicata alla compatrona della città di Palestrina, Santa Rosalia, che si svolge nel quartiere degli Scacciati, tra spettacoli e giochi popolari. Di carattere gastronomico la Sagra delle Fragole, che conclude la stagione relativa alla raccolta di questo frutto, in località Carchitti, frazione di Palestrina. Tra i prodotti legati alla tradizione contadina ricordiamo gli gnocchetti a coda de soreca, pasta con farina e patate dalla forma singolare di una coda di topo, ed il giglietto, un biscotto a forma di giglio. Il patrono è Sant’Agapito e viene festeggiato il 17, 18 e 19 agosto, con un grandioso Palio ed altre manifestazioni religiose e di spettacolo. Sagra del Giglietto e ghiottonerie dei Monti Prenestini. Periodo: agosto nel Centro Storico di Palestrina
Tradizionale sagra dedicata al dolce dalla forma di giglio, portato a Palestrina dai Barberini in seguito al loro soggiorno/esilio a Parigi.
La proposta culinaria offerta dalla sagra è ampia e spazia su molti piatti tipici della cucina locale, sia orientata alla tradizione, sia nelle sue rivisitazioni contemporanee.
Il centro storico della città viene allestito con stand di degustazione dei prodotti tipici e di ristorazione, dove è possibile assaggiare piatti tradizionali come la pasta e fagioli o le fettuccine fatte a mano, le carni insaccate, cotte alla brace o lessate nel sugo, i formaggi, i dolci secchi.
Diverse le cantine e i distributori di vino italiano e locale presenti – come il Cesanese di Olevano Romano e il vino di Zagarolo – e artigiani e antiquari locali.

I Giglietti

Biscotti secchi e fragranti, ottenuti dall’impiego di semplici ingredienti: uova, farina e zucchero. La caratteristica forma a giglio viene data manualmente: si preleva una certa quantità di impasto che, lavorato a forma di bastoncino, viene suddiviso in tre strisce successivamente affiancate e allungate singolarmente per ottenere la forma a giglio. Il biscotto, posto in una teglia di acciaio, viene cotto al forno per circa 10 minuti e successivamente posto a raffreddare a temperatura ambiente prima della vendita. Si conserva per circa due settimane.giglietto1
Questi biscotti, i quali devono il nome alla caratteristica forma a giglio, simbolo araldico della dinastia dei Borbone di Francia, hanno una storia davvero particolare che affonda le radici nella gastronomia parigina del ‘600. I Barberini, rifugiatisi alla corte di Luigi XIV dopo la morte di Urbano VIII, portarono con loro numerosa servitù, tra cui cuochi e pasticcieri, i quali cominciarono a scambiare ricette con i colleghi francesi. I giglietti li colpirono molto e i cuochi continuarono a prepararli anche una volta tornati a casa, facendoli diventare nei secoli uno dei dolci più caratteristici della cucina prenestina. Dal 1998 la Città dedica a questo biscotto una sagra che ogni anno richiama numerose persone.

Piatti e Dolci di Palestrina

La gastronomia prenestina è figlia della cultura contadina del luogo.

primo-pale                                    Sono i prodotti tipici della sua campagna che vengono utilizzati divenendo le componenti di base dell’arte culinaria di Palestrina. Il piatto caratteristico per eccellenza è la ‘pasta povera’ (sagna), confezionata a mano con acqua e farina. Con essa si realizzano i tonnarelli (gnocchetti a cò de soreca) che richiedono un condimento a base di pancetta (amatriciana) o ragù con carne di maiale. Da non dimenticare la polenta con salcicce e spuntature. Anche le ministre di fagioli, di broccoli e di ceci si possono preparare con la pasta povera.Un altro tipo di pasta, le fettuccine al ragù (sempre impastata a mano, ma con l’aggiunta di uova) possono trasformarsi in tagliolini e quadrucci, ottimi per realizzare delle minestre. Aggiungiamo anche il riso con le lenticchie.Per quanto concerne le carni, il pollo arrosto, il pollo con i pinoli e l’uvetta ed il pollo con i peperoni, vengono offerti parimenti all’agnello arrosto, all’agnello fritto o a quello brodettato, nonché all’agnello ed al coniglio in salmì (cacciatora). Veniamo ai formaggi: la caciotta e la ricotta sono prodotte esclusivamente con latte di pecora.Tra i dolci, quello buono per tutte le stagioni è il ‘re giglietto’, che ha una storia singolare, essendo stato modellato sul giglio simbolo della monarchia francese nel 1600. Le festività natalizie hanno il loro dolce: il panpepato e quelle pasquali il ‘cavallo’ o la ‘pigna’.
Completano il panorama della pasticceria di Palestrina le ciambelle con il vino.

Pallacanestro Palestrina

La Pallacanestro Palestrina è la principale società di pallacanestro maschile di Palestrina. Fondata nel 1962, ha raggiunto al massimo la Serie B nel 1973-74 e in seguito ha disputato gli spareggi per l’ammissione in Serie A2, senza successo. photo.jpgAttualmente milita nel campionato di Serie B. Stella di Bronzo al merito sportivo del Coni ricevuta nel 1985 e Stella d’Argento nel 2002. Gioca al Palasport di Palestrina e i suoi colori sociali sono il verde e l’arancio. Il Palestrina Basket vede la luce tra le mura del Circolo Studentesco Prenestino (C.S.P.) nell’estate del 1962, sotto la guida di Gigi Stellani, attuale vice presidente della società. Le prime maglie riportano ricamate, appunto, le iniziali C.S.P. Grazie anche alla passione del professor Eugenio Tomassi sorse anche il primo impianto dedicato al basket, un campo in cemento rosso tuttora esistente nel Parco Barberini, che più tardi venne ricoperto con mattonelle di asfalto. Dopo le prime amichevoli fu il turno del primo torneo, la coppa “Palestrina” messa in palio durante le feste patronali e vinta proprio dal Circolo Studentesco Prenestino sull’Anagni. Nel 1964-65 i prenestini esordirono nel campionato di Prima Divisione. Dopo tre anni arrivò la vittoria del proprio girone e l’approdo in Promozione, dove Palestrina rimase altri tre anni. Guidata in campo dai vari Casilli, Vento, Cecconi, Busca, Libianchi, Fornari e Manieri giunse nel 1970 la scalata alla serie D sotto la presidenza del mitico Ing.Dino Viola. Gli anni d’oro per il basket arancioverde non finiscono, e nel 1972 ecco lo spareggio a Rieti contro il Basket Todi per l’accesso alla serie C. Con un’ottima prestazione di Vincenzo Busca gli umbri vengono superati 56-55. L’entusiasmo salì alle stelle, fu anche l’anno della maturazione cestistica di Maurizio Tomassi che in breve tempo spiccherà il volo per le serie maggiori. Altro spareggio, ancora a Rieti, e Banco di Roma battuto di due punti, per accedere alle finali promozione al primo anno di C. In quei giorni di fine maggio, ottenendo una vittoria con Avellino, una sconfitta contro Viareggio e un altro successo con Brindisi, si schiusero le porte della serie B, che allora rappresentava la seconda serie nazionale.

Carchitti

La nascita di Carchitti, non avendo una data ben definita, si fa risalire alle migrazioni stagionali che avvenivano agli inizi del secolo scorso e che trasferivano moltissimima gente dai monti del Basso Lazio all’Agro Romano per le attività agricole. In mancanza di date certe, perciò, bisogna fare riferimento a quanto ci è stato trasmesso dalle più accreditate fonti storiche; queste rimandano ad alcuni eventi succedutisi in un arco di tempo che possiamo collocare tra il 1825 e il 1880 circa.

1825.30- grave carestia nelle popolazioni di montagna del Lazio e conseguente trasferimento in pianura (F. Tonetti).

1860 – passaggio da una colonìa precaria a una perpetua, e conseguente insediamento quasi stabile di alcuili gruppi (E. Sereni).

1880 – diminuiscono considerevolmente gli abitanti di Capranica Prenestina (S. Nespolesi).

Uno dei centri montani maggiormente interessati alle migrazioni fu Capranica Prenestina, comune situato a Nord di Palestrina a 915 m. s.l.m.

Questo popolo viveva miseramente poiché roccioso e arido era il territorio circostante; accudiva il bestiame che poteva sopravvivere in un luogo così aspro e possedeva magri vigneti e piccoli castagneti; mangiava cavalli e somari e non godeva di nessun genere di servizi. Di conseguenza fu necessario scendere dai monti e trovare lavoro nella sottostante vallata, al soldo dai potenti dell’epoca (latifondisti, mercanti di campagna, caporali). Nella vallata sottostante ai monti Prenestini si estendeva a perdita d”;occhio, tra i Colli Albani e il Monte Ginestro, la tenuta di Mezza Selva di, proprietà della famiglia BarberinL così chiamata perché tenuta principalmente a bosco. In un primo momento pochi capranicotti presero coraggio e accettarono quivi un lavoro saltuario. Lavoravano dall’alba al tramonto, soffermandosi qualche istante a mezzodì per mangiare la «stozza» e passavano la notte in un anfratto, presso una forra o dentro qualche capannola costruita con scopiglie e stoppie. Col tempo fu tollerato, dal proprietario e dagli affittuari del latifondo, che si costruissero le capanne sul luogo. Allora i contadini traslocarono anche i famigliari che, nel frattempo, erano rimasti a Capranica. La seconda guerra mondiale vide una ricca schiera di carchittani partire per i vari fronti: sovietico, albanese, greco. Quattordici furono i morti. Con lo sbarco degli americani ad Anzio, anche Carchitti fu interessata da vicino essendo la via Casilina il tratto d’unione tra Roma e il fronte di Cassino. A Colle di Fuori fu organizzato il quartiere generale tedesco; un paio di volte i tedeschi fecero ricorso ai carchittani, tramite rastrellamenti, per costruire opere di difesa. Durante l’attacco finale i carchittani trovarono rifugio alla Mola, a Fontana Nova e presso i Colli Albani. Molte abitazioni furono distrutte, con feriti e due morti.

Anche la scuola fu distrutta; riprese quasi subito a funzionare in un locale presso il “Casaletto” e i un posto detto “l’Ovile” dove c’era un altro locale libero. In seguito nacque anche la Scuola Popolare serale per giovani e anziani; la maestra è Cristina Socciarelli, figlia del maestro Socciarelli.

 

Sagra delle fragole

Era il 1969 quando, grazie soprattutto al grande impegno di Romeo Gori (fondatore della Pro Loco di Carchitti), Carchitti conobbe per la prima volta la Sagra delle Fragole che tanto divertimento regala ogni anno a tutti coloro che ne prendono parte.

download (9)Ci accingiamo a festeggiare l’edizione numero 28 della Sagra, sempre con lo stesso entusiasmo che caratterizzò il maestro Gori 36 anni fà! Lo scarto che esiste tra il numero delle edizioni e la differenza tra la prima e l’attuale edizione è dovuto al fatto che, a causa delle avversità atmosferiche che hanno provocato la mancanza di fragole, alcune edizioni della festa sono purtroppo saltate. Auguriamo a quanti vorranno partecipare alla sagra un buon divertimento.Ora vogliamo ripercorrere attraverso alcune fotografie e attraverso l’elenco degli artisti intervenuti le edizioni passate della nostra festa. Le prime piantine di fragole nel territorio di Carchitti vennero importate negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale da intraprendenti contadini del vicino comprensorio denominato “Pratoni del Vivaro” di Rocca di Papa. Le prime coltivazioni vennero praticate per il solo fabbisogno familiare e, sporadicamente, qualche fruttivendolo dei comuni vicini veniva ad acquistare piccole quantità del prodotto per la vendita nei mercati locali.
A Carchitti, quindi, non vi era all’epoca nessuno stimolo alla coltivazione intensiva della fragola proprio per la palese difficoltà di smercio, dovuta anche all’isolamento del territorio dalle realtà vicine per la carenza di vie di comunicazione sia provinciali sia comunali.
Con la sistemazione delle strade di collegamento del centro abitato di Carchitti con la SS Casilina prima, e poi quelle per Colle di Fuori, San Cesareo e Vivaro (Castelli Romani), negli anni ’60 la coltivazione della preziosa piantina iniziava a dare consistenti redditi per il ripianamento del bilancio dei vari nuclei familiari e, di conseguenza, subito veniva intrapresa da un numero maggiore di contadini fino a farla diventare la principale coltura del luogo. Pur nella considerazione della mancanza totale di sistemi di irrigazione o di protezione dalle avversità atmosferiche, la maggior parte dei contadini di Carchitti riusciva a coltivare con esiti più che positivi, circa 5000 metri quadrati di terreno a fragoleto.
Il prodotto veniva per la maggior parte ritirato alla sera da tre autotrasportatori locali che, caricati i vari cestini di vimini adornati di profumate felci e contenenti circa 5 Kg di fragoloni al 100% biologici sui loro mezzi il giorno successivo rifornivano i vari venditori all’ingrosso dei mercati generali di Roma. Questi ultimi però, senza tanti scrupoli, ben presto dimostrarono di non tenere in debita considerazione il faticoso lavoro dei contadini che spesso si trovarono anche a pagare il trasporto delle fragole, senza ricevere nulla dalla vendita delle stesse perché “buttate al fiume per mancanza di acquirenti” in determinati giorni della settimana.
Il 26 Ottobre 1969 l’illustre Maestro della locale scuola elementare Romeo Gori, stabilitosi con la sua famiglia nel plesso scolastico con funzioni di Fiduciario del Direttore Didattico, unitamente ad altri benemeriti cittadini, con rogito notarile sottoscritto lo stesso giorno, costituiva l’Associazione Pro Loco di Carchitti di Palestrina con lo scopo, quasi primario, di valorizzare la coltura delle fragole del posto. Tale intendimento era scaturito proprio nella primavera precedente in occasione della 1^ Sagra delle Fragole ideata e portata a svlgimento dallo stesso Maestro Gori. La Sagra delle Fragole a Carchitti ha avuto sempre un crescendo di successi grazie anche alle nuova forme di commercializzazione del prodotto curate dalle due locali cooperative agricole nel frattempo costituitesi. Le cooperative hanno sperimentato negli anni anche l’importazione di nuove cultivar (varietà di fragole sempre più rispondenti alle richieste del mercato) e l’introduzione della coltura in serra.Già nelle prime edizioni della Sagra, la frazione di Carchitti è stata meta di migliaia di forestieri richiamati soprattutto dalle particolari caratteristiche organo-lettiche delle sue fragole, tra cui la resistenza alle malattie crittogame dopo la raccolta e, quindi, migliore e sicura lavorazione sul mercato. La Sagra vede l’organizzazione anche di varie manifestazioni concomitanti, tra cui incontri-dibattiti sulle problematiche dello speciale settore agricolo, mostre varie, tornei sportivi, spettacoli d’arte varia di primaria importanza, sfilate di gruppi folkloristici locali, degustazione, spesso anche gratuita, di fragole alla panna e frullati. L’Associazione Pro Loco di Carchitti, grazie anche alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Palestrina, cura da sempre l’organizzazione di tutte le edizioni della Sagra, giunta quest’anno alla 28^ edizione (in alcuni anni la manifestazione non ha avuto luogo per mancanza del prodotto dovuta alle avversità atmosferiche durante la fioritura della pianta).

Palestrina is a village in the province of Rome  in Lazio . it is located along prenestina street , to which  it gave its name , as the ancient name of the city was Preneste .

TERRITORY

Palestrina stand on the slopes of mount Ginestro , on of the summits of  Palestrina mountains between the banks of the Sacco and Aniene rivers . The territory  is geographically  heterogeneous , has it passes from  660 yard  of the district of Scacciato to 350 yard from the downstream fractions .

CLIMATE

For the particular location of Monte Prenestini there are different types climate . Winters  are stiff with frequent ice at night ,the snowfall is abundant , at least 5yard but it defends on for the changing altitude .

Coat of arms

Palestrina city coat of arms is half green and half orange shield . inside there are three laurel crowns on of oak and one of olive trees, two above and one below . the latter is tied of the blue ribbon . the shield is surmounted by a golden crown on whose band are five green ,red ,blue ,  gems alternated with 4 pearls .

HISTORY

ANCIENT AGES

Palestrina stands on the ancient Preneste ,  a latin village famous  four  for its ancient fortune Primigenia Shrine , a sanctuary dedicated to the goddess Fortuna Primigenia and which the latest studies date back to the last decades of the 2nd century BC.

The first archaeological finds, date back to the beginning of the 8th century BC, on the eve of the incredible flowering that invested the city in orientalizing times (VIII-VII century BC)

There are  numerous legends that tell  about  its foundation .Several traditions note the founding of Telegono , the son of Ulysses and circe , or the eponymous hero Prainestos , son of the latin king  and nephew of Ulysses . The Palestrina village was conquered the Romans for its Strategic position , dominating the Valle del Sacco , thanks to the imposing works of fortification , that favoured  the passage between Lazio in Italy . For  attesting  the favoured it was build on  monument for  the oracle Fortuna Primigenia , dated at the end of century BC . in the 90 AD during the civil war Gaio Mario died and Lucio Cornelio Silla  installed  his military colony .

MEDIEVAL AGE

From the Middle Ages  it was a suburban  home , whose patron was ST. Martyr Hope .Among his bishops are counted five cardinals who later became popes . Historical possession of the Column ; he was involved in the struggles against the papacy ,  and had disastrous consequences .

MODERN AGE

In the 16th it gave birth to the composer Giovanni Pierluigi da Palestrina

Contemporany Age

Since the end of the 19th because of famine that struck the population of the inhabitants of the  mountain moved to territory of Palestrina called Carchitti , devoted to the cultivation of strawberries. During the Risorgimento in 1849 Luigi Cucelli distinguished himself in Palestrina as he accompanied the retreat of Garibaldi from Rome , that was followed by fall Roman Republic

In 1944 the old town was destroyed by bombing , but the destruction of the buildings that had  settled  after the abandonment allowed the old republican sanctuary  to be re-illuminated.

Noteworthy was  and still remains , the archaeological activity of rediscovery.

TRADIOTN AND FOLKLORE

the Giglietto festival and delicacies  of the Monti Prenestini , which has changed its name in to “Giglietto and ghiottonerie of Monti Prenestini “ since 2015 ,  held on at first weekend of August with tastings , coneerts and handcraft  markets .
San Giuseppe Artigiano (on march 19th) during  which large bonfires are lit where you faind eagle
-feast of Madonna del Carmine at the church of Sant’Antonio Abate with a great evening on the first Sunday of October .
-the Corpus Domini procession in the street of the ancient village, coinciding with the Corpus Domini religious festival.

Palestrina est une ville italienne de 21,661 habitants dans la capitale métropolitaine de Rome dans le Latium. Il est situé sur la principale rue, qui a donné le nom, parce que l’ancien nom de la ville était “Praeneste”. Géographie physiqueterritoirePalestrina se dresse sur les pentes du mont Ginestro, l’un des meilleurs montagnes Prenestini, entre les bassins des rivières Sacco eAniene. Le quartier est orographique hétérogène, en ce qu’au lieu des 660 m . Chassez du district jusqu’à 350 m. villages de aval.Le sanctuaire se situe entre les chefs-d’œuvre de l’architecture romaine d’époque républicaine, influencé, en la scénographique disposition aux terrasses,à partir de le medioevo il fut siège suburbicaria, avec patron Sant’Agapito martyr. Entre ses éveques se comptent bien cinq cardinaux par la suite devenu papes. Dans le XVI siècle il donne les anniversaires au compositeur Giovanni Pierluigi de Palestrina. A partir depuis la fin de XIX siècle, à cause d’une famine que coups les populations de montagne,  un groupe d’agriculteurs de Capranica Prenestina il s’établit dans un territoire appartenant à la commune de Palestrina, territoire qu’il prise la dénomination de Carchitti.    L’immeuble barberini et le temple de la chance               primordiale Le musée archéologique national de Palestrina est préparé à l’intérieur du palis Barberini, construit sur la sommité du sanctuaire ellenistico de la chance primordiale. Il recoit  nombreuses pièces : bornes, bustes, bases funèraires, statues et objets d’usage quotidien provenants des nécropoles du colombin et de la pavée. Il conserve importantes pièces nombreuses de lesquelles retrouvé après les bombardements de la seconde guerre mondiale. De relief l’escalier dédié aux cultes témoignés  au praeneste. Meme si l’œuvre plus belle du musée est la mosaique du Nile qui remonte a la fin du II siècle a.C. , il est un des plus grandes mosaiques ellenistici représentant avec des scènes de vie quotidienne de l’ancienne Egypte.     Musée diocésain à l’intérieur du Curia épiscopal

 

Ouvert en 2005, il est à voir le musée diocésain à l’intérieur du curia épiscopal qu’il recueille importantes œuvres picturales et sculptures, entre lequel un tableau du Caravaggio ‘ décapitation de s. agapito’ et un eolo en marbre de Michelangelo. Finalement à visiter la maison natale de Pierluigi de Palestrina, (1525-1594) prince de la musique polyphonique, un des plus grands gènius musicaux de tous le temps.

Cathédrale de Sant’Agapito

Au principe du XII siècle la cathédrale fut agrandie par le cardinal Conone en suivant le style roman : elles furent réalisée  les deux nefs latérales, le maitre-autel, le presbytère et l’abside et sous l’abside une crypte ; le tout qui en utilise aussi partie de la zone retrostante, occupée par l’ancien trou de la ville. à l’intérieur sont conservé peintures du Sermoneta, des Sarrasins et de Bruschi et une copie de la pitié de Palestrina de Michelangelo. Dans l’an 2017 recourt le 900° an de la dédicace de la cathédrale.

Sant’Antonio Abbé

La fete de Sant’Antonio Abbé se déroule le 17 janvier de tous les ans. C’est une tradition historique qui si maintient  vive dans le temps. En organisant défilés folkloriques qui rappellent les atmosphères magiques des anciens travaux. Une passé dans lequel les muletiers avaient le devoir de transporter marchandises de nature différente en les servant de mulets qu’ils permettaient difficilement aussi l’accès aux localités accessibles. Les charretiers étaient colore par contre qu’avec le secours des chariots, trainé par aniamux, ils transportaient denrées alimentaires principalement vers le Roma. Finalement, les bouviers étaient et aujourd’hui ce sont encore les éleveur de bétail. La fete, entre sacré et profane, il se termine avec la bénédiction des animaux et des véhicules le moment solennel de la journée attendu par tous avec grand enthousiasme.

Palio de Sant’Agapito

Sant’Agapito est le patron de la ville et du diocèse de Palestrina, Agapito était membre de la famille noble Anicia de l’ancien praeneste. Supplicié vint avec la décapitation dehors de la ville le 18 aout de 274 a.C.