Zagarolo

Il centro storico di Zagarolo è di origine medioevale e la sua urbanistica, che risale al XVI secolo, è di una regolarità tale che non trova facile riscontro nelle cittadine dell’epoca. L’abitato è dominato dalla grossa mole del Palazzo Rospigliosi, il cui nucleo originario era un castello dei principi Colonna che fino al 1100 aveva funzioni esclusivamente militari.

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Il Palazzo subì varie trasformazioni ad opera di Marzio Colonna, dalla metà del ‘500 fino ai primi del ‘600, che ne cambiarono totalmente l’aspetto originario. Scomparvero le torri merlate, il ponte levatoio e tutto quanto poteva identificarsi con le esigenze di carattere militare del tempo. Sul lato nord vennero aggiunte due grandi ali, all’estremità delle quali due altissime colonne di granito, come ciclopiche sentinelle, sembrano montare perennemente la guardia al nobile complesso. Non si può dire di aver parlato di Zagarolo se non ci si sofferma un poco su Palazzo Rospigliosi.
Edificio cinquecentesco, Palazzo Rospigliosi è legato ad una delle famiglie nobiliari della Roma rinascimentale e baracco: i Colonna. L’origine di Zagarolo è remotissima. Secondo un’antica tradizione, un insediamento urbano era già presente nel territorio nell’epoca della monarchia romana e, presso questa comunità arcaica, si presume trovassero rifugio gli esuli di Gabi, distrutta da Tarquinio il Superbo.Questi formarono il ceppo principale che diede vita ad una nuova città. Da antichi documenti, da iscrizioni e lapidi poste su edifici pubblici si desume che gli zagarolesi, da tempi immemorabili, si sono ritenuti discendenti dei gabini.Le vestigia di numerosi insediamenti di epoca romana sparsi qua e là intorno a Zagarolo rendono testimonianza di questa sua plurisecolare vicenda storica. downloadIl palazzo si sviluppa su due piani e lungo due ali parallele a ferro di cavallo con un’apertura sulla piazza centrale che introduce al cortile monumentale d’ingresso. Trasformato da fortezza medievale a palazzo signorile da Pompeo Colonna al ritorno dalla vittoria sui turchi a Lepanto, lo stabile si staglia con le sue dimensioni monumentali lungo il corso principale della cittadina, all’interno del centro storico. L’ala a sinistra del piano terra occupa gli uffici amministrativi della Istituzione Palazzo Rospigliosi, che ne gestisce le attività. Il primo piano accoglie il Museo del Giocattolo, che del genere è tra i più ricchi e forniti del panorama nazionale. Durante l’estate e non solo il Palazzo ospita attività di carattere istituzionale, culturale e musicale. Nel maggio del 1606 trovò rifugio nel palazzo il pittore Michelangelo Merisi detto “il Caravaggio”, in fuga verso Napoli, che durante la sua permanenza dipinse per il duca Marzio Colonna una Cena in Emmaus ed una Maddalena in Estasi. Un angolo che merita di essere visto è un portichetto, in Via Maestra (oggi Via Fabrini), nei pressi del Comune sotto il quale erano ubicati la pesa, il forno e il macello pubblici.download (2)
Il Museo rivolge particolare attenzione alla diffusione del significato dei giocattoli esposti presso le più giovani generazioni: per tale motivo dedica grande cura alle attività didattiche e di laboratorio, nel corso delle quali vengono trasmesse le tecniche di costruzione di giocattoli, burattini e marionette. Il museo si propone come contenitore vivo e ricco di iniziative per favorire riflessioni e nostalgie, ospitando al contempo attività culturali e didattiche, convegni, seminari, mostre temporanee, spettacoli.
Il percorso museale racconta, con la sua esposizione, non solo la realtà percepita attraverso la trasfigurazione della sensibilità infantile, ma la nostra stessa memoria, che si snoda attraverso le forme dei magici oggetti che popolano le vetrine e gli spazi del museo. I quadri espositivi rappresentano momenti della vita quotidianadownload (3): la città, la strada, la famiglia, le architetture, il lavoro, i trasporti vivono all’interno dello spazio insieme ai viaggi straordinari, alle gare automobilistiche, al circo ed al luna park. Essi provengono da collezioni storiche quali: Billig, Crestetto Oppo, Luisa Dellanzo, Marina Caprari, Sabrina Alfonsi.
Al centro di queste si nota una grande lastra di marmo sulla quale sono incise le misure ufficiali riconosciute nel piccolo stato. Alla sommità della suddetta lastra di marmo vigila austero il busto di un vecchio barbuto che nel dialetto locale veniva chiamato “Lu Gìustu” (il giusto). Esso in realtà raffigura il Papa Clemente IX Rospigliosi.

 

Olevano Romano

Olevano Romano è un comune di 6.914 abitanti della provincia di Roma. Dista circa 50 km dalla capitale.download
Area: 26 km², L’abitato si erge sul monte Celeste al confine con la provincia di Frosinone.

Olevano, rispetto alla Valle dell’Aniene, occupa una posizione geografica del tutto particolare, diversa da quella degli altri centri che sorgono sulle alture che delimitano il lungo e tortuoso cammino dell’Aniene. Il suo territorio infatti si estende affiancato alla storica vallata, quasi disarticolato da questa, dando origine ad un proprio bacino inferiore: la Valle del Sacco. Una via di penetrazione, quindi, verso altri versanti e culture diverse. Malgrado questa configurazione morfologica, che induce ad orientarsi verso altre urbanizzazioni, Olevano, al contrario, è saldamente ancorato alla Valle dell’Aniene da antichi legami storici.

Ai piedi dell’odierno centro medievale sorgono importanti mura poligonali, costituite da grandi massi irregolari, che attestano una remota origine del paese. L’archeologo Abeken, che le descrisse nel Bullettino Archeologico del maggio 1841, rilevando la “maniera rozzissima senza minimo adoperamento dello scalpello”, con la quale sono state eseguite, le associa al carattere delle mura di Tirinto, download (1)nell’Argolide, risalenti al XIV sec. a.C. e descritte da Pausania nel Periegenis, viaggio intorno alla Grecia. Diversi scrittori le hanno invece ritenute costruite dai mitici Pelasgi, ipotizzando fantasiose origini sulla fondazione e sull’etimologia di Olevano. Oggi, pur non potendo escludere una remota costruzione delle mura poligonali in tutto il Lazio meridionale, si tende, dopo i saggi stratigrafici eseguiti in varie località, a non considerarle anteriori al VI sec. a.C..

Anche Olevano rientra quindi nel contesto storico e topografico della regione, nel periodo in cui le popolazioni degli Ernici, degli Equi e dei Volsci si fortificarono per resistere all’espansione di Roma. Le mura di Olevano trovano in tal senso una collocazione strategica affiancata da quelle di Bellegra e di Roiate; una barriera difensiva realizzata per proteggere il versante dell’Aniene dove era stanziato il popolo degli Equi. Con la conquista romana questi punti strategici furono tra i primi ad essere occupati, per la loro particolare posizione. Gli Equi vennero definitivamente sottomessi nel 304 a.C. e nel loro territorio, per testimonianza di Livio (Ad Urbe condita – X,9), venne costituita la Tribù Aniense.

Anche Olevano venne ad essa ascritta insieme agli altri centri dell’Aniene. Questa sua appartenenza risulta da un reperto archeologico assai noto, ma non sufficientemente valutato. Sempre nel maggio del 1841, l’Abeken descrisse una lapide rinvenuta in località Belvedere ed utilizzata in una vigna come tavolo, li reperto, pubblicato anche nel Corpus Inscriptionum Latinarum (Vol. XIV-XXI. 3438), reca la seguente iscrizione: M. MUNATULEIUS M.F. ANI MARCELLUS Trib. mil. A. POPULO M. MUTANULEIUS C.F. ANI MONTANUS PATER. L’importanza della lastra marmorea consiste nella parola ANI – Aniensis – che annovera i personaggi alla Tribù Aniense e trova riscontro in analoghi ritrovamenti effettuati a Trevi, Affile, Subiaco, Rocca Canterano, Saracinesco, Siciliano, Castelmadama e Arsoli. Una delimitazione geografica e politica esauriente, anche se parziale.

images (1)Del periodo romano Olevano conserva consistenti testimonianze archeologiche, segno di una avvenuta colonizzazione del territorio. Ancora ai giorni odierni, in occasione dello scavo del gasdotto, i reperti venuti alla luce sono stati numerosi e significativi. L’anno 476 segna la caduta dell’Impero Romano ed il decadimento dell’intera Italia; dopo appena 4 anni nasceva in Umbria Benedetto da Norcia, un personaggio destinato a caratterizzare le vicende storiche di tutta la Valle dell’Aniene. Olevano entrò subito a far parte del patrimonio monastico di Subiaco. Nella donazione di Teriullo, padre di Placido, diretto discepolo di Benedetto, sono compresi alcuni terreni posti nel territorio di Olevano. S. Placido rimane comprotettore di Olevano. come indica il Proprium Sanctorum della diocesi di Palestrina, fino al 1680 quando venne sostituito con S. Vittore. I beni monastici, nel territorio di Olevano, vennero gradualmente aumentando sotto la protezione di papi e imperatori. Nella bolla di Giovanni XII, dell’anno 958, e nel privilegio di Ottone I, del 976, si nomina il fundum Olibani tra i beni dei monaci di Subiaco. Nel privilegio di papa Benedetto VI, nel 973, ed in quello di Leone IX, del 1051, Olibano cum pertinentia sua sono confermati al Monastero.

Nella bolla di Pasquale II, dell’anno 1115, riportata nel Chronicon Sublacense, sinomina Olivanum cum omnibus fundis et casalibus eorum. Questa bolla attesta la potesta feudale dell’Abbazia di Subiaco sul castello di Olevano, la giurisdizione spirituale, mai contestata, rimase invece sempre al vescovo di Palestrina. Nella bolla dell’anno 1168 emanata da Clemente III ed in quella di Onorio III del 1217 il castello di Olevano è confermato al Monastero sublacense. Dopo quella data passa alla famiglia Colonna ed inizia il graduale allontanamento di Olevano dal versante dell’Aniene. Nella bolla di papa Innocenzo IV, del 1243, è ricordato Oddone de Columna dominus Olebani. Bonifacio IX lo tolse ai Colonna e lo concesse, nel 1401, a Francesco e Paolo Orsini. Nel 1411 Giovanni XXIII infeudò Giordano e Lorenzo Colonna. Alessandro VI, nei 1501, lo confiscò ai Colonna assegnandolo a Giovanni Borgia. I Colonna, dopo la morte del papa, nel 1503, ripresero il castello. Dopo la fine del XVI sec. passò al ramo , dei Colonna di Zagarolo. Con istrumento de Totis del 30 maggio 1614, il duca di Zagarolo Pier Francesco Colonna vendette Olevano al cardinale Scipione Borghese. Rimase così sempre ai Borghese che lo tennero col titolo di marchesato.

Centri storici

Il centro di Olevano Romano risale almeno all’epoca romana. Ne è testimonianza un’archeologia monumentale di rilievo: i resti della cinta muraria in opera poligonale, realizzata in grossi blocchi rozzamente squadrati in pietra locale, di epoca anteriore alla romanizzazione del territorio. imagesDiviene “castrum” nel medioevo: compare con tale appellativo in un atto di vendita, stipulato nel 1232 fra Oddone Colonna, nuovo signore di Olevano e Papa Gregorio IX (1227-1241). Risale a questo periodo la costruzione del Castello, edificato sull’alto sperone di roccia calcarea a difesa del borgo. Dopo i Colonna il feudo passò al Comune di Roma, che nel 1364 emanò gli Statuti della città, poi agli Orsini per concessione di Papa Bonifacio IX.

L’ultimo signore di Olevano fu il principe Camillo Borghese (1775-1832), marito di Paolina Bonaparte, sorella diNapoleone.

Monumenti

Olevano Romano ospitò nel sec. XIX importanti pittori tedeschi, danesi e francesi e di altri Paesi europei, pittori che lo hanno scelto come meta del loro “viaggio in Italia”. Tale esperienza veniva allora considerata indispensabile per acquisire l’abilità nella riproduzione di paesaggi caratterizzati dalla luce, dal colore e da una natura ricca di rocce e querce. Tra i primi ad arrivare il pittore tirolese Joseph Anton Kochdownload (3), che sposò Cassandra Ranaldi. Tra tutti spiccano i nomi di Jean-Baptiste Camille Corot, che ha immortalato in splendide opere la campagna olevanese, di Friedrich von Olivier e di Franz Theobald Horny, morto giovanissimo, sepolto nella Chiesa di S. Rocco. Non lontano dal centro c’è il Museo-Centro Studi sulla pittura europea di paesaggio del Lazio, aperto sabato e domenica. Vi si trovano esposti disegni dell’800 e del ‘900, serigrafie, la donazione dell’artista Heinz Hindorf e la collezione delle stampe delle Vedute Romane di Joseph Anton Koch.

Boschi e foreste

Tra l’Aniene e il Sacco, al centro di un ampio anfiteatro formato dai rilievi Tiburtini, Ruffi, Carseolani e Simbruini, si erge il Monte Celeste.Bellegra, con le sue antiche mura ciclopiche, ne occupa la parte più alta, a 800 metri di quota: querce e castagni a Nord, vigne e oliveti a Sud.13902593_1110787515663854_1431498436542598612_nSul versante meridionale, verso il confine frusinate, si affaccia Olevano Romano. Anche qui i grossi blocchi squadrati della cinta muraria, anteriori all’epoca romana, e il castello duecentesco testimoniano il ricco passato. Il panorama è vasto, la natura ridente, la storia millenaria, il paesaggio antropico vivace e articolato. I vigneti del rosso cesanese sembrano risalire il pendio per offrire nettare agli abitanti e non sorprende che paesaggiste e pittori dell’Ottocento nordeuropeo, abbiano deciso di servirsene, incoraggiati dalla proverbiale ospitalità delle genti.

Poco più a Est, lungo le pendici occidentali del monte Scalambra, uno sperone di arenaria in posizione di controllo sulla piana latina, alloggia Roiate, con le sue mura preromane e i segni del successivo incastellamento. Ambienti e storie condivise, passati e presenti assai simili. Scorrendo le pagine delle tre amministrazioni comunali compaiono lunghi elenchi di nomi maschili: sindaci, assessori e consiglieri sono chiamati a rappresentare le istituzioni ma non riflettono la composizione demografica delle rispettive cittadinanze, costituite mediamente da un 51-52% di donne. Nel Consiglio comunale di Bellegra sono presenti dodici uomini e una sola donna; una sola donna anche a Roiate e a Olevano Romano, dove i colleghi salgono a tredici. La toponomastica ricalca questa visione androcentrica del mondo. Secondo l’Agenzia del territorio a Bellegra, su 98 strade, 17 sono intitolate a uomini e soltanto una, o forse due, a donne (santa Lucia e Tre morette?); a Roiate, con 44 aree di circolazione, 11 sono maschili e 3 femminili (santa Maria, Madonna delle Grazie, Maria Montessori); Olevano, su un totale di 118 vie e piazze, conta 28 presenze maschili e 4 femminili (santa Maria di Corte, con due intitolazioni, santa Maria Annunziata e la benefattrice Antonia Zonnino). La presenza femminile, così vitale e variegata, non trova spazio nella memoria collettiva: un pesante drappo cala, come una scure, sul passato delle madri.

Chiesa di Santa Margherita

35Nel cuore del centro storico di Olevano Romano troviamo la Chiesa dedicata a Santa Margherita, patrona del paese. Edificata nel IX secolo D.C., nel tempo, la sua struttura  è stata sottoposta a profondi restauri ed ampliamenti ed attualmente si presenta a due navate di cui una centrale. Al suo interno, sotto l’altare principale, è conservato il corpo di San Vittore ed è inoltre possibile ammirare numerose tele ad olio, recentemente restaurate. Molto particolare il suo soffitto a cassettoni quadrati e rettangolari adornati con fregi dorati.

Santuario della SS. Annunziataver-ss-annunz-olevano-rom

si trova nella parte bassa del centro storico, che rimane distaccato dal Paese e si
affaccia su una piazza pavimentata da un selciato di pietra.

 FESTE E SAGRE

 Festa di Sant’Antonio Abate: 17 gennaio, processione e benedizione di animali.

Carnevale dei bambini: martedì e giovedì grasso (per informazioni rivolgersi alla Pro Loco).

Festa dell’Annunziata: la domenica più vicina al 25 marzo; apertura del Santuario della Madonna di Colle di Maggio; processione per le strade del centro storico.

Sagra dell’olio d’oliva: ultima settimana di aprile.

Prima domenica dopo la Pentecoste (fine maggio – inizio giugno) Pellegrinaggio alla SS.Trinità: l’antica devozione alla SS.Trinità, rivive ogni anno in questo pellegrinaggio a piedi o a dorso di mulo fino al santuario alle pendici del monte Autore, nel cuore dei monti Simbruini presso Vallepietra. Il ritorno vede i pellegrini in processione, al seguito degli stendardi delle due parrocchie, con bianche infiorescenze raccolte tra i monti sul capo.

Festa di Sant’Antonio sul Monte Arcangelo: la domenica più vicina al 13 giugno.

Prima domenica di luglio  SS. Annunziata (Madonna di Colle di Maggio): un tempo celebrata il 25 marzo, è la tradizionale festa con processione al santuario appena fuori il paese. Il giorno successivo si continua con una più laica merenda tra gli ulivi del vicino Colle della Puglia, chiamata La Madonnella.

Festa di Santa Margherita di Antiochia: 20-21 luglio; festa patronale con canonica processione delle autorità civili e religiose, al seguito il busto argenteo della Santa. In concomitanza con la festa Patronale, per una settimana ad Olevano si torna indietro nel Medioevo, con la rievocazione storica medievale denominata “Dies in Castro Olibani” di costumi, mestieri, suoni, antiche botteghe e locande dell’epoca. Sfilata in costume e numerosi giochi che portano le tre Porte: Porta del Sole, Porta Su e Porta Sambuco. Tutte e tre si sfidano per la vittoria del Palio. Un appuntamento da non perdere, ha già stregato e incantato molti turisti. Intrattenimento pirotecnico.

Olevano Romano era nel medioevo un centro abitato fortificato, un castrum, all’interno del quale era possibile accedere grazie a tre porte. La popolazione, sottoposta al dominio di un signore, che con gli Statuta del 1364 divenne Roma rappresentata dalla Curia di olevano, era suddivisa in: nobiles, proprietari delle terre e cavalieri, epedites, per la maggioranza contadini, che lavoravano le terre della Curia, dei nobili o della chiesa; avevano però il diritto ad un orto e la concessione al pascolo nelle terre comuni e all’uso delle acque, cosa che garantiva a tutti un sostentamento minimo. Le fatiche quotidiane venivano sospese nei dies festivi, di cui “Dies in Castro Olibani” vuole essere una rievocazione storica. (Antiche Terre del Lazio).

Calici sotto le stelle: 10 agosto. Ad agosto si svolge anche ad Olevano Romano alici di stelle, serata enogastronomica con degustazione dei vini a cura delle Aziende della Strada del Vino Terra del Cesanese di Olevano Romano. E’ possibile la visita del Planetario gonfiabile e l’osservazione del cielo con i telescopi, con animazione, seminari di approfondimento e proiezioni scientifiche. (Antiche Terre del Lazio).

Festa di San Rocco: 16 agosto; celebrazione parrocchiale, molto sentita nel rione omonimo, sempre spunto di rivalità di campanile.

Sagra del vino Cesanese: ultima settimana del mese di agosto; la tradizionale sagra del vino ripresa dagli anni settanta, con sfilata di carri allegorici, giochi popolari, banchetti e musica in piazza. E’ comunque l’occasione annuale per il confronto delle idee, e delle bottiglie sul Cesanese.

Festa di Santa Maria della Corte: domenica più vicina all’8 settembre; altro frutto dell’antica devozione popolare per la Madonna, si celebra ogni anno attorno alla cappella del castello.

Vinnovo – Le cantine del Cesanese: seconda domenica di dicembre.

PRODOTTI TIPICI

Olevano è immerso tra vigneti ed oliveti e deve la sua fama nazionale ed images (2) internazionale soprattutto al vino. La qualità d’uva prevalentemente coltivata è il CESANESE DI OLEVANO, derivante da quella di Affile. Conformemente alla tradizione locale, il disciplinare della produzione ammette la presenza di una piccola percentuale di vitigni a frutto bianco la cui funzione principale consiste nell’innalzare il tenore di acidità e conferire maggiori profumi al vino.

L’OLIVO è parte integrante del paesaggio olevanese fin dalla notte dei tempi: olivi secolari sono la testimonianza della cultura e della download (4)vocazione di un territorio, quello olevanese, con il quale l’olio extravergine di oliva costituisce un binomio inscindibile. Leccino, Frantoio, Moraiolo e soprattutto l’autoctona Rosciola caratterizzano il territorio olevanese producendo olii extravergine di oliva dalle peculiari qualità organolettiche che si presentano alla vista di un bel colore giallo e sottili note verde; all’olfatto sono caratterizzati da eleganti note fruttate di mela bianca e sentori vegetali di erba; al gusto dai toni leggermente fruttati, morbidi ed armonici nei toni amaro e piccante.

“Tisichella”, “Spumone”, Frittelle di zucca e cavolfiore, Ventricina Olevanese, Cacciagione, Coratella, Ciambella di magro.

Pro loco

anteprima1La “Associazione Pro Loco Olevano Romano” è una associazione su base volontaria di natura privatistica senza scopo di lucro, ma con rilevanza pubblica e finalità di promozione sociale, turistica, di valorizzazione di realtà e di potenzialità naturalistiche, culturali, storiche ed enogastronomiche del comune di Olevano Romano.

 

  1. Le finalità che laAssociazione ProOlevano Romano ha come oggetto sociale sono:
  2. svolgere fattiva opera per organizzare turisticamente la località, proponendo alle Amministrazioni competenti il miglioramento estetico della zona e tutte quelle iniziative atte a tutelare e valorizzare le bellezze naturali nonché il patrimonio culturale, storico – monumentale ed ambientale, attivando ogni possibile forma di collaborazione con enti pubblici e privati;
  3. promuovere e organizzare, anche in collaborazione con gli Enti Pubblici e/o privati, iniziative (convegni, escursioni, spettacoli pubblici, mostre, festeggiamenti, manifestazioni sportive, fiere enogastronomiche e/o di altro genere, nonché iniziative di solidarietà sociale, recupero ambientale, restauro e gestione di monumenti, ecc.) che servano ad attirare e rendere più gradito il soggiorno dei turisti aOlevano Romanoe la qualità della vita dei residenti;
  4. sviluppare l’ospitalità, l’educazione turistica d’ambiente e la conoscenza globale del territorio, e più in generale sensibilizzare la popolazione residente nei confronti del fenomeno turistico;
  5. stimolare il miglioramento delle infrastrutture e della ricettività alberghiera ed extra alberghiera;
  6. preoccuparsi del regolare svolgimento dei servizi locali (interessanti il turismo) svolgendo tutte quelle azioni atte a garantirne la più larga funzionalità;
  7. collaborare con gli Organi competenti nella vigilanza sulla conduzione dei servizi pubblici e privati di interesse turistico, verificando soprattutto il rispetto delle tariffe proponendo, se del caso, le opportune modificazioni;
  8. curare l’informazione e l’accoglienza dei turisti, anche tramite la gestione degli Uffici d’Informazione previsti dalla Legge vigente in materia.;
  9. promuovere e sviluppare la solidarietà e il volontariato nonché l’aggregazione sociale, attraverso attività nel settore sociale e del volontariato a favore della popolazione della località (proposte turistiche specifiche per la terza età, progettazione e realizzazione di spazi sociali destinati all’educazione, alla formazione e allo svago dei minori, iniziative di coinvolgimento delle varie componenti della comunità locale finalizzate anche all’eliminazione di eventuali sacche di emarginazione, organizzazione di itinerari turistico – didattici per gruppi scolastici, scambi da e per l’estero per favorire la conoscenza del territorio, la cultura del medesimo anche ricollegando i valori del nostro territorio e della nostra cultura con quelli degli emigrati residenti all’estero).
  10. Per il raggiungimento degli scopi sociali sono ammesse tutte le iniziative accessorie e connesse regolarmente deliberate dagli organi statutariamente competenti.
  11. Le attività elencate potranno essere svolte instaurando forme di collaborazione con enti pubblici e privati.

 

Associazioni

Protezione Civile

imageSiamo un gruppo composto da circa trenta Volontari a disposizione della collettività e delle Autorità preposte per fronteggiare situazioni di emergenza. Siamo tutti volontari, cioè dedichiamo il nostro tempo libero gratuitamente per aiutare chi è in difficoltà o pericolo e salvaguardiamo l’ambiente. Quando ci vedi con i nostri mezzi stiamo facendo una di queste cose e ci riconosci dalla divisa fluorescente e dallo stemma.

Una storia fatta di passione

Il volontariato di protezione civile, divenuto negli ultimi anni un fenomeno nazionale che ha assunto carattere di partecipazione e di organizzazione particolarmente significativi, è fenomeno nato sotto la spinta delle grandi emergenze verificatesi in Italia a partire dall’alluvione di Firenze del 1966 fino ai catastrofici terremoti del Friuli, 6 maggio 1976, che provocò mille morti e settantamila sfollati; e dell’Irpinia, 23 novembre 1980 che provocò 2914 morti, 8848 feriti e 280mila sfollati. Si scoprì in queste occasioni che ciò che mancava non era la solidarietà della gente bensì un sistema pubblico organizzato che sapesse impiegare e valorizzare un così gran numero di volontari. Ebbe così inizio l’ascesaimage (1) del Volontariato di Protezione Civile.        Il 25 febbraio 1984 un gruppo di cittadini: Bonadonna Maurizio, Pacciani Alfredo, Pacciani Alberto, Baldi Maurizio, Caporilli Carlo, Proietti Augusto, Milana Lorenzo, De Matti Mariano, Milana Otello, Sneider Francesco, De Valeri Angelo, De Valeri Silvio e Lanciotti Edmondo, fondò ad Olevano l’Associazione Italiana Protezione Civile di Olevano Romano.                                                                                                             L’associazione, come recita lo statuto, è apolitica, apartitica e senza finalità di lucro ed ha lo scopo di divulgare con qualsiasi mezzo i principi della Protezione Civile oltre che sollecitare e collaborare con gli organi preposti per l’attivazione delle normative sulla Protezione Civile.                                                                                                                               Nelle successive catastrofi, alluvione di Alessandria del 1994, l’Associazione si è resa operativa portando soccorso alle popolazioni organizzando raccolte di materiali e fondi, da ricordare in proposito il contributo economico a favore del comune di Camino image (2)(AL) distribuito dal Sindaco a 17 famiglie; i materiali portati presso la Cattedrale di Camerino terremoto delle Marche ed Umbria del 1997. Di particolare rilevanza la partecipazione ai funerali di Papa Giovanni Paolo II – gli interventi per le esondazioni dei fiumi Tevere ed Aniene – la raccolta e consegna di materiali (tra i quali tremila litri di gasolio) ai campi di San Demetrio ne Vestini e Onna e la partecipazione attiva di 12 volontari in occasione del sisma dell’Abruzzo del 2009 – gli interventi in tutti gli incendi boschivi e non che hanno interessato il territorio comunale e dei comuni limitrofi – gli interventi per allagamenti di locali – spargimento sale in occasione di gelate, nevicate (si ricorda la grande nevicata del febbraio 2012 – la partecipazione a tutte le manifestazioni locali.                                                                             Nel 2009 in occasione dei festeggiamenti del 25° anno della fondazione, è stato costituto i Gruppo Giovani Claudio Pak ed è stato adottato il motto “NOI SIAMO CHI SCEGLIAMO DI ESSERE”  a testimonianza della libera scelta di essere e fare Volontariato.

Aziende vinicole

Azienda vinicola Damiano Ciolli

L’Azienda vitivinicola Ciolli si trova a Olevano Romano, uno splendido borgo medievale arroccato a circa 600 metri sul livello del mare sul Monte Celeste, a sud-est della provincia di Roma. Il territorio collinare e montagnoso è caratterizzato da condizioni pedo-climatiche che hanno permesso nei secoli lo sviluppo di una sapienza vitivinicola di notevole interesse qualitativo, che persiste tutt’oggi. 1L’Azienda inizia la sua attività nel 2001, quando l’attuale titolare Damiano Ciolli e il padre Costantino – eredi di una tradizione viticola famigliare di almeno quattro generazioni – convinti del grande potenziale dell’uva Cesanese d’Affile, e spronati dalla straordinaria qualità delle uve provenienti da una vecchia vigna di proprietà (messa a dimora dal nonno di Damiano nel 1953) decidono di imbottigliare la loro produzione. Le dimensioni contenute dell’azienda, che si sviluppa complessivamente per circa 6 ettari, consentono di curare scrupolosamente ogni dettaglio della produzione dalla potatura all’imbottigliamento. I vigneti – tutti di proprietà – sono situati su di una collina ad un’altitudine di circa 450 metri, con esposizione a sud e terreni dal colore rosso scuro di origine vulcanica; è qui che il Cesanese d’Affile, una delle antiche uve “alveole” romane, da sempre coltivato in queste terre, trova le condizioni ideali di maturazione. L’obbiettivo dell’azienda è fare esprimere al vino quelle caratteristiche uniche che derivano dall’interazione fra suolo, microclima e vitigno, producendo eticamente e coniugando i sapori della terra con la valorizzazione dell’ambiente, nel rispetto delle antiche tradizioni contadine.

Cirsium

cirsiumIl Cirsium, il cui nome trae ispirazione dal cardo campestre, è la nostra selezione aziendale, proveniente da un vigneto di Cesanese di Affile di circa 1 ettaro, piantato nel 1953 e coltivato ad alberello modificato in parete. Questa vigna produce naturalmente da 4 a 6 grappoli per ceppo. La vendemmia manuale avviene quando la maturazione delle bucce, dei vinaccioli e degli aromi ha raggiunto l’optimum. I grappoli vengono accuratamente selezionati, ed eventuali acini imperfetti vengono immediatamente scartati. Le uve vengono fermentate in acciaio a temperatura non superiore a 25 ° C per preservare gli aromi caratteristici del Cesanese. La macerazione dura circa 15 giorni. Dopodichè il vino viene travasato in botti di rovere francese, dove riposa sui suoi depositi fini per circa 18 mesi. Nel corso dell’affinamento vengono svolti batonages regolari. Dopo l’imbottigliamento Cirsium affina nella nostra cantina per almeno 2 anni.

Silene 

 sileneIl Silene è il vino d’entrata dell’azienda. Il nome deriva da un fiore molto comune nelle nostre campagne, il Silene Vulgaris riconoscibile dalla caratteristica forma a palloncino. E’ ottenuto da una selezione di uve Cesanese di Affile (100%) provenienti da vigneti piantati nel 1981 e nel 2002, allevati rispettivamente a cordone speronato e Guyot. La resa alla raccolta varia da 1,5 a 2 kg a seconda del ceppo (da 6 a 10 grappoli per pianta). Le uve – vendemmiate a mano quando la maturazione ha raggiunto il livello ottimale – vengono fermentate in vasche di acciaio a temperatura non superiore ai 25 °C per preservare gli aromi caratteristici del Cesanese. La fermentazione dura circa 8 giorni; dopo la svinatura il Silene affina in vasche di cemento, sui suoi depositi fini per circa un anno e dopo l’imbottigliamento riposa nelle nostre cantine per ulteriori 6 mesi.

 

 

Castel San Pietro Romano is a small hamlet of 886  resident walking for the hamlet the silence of the surrounding country can be tasted , broken occasionally from the sound of the bells.

 

THE FORTRESS OF THE COLONNA

 

Fortitude was destroyed for well twice and definitely reconstructed in the XIV century. The rests of the fortress vaguely consist in a mighty building perimeter to triangular plant, with indications of defensive towers to three summit. From the hamlet center it was accessed the fortress through a bridge drawbridge that allowed to climb over the defensive ditch outside.

 

MONUMENTS AND PLACES  OF INTEREST

 

The historical center, beyond  possessing pleasant street and characteristic plazas, possess different panoramic points from which it is possible to observe good-looking foreshortenings of the underlying Valley of the Sack as well as the first layers of the city of Rome.

 

RELIGIUS ARCHITECTURES

 

  • Church of Saint Maria of the Coast

The church rises on the place of the hermitage of Blessed Margherita Colonna, Roman virgin withdrawn him in poverty to Castel San Pietro Romano, founding in the town a small monastery with attached church. The small church of Saint Maria, realized in 1700, it rises in the same point in which it was the monastery, already in downfall to the epoch of the construction of the actual building

  • Church of St. Pietro Apostolo

The church, that dominates the principal plaza town, rises on the rests of a precedent Roman construction, destroyed in the VIII century. Subsequently to a thirteenth-century recovery, and after an attempt irrealizzato of restauration planned by Pietro by Cortona, the structure it assumed the actual configuration in 1732, year in which, for wish di Clemente XII, was magnified and restructured on project of Nicola Michetti. In such period the external parvis and her totality was almost realized of the inside decorative apparatus. In the wall of left they are preserved the bare ones of a Christian martyr, recovered in the cemetery of S. Caledopio, to which the name of Clemente was given..

Palestrina

palestrina-9Palestrina  è un comune italiano di 21 661 abitanti in provincia di Roma. Il nome deriva dall’antica via romana Prenestina. Sorge sull’antica città latina Praeneste. Il santuario si colloca tra i capolavori dell’architettura romana di epoca repubblicana, influenzato, nella scenografica disposizione a terrazze, A partire dal Medioevo fu sede suburbicaria, con patrono sant’Agapito martire.

Attrattori ambientali

Sorgenti

Non lontano da Palestrina, l’antica Preneste e dal suo famoso Tempio della Fortuna, sede palestrina-19.jpgdi un oracolo tra i più frequentati della romanità, l’area protetta comprende il magnifico bosco delle Cannuccete. Lo compongono annosi esemplari soprattutto di aceri, cerri, carpini, scampati al taglio in virtù di un vincolo volto da secoli a proteggere alcune sorgenti, che grazie a un acquedotto in parte sotterraneo alimentavano Praeneste (da cui il nome dei locali monti Prenestini). I loro tronchi offrono rifugio al picchio verde e al rosso maggiore, al torcicollo, al picchio muratore, alle cince e ai rapaci notturni come l’allocco e l’assiolo. Una storia locale racconta che sotto una roverella colossale, vecchia forse di sette secoli, amasse sostare il musicista Pierluigi da Palestrina.

Il monumento naturale è solcato da alcuni sentieri tabellati.

Cenni storici

Palestrina è adagiata sul versante sud del monte Ginestro, uno sperone dei monti Prenestini, a 450 m. s.l.m.; è d’interesse notevole per la sua posizione, per la sua conformazione urbana e per i resti di un santuario pagano dedicato alla Fortuna Primigenia.download (2)
La leggenda la vuole fondata da Telegono, figlio di Ulisse, o da Prenesteo, nipote dello stesso; per Strabone è addirittura d’origine greca. I ricchi corredi tombali di proprietà dei Barberini e Bernardini attestano che agli inizi del VII secolo a.C. l’antica Praeneste era molto fiorente e in seguito fece parte della lega latina per contrastare la potente Roma, alla quale però nel 338 a.C. si sottomise diventandone alleata.  Conobbe alterni periodi di pace. Nell’82 a.C. subì il saccheggio di Silla, in marcia contro Mario che si trovava fra le sue mura durante le guerre sociali. Nel periodo imperiale fu luogo di villeggiatura (Augusto si fece costruire una villa ingrandita forse da Adriano), e vi fervevano attività diverse fra cui la produzione di oggetti bronzei, di sculture funerarie, di ciste, specchi ecc. Il santuario della dea Fortuna fu meta di pellegrinaggi almeno sino al 250 d.C.; la statua e la rinomanza del culto furono testimoniate anche da Cicerone, ma nel IV secolo il tempio fu probabilmente chiuso in conseguenza degli editti di Teodosio contro la cultura pagana.
Sul santuario abbandonato sorse la città prenestina che fu coinvolta nelle guerre di Roma contro Goti e Longobardi nel 792. Nell’873 si trova per la prima volta, in un codice di Farfa, la denominazione di “Palestrina”; alla fine del IX secolo avvenne la traslazione nel Duomo delle ossa di S. Agapito. Nel 970, dopo esser stata feudo dei Conti di Tuscolo, Giovanni XIII la concesse in enfiteusi alla senatrice Stefania. Nel XII secolo passò sotto i Colonna che, essendo ghibellini, ingaggiarono feroci lotte contro i papi fra cui Bonifacio VIII che prese la città, la distrusse e la riedificò nella pianura. Nel 1300 fu nuovamente distrutta da un incendio. Ne tornarono in possesso i Colonna, ma nel 1436 il cardinal Vitelleschi, sconfiggendo il fronte antipapale della nobiltà romana, costrinse Francesco Colonna a ritirarsi in esilio a Terracina e rase al suolo la città e la sua Cattedralepalestrina3 (1). Nicolò V restituì, dopo la sua ascesa, la proprietà ai Colonna che operarono per la sua ricostruzione. Nel 1630 Francesco Colonna la vendette per necessità a Carlo Barberini, fratello di Urbano VIII. I secoli successivi furono caratterizzati da una crescita civile ed economica interrotte da eventi naturali (terremoto del 1703) e, con alterne vicende, da scorribande di eserciti stranieri che a più riprese imperversarono nella provincia romana. Durante la seconda guerra mondiale, Palestrina subì pesanti bombardamenti che per contro favorirono il recupero e la liberazione di gran parte delle zone del tempio antico. Con Ostia, Frascati, Albano, Velletri, Porto (e Rufina) è una delle “diocesi suburbicarie”, di cui sono titolari sei cardinali vescovi. Palestrina inoltre, ha dato i natali al famoso Giovanni Pierluigi (1529-94) creatore della musica polifonica.

Tempio della Dea Fortuna

Una cinta muraria in opera poligonale risalente al VI secolo a.C. includeva l’abitato e l’acropoli (oggi Castel S. Pietro). I resti archeologici più significativi sono quelli del grandioso santuario della Fortuna Primigenia , uno dei luoghi di culto più importanti del mondo romano. Il santuario costituisce l’esito più straordinario dell’influsso di modelli architettonici dell’Oriente ellenico, caratterizzati da una scenograficadownload (1) monumentalizzazione del paesaggio. La datazione è fissata alla fine del II° secolo a. C. In posizione dominante sul Foro e sulla città, si articola su terrazze artificiali collegate da rampe e scalinate perfettamente assiali al tempio superiore e alla statua di culto, culminanti in un’ampia cavea, anticamente coronata da un portico e da un tempietto circolare, che rappresentava il centro ideologico di tutto il sistema. Le prime due terrazze, di cui la seconda munita di un portico colonnato e di cinque ninfei ad emiciclo, sono costruite da giganteschi muri in opera poligonale e separano il vero santuario dal cosiddetto “santuario inferiore” corrispondente in realtà al foro della città, collegato al complesso sacro da una serie di scalinate laterali, oggi non più visibili. Queste conducevano alla terza terrazza (la prima del santuario) e terminavano contro due esedre tetrastile munite di fontane, le vasche lustrali da cui aveva inizio il santuario vero e proprio. Ai lati delle due esedre sono stati scoperti vari ambienti decorati con pitture. Sulla terza terrazza è situata una gigantesca rampa doppia, costituita da due scalinate simmetriche, per metà coperte e per metà colonnate, al centro libere per consentire una visione prospettica della parte superiore. Si tratta in realtà di un portico colonnato, coperto a volta e decorato all’interno con semicolonne ioniche a capitelli inclinati. Il portico costituiva l’accesso principale al santuario e permetteva di raggiungere la quarta terrazza, che è la cosiddetta “terrazza degli emicicli”. Al centro di quest’ultima ha inizio una scalinata assiale che conduce ai livelli superiori; ai lati della scalinata sono due grandi emicicli (che danno il nome alla terrazza) affiancati da due serie di quattro ambienti per lato. Entro gli emicicli presumibilmente sedevano i fedeli in attesa di consultare l’oracolo.
download (3).jpgLa sede dell’oracolo, infatti, era proprio davanti all’emiciclo di destra, dove è stata rinvenuta una base di statua decorata con un fregio dorico, che doveva sostenere il simulacro della Fortuna con Giove e Giunone in grembo. Accanto al simulacro era, secondo Cicerone, il luogo di ritrovamento delle sortes; qui infatti è stato scavato un pozzo all’interno del quale sono stati scoperti i resti di un’edicola circolare e la testa della Fortuna. Si tratta di un monoptero di travertino con sette colonne corinzie su alto podio,decorato con fregio dorico. Il sacello serviva a ricoprire il luogo di ritrovamento delle sortes, ritenuto sacro.
La scalinata assiale situata al centro della terrazza degli Emicicli permette di accedere alla quinta terrazza detta “dei Fornici a semicolonne” perché caratterizzata da una serie di ambienti inquadrati da semicolonne ioniche. La terrazza degli Emicicli e quella dei Fornici costituivano il cosiddetto “santuario inferiore”. Segue la sesta ed ultima terrazza, quella “della Cortina”, che costituiva invece il “santuario superiore”. L’area era delimitata su tre lati da un doppio portico di colonne corinzie; il lato meridionale invece era aperto, in direzione del complesso sottostante. La parte centrale della terrazza era occupata a nord dalla cavea di un teatro, conclusa in alto da un portico a doppia fila di colonne. Al di sopra del teatro era il tempio di cui restano solo i muri di fondazione.
E’ questo il luogo sacro dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe trasudato miele; qui era l’altra statua di culto della Fortuna, ricordata da Plinio, che rappresentava l’aspetto giovanile e guerriero della dea, in contrapposizione a quello materno del santuario inferiore.

Villa di Adriano

Molti sono i resti delle ville romane sparse sul territorio prenestino, ma l’unica che conserva una certa maestosità e vastità è senz’altro quella di Adriano che sorge a fianco del cimitero, per la costruzione del quale furono abbattute molte strutture della villa.download (5) Da Svetonio sappiamo che Augusto fece costruire per sé e per i suoi successori la famosa Villa degli Imperatori dove rascorreva parte dell’anno. Incerta però fu la sua ubicazione, visto che nel seicento P. Volpi fece capire che questa era sotto il Casino di Campagna dei Barberini, detto il Triangolo per la sua forma particolare. Il Vescovo di Montalto Leonardo Cecconi ne individuò con perspicacia il sito esatto, sia basandosi su Aulo Gellio, che narra che Tiberio guarì da una grave malattia dimorando sotto Preneste e che Marco Aurelio, nel 170 d.C., qui perse il figlio di sette anni di nome Vero, sia sul fatto che in corrispondenza del luogo (cioè sotto Palestrina) ove sorge la chiesa rurale da sempre chiamata di S. Maria in Villa, vi sono dei grandi resti, in parte sotterrati, alla sinistra dei quali sorge ora il cimitero Pubblico stabilito nel 1860. La parte centrale, più conservata, è un grande download (4)edificio rettangolare con il muro in opera reticolata a legamenti laterizi del I-II secolo dell’impero, ed è divisa in tante aule minori della stessa forma. I bolli dei mattoni rinvenuti portano la data del terzo consolato di Serviano (a. 134), è certo quindi che la Villa Imperiale di Augusto fu restaurata ed abbellita da Adriano. Ad ulteriore conferma qui fu scoperta la statua di Antinoo suo favorito, durante gli scavi condotti nel 1793 da Hamilton.
Lo studioso afferma che “le rovine del palazzo mostrano un atrio maestoso e portici spaziosi e ancora resti degni di residenze destinate ad usi imperiali i quali si stendono nei terreni circostanti per circa un chilometro” . La statua di Antinoo fu venduta al pontefice Pio VI per il suo Palazza Braschi; Gregorio VXI la trasferì nel museo lateranense e Pio IX la fece collocare nella sala Rotonda del Museo Vaticano dove è attualmente. La statua era priva di manto (il panneggio attuale è di epoca moderna), questo fa pensare che in origine fosse di metallo.

Cisterna Romana

Anche la cisterna di notevoli dimensioni sembra avere comunque un orientamento prevalente secondo i punti cardinali, come la villa, e misura all’esterno circa m. 34 x 16. Il nucleo cementizio è costituito da scapoli di tufo bruno disposti in filari orizzontali, con due ricorsi orizzontali di bipedali di 4 cm. di spessore, uno posto a cm. 45 dal terreno attuale, l’altro a m. 1,80 dal primo. Il paramento esterno, conservato in un tratto del lato ovest e nel lato sud, è in opera laterizia con mattoni rosa e gialli dello spessore di 3-4 cm. (modulo 24-25 cm.). Questo paramento è interrotto nel lato sud, in corrispondenza di quelli che dovevano essere quattro contrafforti, ora distrutti quasi completamente.
L’interno è suddiviso al centro da quattro grossi pilastri a pianta cruciforme, da cui si dipartono delle volte a crociera, che iniziano a 3 m. da terra, ora crollate nella parte superiore. I pilastri sono uniti fra loro da archi a tutto sesto. Parte delle reni di questi archi è inserita nel muro dei pilastri stessi.palestrina-18
Ai quattro angoli interni ed in corrispondenza degli angoli tra i lati corti e i pilastri centrali si trovano dei rinforzi in laterizio con pianta ad arco di cerchio Il muro del lato nord, per il tratto ancora visibile su cui non si sono inserite le superfetazioni moderne, ha un andamento rettilineo con contrafforti, che in totale dovevano essere quattro, mentre quello sud presenta invece un andamento curvilineo in mezzo ai contrafforti, probabilmente per opporre maggiore resistenza alla spinta verso valle della enorme quantità di acqua che doveva essere contenuta nella cisterna. Tutti i muri interni hanno un paramento in opera laterizia con un rivestimento in opera signina dello spessore di ben 4 cm.
Tali caratteristiche architettoniche e strutturali, molto particolari, mostrano la estrema cura e la notevole raffinatezza posta nella costruzione di questa grande conserva d’acqua che doveva evidentemente rifornire un complesso residenziale di grande estensione e rilevanza. Purtroppo, l’edificio ha subito nel corso del tempo alcuni rimaneggiamenti ed è stato oggetto di interventi impropri che ne hanno in parte stravolto l’aspetto originario che deve invece essere ripristinato correttamente.
Le arcate dei pilastri centrali sono state tamponate; la prima crociera a nordovest è stata obliterata da una volta ribassata; nell’angolo sud-est è stato ricavato in tempi post-antichi un ambiente sotterraneo.

Bassolato  Romano

palestrina-20Via Pedemontana è fiancheggiata, sul lato destro per chi va verso Roma, dall’antica strada Consolare Prenestina che congiungeva Roma con Praeneste, passando per Gabii.
Il lastricato romano, perfettamente intatto, è composto da selci poligonali nere di basalto, talmente lisce da sembrare levigate, unite tuttora da un perfetto stato di coesione.

L’antico selciato affiora per molti tratti, a lato dell’attuale Via Prenestina, fino a Roma.

Chiese

Duomo di San Agabito

La Cattedrale dedicata a Sant’Agapito, martire a 15 anni sotto l’imperatore Aureliano (probabilmente nel 274), è sorta su un edificio romano (Iunonarium) di cui si vedono alcune strutture nella cripta, nello scavo visibile nella piazza e nella facciata, che faceva parte del santuario della Dea Fortuna. La forma primitiva era rettangolare, in opera quadrata con massi tufacei, e risalente al VI sec. a.C. Comprendeva in pratica l’area racchiusa entro i cinque pilastri dell’attuale navata centrale.palestrina-4
La trasformazione in tempio cristiano è di epoca incerta, ma senza dubbio fu realizzata dopo la pace di Costantino e comunque non oltre la fine del V secolo. Leone III restaurò la basilica e nell’anno 898 le reliquie di S.Agapito vi furono traslate dal sepolcro della basilica di Quadrelle. La sua forma si conservò inalterata fino al principio del sec. XII, quando la chiesa fu ampliata dal vescovo prenestino Conone in forme romaniche.
La parete di fondo che collegava le ultime due colonne, fu abbattuta e sul prolungamento, ricavato da una parte dell’area sacra del santuario, furono eretti l’abside, il presbiterio e l’altare maggiore. Furono aperti nelle pareti laterali grandi archi ed erette le navate laterali, e sotto l’abside una cripta. Di questo periodo si conservano la facciata a timpano e il massiccio campanile posto al suo fianco, con robuste trifore negli ultimi due ordini (la parte superiore, con la cuspide, fu rifatta nel sec. XV). Il Duomo sopravvisse alla distruzione che Palestrina subì per ordine di Bonifacio VIII nel 1298 ma fu devastato, nel marzo-aprile 1437 sotto il pontificato di Eugenio IV, dal suo commissario militare cardinal Giovanni Vitelleschi. Il portale di bronzo e gli stipiti marmorei dell’ingresso principale furono sottratti e portati a Corneto (oggi Tarquinia) città natale del Vitelleschi. L’attuale portale marmoreo è del sec. XV, con stemmi delle famiglie Della Rovere e Colonna: i due battenti di bronzo e rame sbalzato (1967) sono opera di Nicola Russo.

palestrina-3La Cattedrale fu riattivata e riaperta ai tempi di Niccolò V, come si rileva dall’iscrizione sepolcrale della nobile giovinetta romana Francesca Della Valle. La lapide è murata presso la porta laterale della navata destra. Subito dopo l’edificio fu abbellito, anche se non si hanno notizie precise di questi lavori. La basilica ebbe successivi rimaneggiamenti, aggiunte, restauri, tra cui quelli eseguiti nel 1706 dal cardinale Ludovico Emanuele Portocarrero, com’è ricordato dalle grandi epigrafi situate ai due lati dell’ingresso principale. Nel corso di questi interventi, furono anche sostituite le antiche incavallature in legno delle navate laterali ed eretti due piccoli altari che attualmente P1 – Duomo di San Agapito PALESTRINA La facciata fanno parte del presbiterio. Nel 1865 si progettò, dietro impulso del card. Luigi Amat, l’aspetto attuale del Duomo. La realizzazione fu tuttavia iniziata nel 1882 e proseguita fino al 1917 con l’assistenza ed il disegno di Costantino Sneider, architetto dei Sacri Palazzi Apostolici. Le linee architettoniche e le membrature in stucco dell’abside e del presbiterio sono opera dell’architetto Augusto Bonanni.
La cerimonia di inaugurazione della rinnovata cattedrale fu presieduta da uno dei promotori dell’intervento, il cardinale Vincenzo Vannutelli, il 16 dicembre 1917. Nel 1957, le lesioni provocate dal tempo e accentuate dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale consigliarono all’architetto Furio Fasolo la demolizione dell’avancorpo che nascondeva l’antica facciata, che fu restaurata con integrazioni e consolidamenti per rendere leggibile le tracce dell’antica meridiana posta nella zona superiore della parete. L’avancorpo comprendeva la loggia delle benedizioni e il portico fatti costruire nel 1839 dal card. Carlo Maria Pedicini. A seguito dei lavori di demolizione dell’avancorpo sono tornati alla luce il timpano romanico con un’edicola retta da due colonnine marmoree e la parte inferiore del campanile che ne rivela l’origine medievale (XII secolo). La parte superiore, demolita nel 1437, fu ricostruita nel XV secolo, probabilmente ai tempi del cardinale Girolamo Bassi Della Rovere e contemporaneamente vi fu aggiunta l’alta cuspide piramidale successivamente restaurata nel 1535. Riguardo all’epoca della struttura originaria del campanile, si può confermare l’osservazione fatta da Orazio Marucchi a proposito della visita pastorale del cardinal Bernardino Spada che, nel 1659, indicava di antichissima struttura la torre campanaria. Oggi si presenta con quattro ordini separati da semplici cornici in travertino. I due ordini superiori mostrano trifore con archetti tondi che poggiano su colonnine di marmo.download (6)
All’interno nell’ultimo ripiano, sono alloggiate quattro campane: due maggiori e due minori. Purtroppo sono da qualche anno inutilizzate per il timore che, con le vibrazioni indotte, possano compromettere la struttura campanaria. Il campanile è stato in parte consolidato nel 1977, quindi pulito e monitorato nel 1994 a cura del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. Gli ultimi interventi degni di nota nel duomo sono stati eseguiti per iniziativa del vescovo monsignor Pietro Severi ed hanno interessato la ristrutturazione del presbiterio e dell’altare maggiore per adeguarli alle vigenti norme liturgiche e per portare alla luce la cripta. Inoltre, la Cattedrale è stata dotata di un moderno organo a canne in sostituzione del preesistente risalente ai primi anni del ‘700. statuaLa parete di sinistra, in peperino rosso scuro tra due pilastri in muratura, è di recente costruzione e fu edificata per la collocazione della statua Regina Pacis di Francesco Coccia (1957). L’interno si presenta ricco di luce con partiture architettoniche arricchite con decorazioni in oro e marmi pregiati. I grossi pilastri in opera quadrata separano e scandiscono lo spazio che divide le tre navate. Il soffitto a cassettoni con rosoni dorati copre l’intera navata centrale; il pavimento è in lastroni di marmo bianco di Carrara e di bardiglio cappella, disposti a scacchiera. Nella seconda cappella sinistra, sull’altare con paliotto cosmatesco, si possono ammirare un Crocifisso, la Madonna, S. Lorenzo e due committenti (G. Cesare Colonna e sua madre Elena Della Rovere) di Girolamo Siciolante. In fondo alla navata sinistra, Martirio di S. Agapito di Carlo Saraceni, e di fronte, una tela di Andrea Camassei, pure raffigurante S. Agapito. In fondo alla navata centrale, addossato all’ultimo pilastro destro, è il pulpito marmoreo, con un Crocifisso bronzeo di Francesco Coccia. La navata centrale Nell’abside, dove è collocato il coro ligneo del 1650, vi sono affreschi di Domenico Bruschi (fra cui Martirio e Gloria di S.Agapito). Sugli altari minori, ai due lati del presbiterio, sono due tele ovali di Giovanni Odazzi raffiguranti S. Ildefonso e l’Estasi di S. Teresa. Nel primo altare a destra, Transito di S. Giuseppe (1888) di Achille Guerra. Ai lati dell’altare maggiore sono gli ingressi alla cripta (accessibile a richiesta), ove sono visibili una parte della gradinata dello Iunonarium, colonne e capitelli, il basolato di un’antica strada, iscrizioni e tracce di affreschi del sec. XII. Nello scavo lungo il fianco destro del Duomo, sono visibili i resti della gradinata di raccordo tra il piano del supposto Iunonarium e il sottostante lastricato.

 

Chiesa di Santa Maria in Villa

Per la bellezza delle campagne e la piacevolezza del suo clima, Palestrina durante l’Impero Romano era meta di soggiorni da parte di imperatori, di nobili e Procuratori che lì avevano costruito numerose ville. In corrispondenza del luogo ove sorge la chiesa rurale da sempre chiamata di S. Maria in Villa, vi sono dei grandi resti, in parte sotterrati, alla sinistra dei quali sorge ora il cimitero Pubblico stabilito nel 1860. La chiesa, annessa al cimitero, fu quindi edificata sulle rovine da cui prende il nome. Era ricca di mosaici e così era rivestito anche il pavimento. Sul muro vi è dipinta l’immagine miracolosa della Madonna, venerata anche dagli abitanti dei paesi vicini. La chiesa di Santa Maria in Villa è costituita da un impianto di forma rettangolare e presenta al centro della facciata un protiro con colonne, posto su una gradinata e sormontato da timpano triangolare, dal quale si accede ad un vestibolo passante che si apre verso la parte meglio conservata della villa romana.
Al centro di questo vano di passaggio, sui lati interni, si aprono le porte per l’ingresso alla chiesa ed alla sagrestia, rispettivamente a destra e sinistra. La parete laterale verso il cimitero è occupata, ai lati del portico, da due costruzioni addossate di forma regolare, con tre file sovrapposte di loculi, con copertura piana. Il lato opposto, invece, presenta per più della metà dell’altezza l’antica struttura romana della Villa Imperiale, su cui è stata sopraelevata la parete perimetrale della chiesa e della sagrestia. Ad est, sullo stesso fianco, sopra l’area presbiteriale, s’imposta un campanile a vela , mentre sul lato corto adiacente è visibile la struttura del catino absidale. All’interno, l’aula e la sacrestia, anch’esse di forma rettangolare, hanno dimensioni simili in lunghezza, mentre in larghezza la chiesa è più stretta, per la realizzazione di un rinfianco interno e per la costruzione delle colonne addossate su cui s’imposta una doppia volta a crociera. La copertura dell’intero organismo è continua e del tipo a capanna. Della chiesa fa parte un piccolo convento di cui sono rimaste poche stanze.download (7)
L’architettura interna della chiesa è semplicemente scandita da modanature in stucco e cornici dipinte color avorio, differenziate dal fondo celeste cielo. Nelle quattro lunette laterali delle volte si aprono altrettante finestre, mentre la controfacciata non presenta nessuna emergenza. Prima del presbiterio, su entrambe i lati, erano presenti due piccoli passaggi laterali che si aprivano verso l’esterno, dei quali è rimasto attivo solo quello di destra. L’impianto dell’aula è, quindi, arricchito soprattutto dall’abside, che costituisce l’unico elemento decorato; il fulcro visivo religioso e artistico.
Sia la parete, sia il catino absidale, sono scanditi da lavorazioni in basso rilievo in stucco e decorati con motivi floreali. Al centro dell’abside, una cornice inquadra la pala d’altare con l’immagine di Maria. L’area presbiteriale include l’altare in marmo, forse anticamente murato nella parete di fondo dell’abside. Infatti, la sua lavorazione frontale lascia intendere che fosse addossato ad una parete, anche se lateralmente presenta una lavorazione rozza. Sul fronte sono scolpite due colonnine tortili che incorniciano un pannello decorativo, anch’esso scolpito, con inserti in mosaico molto danneggiati. Il pezzo è di valore e potrebbe essere l’unica testimonianza della prima costruzione, quella di epoca medioevale. S. Maria era sotto la giurisdizione del Capitolo della Cattedrale che l’assegnò ad un collegio di Benedettini, eretto da Gregorio XV, con l’onere di mantenere un sacerdote e un servente per il culto della prodigiosa immagine ma, non mantenendo il mandato ricevuto, il tempio tornò al Capitolo. Nel 1656-57, durante l’epidemia che si abbatté su Roma e il Lazio, la chiesa ebbe funzione di lazzaretto. Fu restaurata nel 1659 da Maffeo Barberini. Nel 1709 passò ai padri Serviti che la tennero per breve tempo tornando poi di nuovo al Capitolo. Attualmente è sotto la giurisdizione della parrocchia della Sacra Famiglia da cui dipende tutta la contrada di S. Maria.

Chiesa e Convento di San Francesco

palestrina-22Il convento di S. Francesco, sorto nella parte alta del paese, vicino alla porta di S. Francesco a ridosso delle antiche mura, gode di uno splendido panorama che domina la valle del Sacco. La tradizione francescana a Palestrina risale al XIII secolo, quando la Beata Margherita Colonna lasciò gli agi che la sua nascita le avrebbe garantito e si ritirò nella Rocca prenestina (l’odierna Castel S. Pietro) per vivere sotto la Regola del terzo ordine e dedicarsi ai malati e ai poveri. La madre, che era della Famiglia Orsini, conobbe personalmente S. Francesco in casa del fratello Matteo Rosso e la sua devozione, insieme a quella di Margherita, fece convertire anche i due figli Giovanni e Giacomo. La prima comunità religiosa quindi, secondo documenti certi, fu quella fondata dalla pia figlia di Oddone II Colonna; quattordici anni dopo la sua morte, nel 1294 sotto papa Celestino V si formò una congregazione di frati chiamati Eremiti Celestini, ma due anni dopo Bonifacio VIII, salito al soglio pontificio, annullò gran parte dei loro benefici e nel 1317 Giovanni XXII li condannò come eretici. A Palestrina nel XV secolo era nota la presenza di “fraticelli” che si professavano seguaci di S. Francesco e successori degli Eremiti Celestini, ma nel corso degli anni vennero tacciati di essere eretici e per contrastarli si istituì in città una vera congregazione di frati francescani. Tale presenza fu fortemente voluta da Giacomo Colonna in concerto con il vescovo Angelo Sommaripa, che ottennero da Martino V una Bolla datata 2 aprile 1426, con cui si concedeva ai Frati Minori Osservanti la chiesetta di S. Biagio con annessa abitazione per costruirvi un convento “al fine di estirpare l’iniqua setta dei Fraticelli”. Cecconi afferma nella sua Storia di Palestrina che il luogo dell’attuale convento è il medesimo in cui sorgeva la chiesa di S. Biagio, ma da altre fonti si deduce che non è così. Padre Lodovico da Modena ipotizza che il primo insediamento non fosse adatto alla vita spirituale dei frati sia per la vicina presenza di abitazioni civili, sia per l’ambiente ristretto in cui erano costretti i frati. Per questo cercarono un luogo più idoneo e lo trovarono in un terreno donato da un certo Ciprari in località detta “del Cembalo”. Così scrive il Modena: “… ed è traditione de’ Vecchi, che un amorevole e commodo citadino di Casa Ciprari gratiosamente quel nobilissimo sito li donasse in cui hoggi si trova il convento fondato; così appunto mi disse il Padre Francesco Antonio di Palestrina, Religioso di integerrima vita e settuagenario, affermando haverlo più volte sentito dire da vecchi di detta cità sua patria…”.chiostro-2
Questa versione è accettata anche da Padre Spila nelle sue Memorie storiche della Provincia Riformata Romana perché più specifica e ragionata di quella generica di Cecconi. Non si ha certezza di chi abbia costruito il convento poiché nel 1437, durante nella guerra fra Eugenio IV e Stefano Colonna, il Vitelleschi distrusse Palestrina e andarono così perse le cronache e i documenti dell’archivio francescano. Si pensa comunque sia stato lo stesso Giacomo Colonna con il Vescovo Cardinal Sommariva, con il contributo dei cittadini palestrinesi che da sempre hanno avuto devozione per questo ordine religioso. Petrini nelle Memorie prenestine disposte in forma di annali testimonia che nel 1495 la devota Clarina Colonna ampliò il convento e fece demolire la chiesa già allora chiamata S. Francesco, per edificarne una nello stesso posto e di dimensioni maggiori. I lavori finirono nel 1503 e l’anno successivo la nuova chiesa fu consacrata dal Cardinale Girolamo Bassi della Rovere.
Quest’ultimo avvenimento era descritto nell’architrave in pietra della porta della chiesa, come rileva Petrini in una lettera del 1697 indirizzata dal vicario del convento Padre Carlo da Nizza a Padre Ludovico da Modena, ma dopo il rifacimento degli stipiti nel 1735 voluti da Padre Pietro da Bergamo, questa iscrizione è andata del tutto perduta. Il campanile fu probabilmente eretto contemporaneamente alla chiesa, sia per motivi pratici e funzionali che per motivi simbolici. Inoltre, negli anni seguenti non si sono mai trovate cronache di costruzione, bensì di manutenzione dello stesso. Negli anni immediatamente successivi la chiesa fu abbellita di rifiniture e ricevette donazioni per gli arredi sacri soprattutto sotto il Vescovo Cardinale Bernardino Corvajal (1508-1509), il cui stemma era inciso (fu poi rimosso) nel Coro dei religiosi francescani. Urbano VIII aveva forte simpatia per i minori Riformati e in più di un’occasione la dimostrò: nel 1626 affidò loro il convento di S. Pietro in Montorio, nel 1628 quello dei Conventuali di S. Francesco in Sermoneta e nel 1637 fece lasciare ai frati minori Osservanti la loro residenza per scambiarla con i suddetti Padri Riformati.

download (8)Il convento venne comunque riconosciuto come uno dei migliori di tutta la Provincia Romana; fra i vari frati ricordiamo San Carlo da Sezze, che vi dimorò dal 1638 al 1640, ebbe qui le prime estasi e subì una lotta interiore che assunse l’aspetto di una vera crisi spirituale. Nel 1639 una parte dei francescani, su ordine del cardinale Francesco Barberini Protettore, dovettero spostarsi nel monastero di S. Andrea per far posto alle monache del Monastero di Santa Chiara che avevano bisogno di maggior spazio, e vi ritornarono il 21 novembre 1642 quando le stesse furono accompagnate nel nuovo monastero di S. Maria degli Angeli edificato a Palestrina dal principe Taddeo Barberini. Nel 1654 proprio per l’importanza che il convento francescano aveva acquisito nella provincia romana, vi si portò la scuola di filosofia ma, per sopravvenute esigenze di spazio, nel 1660 si pensò di ingrandirlo nella parte est. Nel 1669 sotto Padre Giuseppe da Milano fu rifatto il corpo centrale riguardante la sacrestia e i nuovi alloggi al piano superiore e fu eseguito il pozzo nel chiostro. Tali lavori caricarono troppo le fondazioni e, insieme alle spinte delle volte e ai movimenti tellurici, crearono dei dissesti tali che durante la guardiania di Padre Angelo da Bergamo (1687-1690) furono costruiti gli speroni nella parte di ponente. Nel 1694 fu restaurato e rinforzato il campanile; nel 1740 sopra l’ingresso principale del convento fu costruita una nuova ala che unisce nel perimetro tutto il complesso e che ospitò all’epoca la sartoria e la biblioteca.
Nel 1807 le truppe francesi dimorarono nel convento e nel 1875 fu confiscato per passare come bene pubblico alla nuova Italia, ma Padre Vincenzo da Jenne fra il 1876 e il 1883, mentre era Ministro dei Padri Riformati, lo riacquistò mentre altri conventi senza le loro comunità religiose caddero in rovina. Nel 1972 si convertirono i magazzini in un cinema-teatro e per questo furono anche edificati in cemento i necessari servizi. Il complesso monumentale è costituito dalla chiesa e da alcuni corpi di uno e due piani, articolati in modo tale da formare due chiostri. Vi si accede percorrendo via Barberini fino a una piazzetta appartata sulla quale vi sono le edicole della Via Crucis, alquanto grossolane, che hanno sostituito di recente quelle edificate nel 1731. La chiesa è preceduta da un portico tamponato nell’ottocento per ricavare nuovi locali e già recintato nel 1752 per impedire la sosta ai pezzenti, nel quale è oggi inserita una piccola cappella con un quadro rappresentante l’Assunzione.
La facciata presenta due aperture ovali disposte simmetricamente, fatte in sostituzione di in rosone centrale tamponato (probabilmente nel 1852 quando il montaggio del nuovo organo avrebbe ostruito l’apertura originale). La chiesa è a una sola navata, con il tetto originariamente a capriate; nel 1746 fu aggiunto un soffitto di legno dipinto da Fra’ Giuseppe da Venezia, sostituito con il contributo di vari benefattori tra i quali il Principe Barberini, nel 1853, essendo stato corroso dai tarli. Divenne così un soffitto a cassettoni, formato da quadrati e rettangoli con inscritti rombi dove sono inseriti dei fiori dorati. Nella parete di destra sono allineate quattro cappelle intercomunicanti, illuminate da piccole finestre; tutte e quattro hanno degli affreschi sulle pareti laterali eseguiti nel 1884 con la tecnica del “cartone” da Enrico Cinti, che riprese delle figure sottostanti quasi completamente illeggibili. Tramite un percorso coperto, le cappelle, si possono raggiungere direttamente dal coro senza disturbare la funzione dell’altare maggiore.
La prima cappella all’inizio della navata è dedicata a San Francesco e vi sono due affreschi che rappresentano la nascita e la morte del santo nonché una statua lignea che lo raffigura in estasi. La seconda cappella è dedicata a S. Francesco di Sales, con pala d’altare del Santo; l’affresco fu coperto nel 1752 da una tela eseguita dal pittore Giuseppe Segolini di Palestrina che raffigurava S. Pasquale in preghiera insieme a S. Francesco di Paola e a Carlo Borromeo. In uno degli affreschi laterali è rappresentata la nascita di Gesù e l’adorazione dei pastori, nell’altro è raffigurata la Beata Vergine con il Bambino e Sant’Anna, San Gioacchino e San Giuseppe. La terza cappella è dedicata a S. Francesco di Paola rappresentato in preghiera sull’affresco dell’altare.70_71_eli
Anche questo fu coperto nel 1752 da una tela di Giuseppe Segolini che raffigurava S. Antonio da Padova, ma questa, come la precedente, furono tolte probabilmente nel secolo scorso e le cappelle ripresero la primitiva denominazione. Nei due affreschi laterali vi sono la deposizione di Cristo e il martirio di S. Andrea Apostolo. Questa cappella era dei Barberini e nel 1691 Innocenzo XII vi concesse l’indulgenza plenaria in favore dei defunti. La quarta cappella è intitolata a Gesù Crocifisso essendovi posta una statua di legno di Cristo in croce del 1400. Apparteneva alla famiglia Ciprari che la ricevette come segno di gratitudine per aver donato il terreno dove è sorto il convento. Sulle pareti laterali, gli affreschi rappresentano due scene della passione di Cristo. Nelle pareti laterali della navata si trova, fra le iscrizioni sepolcrali, quella di mons. Leonardo Cecconi, famoso storico prenestino.
Sull’altare maggiore è posto un trittico cinquecentesco che raffigura nella pala centrale la Madonna col Bambino, in quelle laterali S. Francesco con le stimmate e S. Agapito M. patrono della città. Ai piedi della Madonna vi è una veduta di Palestrina con il convento in evidenza, da ciò si deduce che il trittico fu commissionato espressamente per questo convento.
Il trittico fu restaurato grossolanamente in passato, e con la manomissione si è persa l’immagine cinquecentesca della città; in seguito è stato ancora sottoposto alle cure della Soprintendenza alle Gallerie, nel 1968. Sotto l’altare maggiore, costruito in finissimo marmo, sono custodite le reliquie di S. Costanza M. Nel 1852 furono rifatti anche i gradini dell’altare che erano in legno e probabilmente assai rovinati, per volere del Padre Pietro da Dolceacqua. Nelle pareti laterali del presbiterio ci sono due affreschi ritoccati drasticamente nel 1852 da Enrico Cinti ed interpretano uno il martirio di S. Agapito, l’altro la vittoria della Chiesa su Lucifero. Ai lati dell’altare sono poste due statue del 1730 fatte eseguire da Padre Pietro da Bergamo e rappresentano S. Bernardo e S. Antonio.
palestrina-23              Nel 1796 fu collocato l’attuale pulpito in legno, che ne sostituì uno più antico proveniente da S. Francesco a Ripa; per accedere a quest’ultimo si passa dagli alloggi. Dietro l’altare maggiore vi è un ampio coro di legno, di forma rettangolare che segue il perimetro della chiesa con due ordini di scranni del 1700. La zona del coro è leggermente più stretta della navata perché, essendo coperta con due volte a crociera, ha i muri perimetrali più spessi atti a contrastare con più efficacia le spinte laterali delle volte; fu opera di Fra’ Bernardino da Ravenna e Fra’ Pasquale da Milano e ne sostituì uno più antico ormai rovinato. Una porticina inserita nella parte sinistra del coro, consente l’ingresso alla struttura di base del campanile, il che anticamente, prima della collocazione del sistema elettrico, permetteva di suonare le campane senza uscire dalla chiesa. Le campane attuali vi furono collocate nel 1637, dopo essere state benedette nella chiesa di San Giuseppe in Roma il giorno 23 giugno.

Chiesa e Convento Sant’Antonio

La chiesa di S. Antonio Abate è situata ad occidente dell’antico borgo di Palestrina, all’interno di una piccola piazza. L’impianto principale risale all’epoca di Stefano Colonna, periodo in cui era cardinale Giorgio Fieschi (1449-1453). Annesso alla chiesa si trova il convento dei Religiosi Carmelitani che precedentemente era abitato dai Romiti del Monte Carmelo, ai quali il 17 giugno del 1449 fu lasciata una casa e un’altra ne comprarono l’11 marzo 1467 con l’intenzione di ampliare la chiesa di S. Antonio ed il predetto convento, unita da Alessandro VI e poi confermata da Giulio II il 2 luglio 1512. È da rilevare che questo convento dei Padri Carmelitani, è il più antico dopo quello di Perugia. Dice Cecconi: “…nel centro della città vi è il Convento dei Religiosi Carmelitani, dentro vi è una nobile Biblioteca, una ricca Sagrestia ed una magnifica Chiesa dedicata a S. Antonio Abate, nella quale vi è eretta la Compagnia detta del Carmine, che ha l’Oratorio appresso…”.
Nel 1620 tornò ad occuparsi del Convento di Palestrina e con l’aiuto generoso di Francesco Colonna, spese circa cinquantamila scudi per ampliare il giardino, arricchire una scelta libreria, ma soprattutto fece demolire la chiesa precedente costruendone una, su progetto di Orazio Turriani, con cappelle ornate di marmi per lo più trovati fra i resti dell’antico Serapio. L’arricchì inoltre di Reliquie sacre e preziosi suppellettili: si dice che i soli argenti della Sagrestia avevano un valore pari a centocinquanta libre dell’epoca.
La chiesa fu terminata nel 1623, anno in cui egli morì, e consacrata nel 1626 da mons. Cacucci, arcivescovo di Efeso, su ordine dal card. Domenico Ginnasi. Fra i rari doni che gli concesse Paolo V c’è un busto ligneo di un Ecce Homo che rappresenta Gesù impiagato, e la misericordia che suscita avrebbe colpito lo stesso papa Urbano VIII quando visitò il tempio; egli stesso poi esentò il Convento dei Carmelitani dalla giurisdizione del Provinciale nel 1640, dichiarandolo direttamente soggetto al Generale dell’Ordine.
La chiesa, che venne elevata a parrocchia nel 1802, ha una sola navata ampia e luminosa, il presbiterio, un tempo chiuso da balaustra, coro e sagrestia ed è fiancheggiata da sei cappelle, tre per parte. È ricca di marmi pregiati, provenienti in gran parte dai resti dell’antico tempio di Serapide, e di stucchi dorati; è dotata di confessionali settecenteschi, del coro in noce, con due ordini di scranni, opera di Giovanni Mandelli, e di un moderno organo a canne, in sostituzione del precedente, gravemente danneggiato dal tempo e dagli eventi bellici dell’ultima guerra.
L’organo, costruito nel 1962 dalla famiglia artigiana Vincenzo Mascioni di Cuvio, ha 17 registri, 2 tastiere e pedaliera. Partendo dall’entrata della chiesa, a sinistra la prima cappella è dedicata al Crocifisso, di cui è la pala in tela dell’altare. Ai lati del Crocifisso sono le figure di Santa Teresa d’Avila e di Santa Maria Maddalena dei Pazzi. Alle pareti laterali le immagini di Sant’Anna e di Santa Brigida. La seconda cappella è intitolata a Sant’Alberto di Sicilia con pala d’altare del Santo carmelitano. I due dipinti delle pareti laterali rappresentano Sant’Avertano e il beato Franco di Siena, ambedue carmelitani. La terza cappella è quella della Confraternita dello Scapolare: sodalizio già esistente prima del 1550 e che aveva ubicato fuori della chiesa il suo oratorio, che fu completamente distrutto dagli ultimi eventi bellici. Questa cappella custodisce la statua della Madonna del Carmine, che viene portata in processione ogni anno la domenica che segue la sua festa liturgica.palestrina-25
La pittura della parete laterale sinistra raffigura San Sebastiano, martire. L’altare maggiore è sovrastato dall’immagine della Madonna del Carmine dipinta su tavola e risalente al 1570. Fu sostituita a quella dipinta su rame, che attualmente si conserva nell’ufficio parrocchiale. Ai lati del presbiterio due monumenti funebri di marmi policromi: a sinistra di chi guarda quello che ricorda il padre Sebastiano Fantoni; a destra quello del carmelitano Antonio Marinari, vescovo ausiliare di Velletri. Ambedue i monumenti recano i busti di marmo e l’elogio dei rispettivi personaggi. I due belli amboni del presbiterio sono costruiti con l’utilizzo dei marmi della rimossa balaustra, le cui colonnine fanno da sostegno alla mensa del nuovo altare, eretto secondo le vigenti norme liturgiche.

Proseguendo a destra, apre la serie di cappelle quella che conserva la statua del Sacro Cuore di Gesù, ma in origine era dedicata a San Nicola, vescovo di Bari, San Biagio, vescovo e martire, e San Guarino, vescovo di Palestrina. I due dipinti delle pareti laterali ritraggono uno san Simone Stock che riceve dalla Madonna lo Scapolare del Carmelo, l’altro a Sant’Alberto, patriarca di Gerusalemme, che dà la regola a San Brocardo, generale dell’Ordine Carmelitano. Questa pittura è attribuita a Giambattista Ricci (+1627). Segue la cappella dedicata a Sant’Antonio abate, con pala d’altare del Santo eseguita nel 1688 da Bernardino Balduino. Alle pareti laterali due dipinti: il primo riguarda Santa Maria Maddalena, il secondo San Pier Tommaso, patriarca di Costantinopoli. Conclude la serie delle cappelle quella adibita a battistero, ove sono tre dipinti: il centrale che raffigura Sant’Elia, profeta; quello sulla parete sinistra, San Vito, martire; il terzo sulla parete destra, l’arcangelo Raffaele.
Di lavori alla chiesa non si hanno notizie certe, se si escludono alcuni documenti del 1903 nei quali si menzionano opere di pulitura e restauro ordinati dal Comune, proprietario dell’immobile. Nella lettera dell’Ispettorato ai Monumenti e Belle Arti di Palestrina indirizzata al Direttore Generale di Roma, si comunica la scoperta di un affresco. Il testo riporta:…togliendosi in questi giorni il vecchio intonaco, sopra l’altare maggiore, nella lunetta della volta, si è scoperta una pittura a fresco, di piuttosto grandi proporzioni, raffigurante Elia ed Eliseo sul carro di fuoco, in mezzo ad altre figure di persone e di ornamenti… L’ispettore dell’epoca prosegue indicando come data della pittura il XVII sec. e, seppur affermando il non grande valore dell’opera, spiega la cura con cui è stato liberato e chiede l’autorizzazione a fotografarlo. Lavori di pulitura, eseguiti durante gli anni 80’ del XX secolo, hanno reso dignitoso l’interno del tempio. P17 – Chiesa e convento di Sant’Antonio PALESTRINA Il campanile Annessa alla chiesa la sagrestia con armadi in legno di noce costruiti nel XVII secolo da Giovanni Antonio Salvalaglio. La sagrestia è, peraltro, arricchita di una piccola statua di alabastro, che raffigura la Madonna del Carmine di Trapani, di una tela del 1538 che ritrae San Nicola di Bari e San Ciriaco, e di un’altra del XVIII secolo, che presenta questi due Santi insieme a San Guarino. All’interno del convento, di cui alcuni locali sono messi a disposizione per le attività parrocchiali, sono custodite varie tele, tra le quali qualcuna di pregio, e il prezioso busto ligneo dell’Ecce Homo, rimosso dalla cappella del Crocifisso.

Ex Chiesa di Santo Stefano

La chiesa di S. Stefano è posta nel centro storico di Palestrina in via della Portella, al di fuori delle antiche mura della città. Della sua antichissima storia non si conosce molto, anche se la dedicazione a Santo Stefano permette di ipotizzare l’esistenza della chiesa già dal V-VI secolo d.C., poiché in suo onore, in quell’epoca, si costruirono molti luoghi di culto ed oratori. Per il Bandiera, la tesi della sua esistenza già nel V secolo, coeva al primo nucleo della Cattedrale eretta sulla Basilica romana, acquista attendibilità e consistenza se si considera che dal IX secolo e sino al tardo medioevo la città si rinserrò di nuovo nelle mura. Sarebbe stato del tutto innaturale che la chiesa fosse costruita ex novo al di fuori della stessa, all’altezza della fascia mediana della città.
Dall’osservazione diretta della sua architettura, dei materiali impiegati e delle tecniche di costruzione adottate si può dedurre che l’attuale struttura risale al XI-XII sec. Nella cornice marmorea che costituisce l’attuale stipite sinistro della porta, nei primi del novecento si leggeva: “Quamvis templa Dei nullis ornata metallis hec tamen ut patrium natus ditaret honorem. viribus exiguis sed XPI victus amore. ….Iohannem ….”. Da questi versi si ricava che tale Giovanni, benché la chiesa non fosse riccamente ornata, tuttavia, spinto dall’amore verso Cristo, con deboli forze, volle decorarla a sue spese per accrescere l’onore paterno. Oggi alcune lettere sono illeggibili ed a stento si riesce a ricomporre la frase citata, ma lo stile i caratteri utilizzati confermerebbero l’ipotesi dell’incisione avvenuta nel XII sec. È dunque probabile che la chiesa fosse esistente prima dell’epoca in cui fu arricchita con gli affreschi. Il materiale marmoreo utilizzato per gli stipiti e per l’architrave della porta, una cornice tagliata in tre parti, è di epoca romana e non si esclude la possibilità che l’occasione dei lavori fatti per munire di una “nuova veste” la piccola basilica abbia convinto i promotori ad inciderle a futura memoria.
Cialdea riporta : “…Nella superficie che resta nell’interno della porta in ambedue i marmi si vede un intaglio rettangolare ed oblungo per tutta la lunghezza del marmo stesso, simili a quelli che vediamo nei plutei delle balaustrate delle basiliche cristiane. È da pensare adunque che questi due marmi stessero da prima nell’interno della chiesetta e tolti in epoca posteriore” .
Una notizia citata da Cecconi ricorda l’esistenza di un’iscrizione del 1420 presente nella chiesa, che nominava un sepolcro fatto da tal Rodolfo De Spiris:
HOC OPVS FECIT FIERI RIDOLFVS DE
SPIRIS SIBI ET POSTEROR. SVOR.
SVB ANNO DNI MCCCCXX INDICTIONE XIIII
PONTIFICATVS DNI MARTINI PP QVINTI
DIE IIII MENSIS SEPTEMBRIS
palestrina-5Purtroppo dell’iscrizione oggi non c’è traccia, come non è visibile, sull’attuale pavimento, alcuna sepoltura. La struttura architettonica interna della navata, coperta da volte a crociera con nervature di piccoli parallelepipedi in marmo su peducci in peperino scolpiti a forma di mano, lascia presupporre una diversa altezza dell’aula originaria. Infatti, l’imposta delle volte è troppo vicina all’attuale piano interno e un rapporto geometrico-dimensionale corretto, confrontato con le analoghe costruzioni romaniche dell’epoca, fa supporre che il livello antico potesse essere più basso rispetto a quello attuale di circa due metri. Tale livello potrebbe essere quello sotto il quale si troverebbe la sepoltura citata dal Cecconi. La chiesa, nel corso dei secoli successivi, visse alterne vicende che si conclusero con un definitivo abbandono. Nel 1679, si ha notizia della visita a Santo Stefano del Vescovo Prenestino, il card. Alderano Cybo dei Principi di Massa e Carrara, che ne dimostra all’epoca l’apertura al culto, mentre nel 1729 si legge che era “ … malandata e pericolante, tanto che si pensò o di restaurarla, o di demolirla; ma pare bene che né l’uno, né l’altro divisamento si effettuasse, poiché la lasciarono come stava, sconsacrandola solamente, e portandone via tutti gli arredi sacri”. Da allora, la piccola chiesa non fu più officiata, si degradò progressivamente e, dopo essere stata sconsacrata, fu utilizzata come bottega di calderaio. Soltanto nel settembre del 1909, dopo una semplice pulitura, fu riaperta al culto per merito dell’Associazione del Collegio dei Cultori dei Martiri. Nell’occasione, sembra che l’allora Rev. Parroco dell’Annunziata, D. Guido Croce, coll’approvazione delle autorità ecclesiastiche, rinunciò in perpetuo alla rendita della chiesina, purché l’Associazione s’impegnasse nel restauro per riaprire il “sacro oratorio” . Dalle notizie degli anni successivi non risultano interventi di recupero e, forse per questo, il Vescovo decise di affittarla ancora come bottega. Con un documento del novembre 1925, il Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, sollecitato, chiede notizie sulla chiesa, attribuita erroneamente a San Silvestro, sul suo stato di conservazione e sul pregio artistico; si rende, inoltre, disponibile a finanziarne un eventuale restauro. L’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico di Finanza di Roma, con nota del successivo 22 aprile, risponde che l’edificio è ridotto “in uno stato irriconoscibile. Non c’è più il tetto, che copriva le volte, la facciata tutta erosa, nel cui mezzo sorge un muretto con arco per la campana, conserva ancora traccia di architettura gotica, come nell’occhialone sopra la porta, e le pareti interne conservano le nervature gotiche e hanno vestigia di pitture e forti colori, tutte danneggiate dalla umidità, che viene dall’alto terrapieno, al quale la Chiesetta è addossata nella parte posteriore”. Al termine della lettera, si chiede di coinvolgere direttamente la Regia Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna affinché, una volta riconosciuta l’opportunità di restaurare la chiesa, ne compili il progetto dei lavori ed informi sulle possibilità di un contributo. Per la cronaca, l’ingegnere si sbilanciò con una previsione di L. 6.000, soltanto per il rifacimento del tetto. Il Soprintendente dell’epoca, Muñoz, rispose nel giugno del 1926 confermando l’importanza e l’interesse artistico della chiesa e pretese, per compilare un preventivo, di liberarla dalla “indecorosa … attuale destinazione.” Degli anni successivi e precedenti la guerra non ci sono notizie attendibili ma soltanto alcune testimonianze di vicini ed anziani del luogo che la ricordano sempre più in rovina. In seguito furono eseguiti lavori di salvaguardia sulla copertura, con la posa di uno strato di guaina bituminosa, ma un vero e proprio restauro, ad oggi, non è stato ancora realizzato.

 

Sentieri escursionistici

La sezione di Palestrina sta procedendo alla realizzazione del progetto di una carta dei cartellosentieri escursionistici sui Monti Prenestini. Le tantissime richieste che provengono da escursionisti, soci di altre sezioni, associazioni culturali e naturalistiche, mettono ancora più in evidenza la necessità di uno strumento esaustivo, agile ed efficace per la fruizione delle belle montagne del nostro comprensorio territoriale.

Esistono in realtà alcune pubblicazioni, alcune anche ben fatte, ma che sostanzialmente si rivelano frammentarie in quanto dedicate a singoli settori e non all’intero territorio dei Monti Prenestini. E’ stato costituito uno specifico gruppo di lavoro nel quale sono presenti autorevoli conoscitori dell’habitat montano prenestino e diversi soci con specifiche competenze professionali (geologi – ingegneri – biologi), che sta procedendo all’individuazione dei sentieri che dovrebbero essere inseriti sulla carta da stampare inizialmente in 4000-5000 copie formato 80×60. I sentieri indicati sulla carta, realizzata utilizzando la base cartografica dell’ Istituto Geografico Militare, saranno rilevati con il sistema GPSmonti-prenestini e numerati secondo le procedure previste dal CAI Centrale. La carta comprenderà anche l’indicazione delle strutture ricettive presenti, dei musei e dei più importanti siti artistici, naturalistici e storici del territorio oltre ovviamente alle indicazioni dei recapiti degli enti istituzionali. Molti soci della sezione hanno dato la loro disponibilità, come del resto avviene periodicamente, per il lavoro di ripulitura e ripristino della segnaletica della rete sentieristica che inizierà nel mese di settembre e si concluderà entro il mese di maggio del 2011. Sono già stati presi gli accordi preliminari con la casa editrice e sono in corso i contatti con i Comuni interessati e la IX Comunità Montana. La conclusione del lavoro del lavoro è prevista per il mese di giugno del 2011, e a settembre/ottobre si terrà la manifestazione di presentazione della carta.

Manifestazioni

Eventi

Tra le manifestazioni religiose citiamo la festa dedicata alla compatrona della città di Palestrina, Santa Rosalia, che si svolge nel quartiere degli Scacciati, tra spettacoli e giochi popolari. Di carattere gastronomico la Sagra delle Fragole, che conclude la stagione relativa alla raccolta di questo frutto, in località Carchitti, frazione di Palestrina. Tra i prodotti legati alla tradizione contadina ricordiamo gli gnocchetti a coda de soreca, pasta con farina e patate dalla forma singolare di una coda di topo, ed il giglietto, un biscotto a forma di giglio. Il patrono è Sant’Agapito e viene festeggiato il 17, 18 e 19 agosto, con un grandioso Palio ed altre manifestazioni religiose e di spettacolo. Sagra del Giglietto e ghiottonerie dei Monti Prenestini. Periodo: agosto nel Centro Storico di Palestrina
Tradizionale sagra dedicata al dolce dalla forma di giglio, portato a Palestrina dai Barberini in seguito al loro soggiorno/esilio a Parigi.
La proposta culinaria offerta dalla sagra è ampia e spazia su molti piatti tipici della cucina locale, sia orientata alla tradizione, sia nelle sue rivisitazioni contemporanee.
Il centro storico della città viene allestito con stand di degustazione dei prodotti tipici e di ristorazione, dove è possibile assaggiare piatti tradizionali come la pasta e fagioli o le fettuccine fatte a mano, le carni insaccate, cotte alla brace o lessate nel sugo, i formaggi, i dolci secchi.
Diverse le cantine e i distributori di vino italiano e locale presenti – come il Cesanese di Olevano Romano e il vino di Zagarolo – e artigiani e antiquari locali.

I Giglietti

Biscotti secchi e fragranti, ottenuti dall’impiego di semplici ingredienti: uova, farina e zucchero. La caratteristica forma a giglio viene data manualmente: si preleva una certa quantità di impasto che, lavorato a forma di bastoncino, viene suddiviso in tre strisce successivamente affiancate e allungate singolarmente per ottenere la forma a giglio. Il biscotto, posto in una teglia di acciaio, viene cotto al forno per circa 10 minuti e successivamente posto a raffreddare a temperatura ambiente prima della vendita. Si conserva per circa due settimane.giglietto1
Questi biscotti, i quali devono il nome alla caratteristica forma a giglio, simbolo araldico della dinastia dei Borbone di Francia, hanno una storia davvero particolare che affonda le radici nella gastronomia parigina del ‘600. I Barberini, rifugiatisi alla corte di Luigi XIV dopo la morte di Urbano VIII, portarono con loro numerosa servitù, tra cui cuochi e pasticcieri, i quali cominciarono a scambiare ricette con i colleghi francesi. I giglietti li colpirono molto e i cuochi continuarono a prepararli anche una volta tornati a casa, facendoli diventare nei secoli uno dei dolci più caratteristici della cucina prenestina. Dal 1998 la Città dedica a questo biscotto una sagra che ogni anno richiama numerose persone.

Piatti e Dolci di Palestrina

La gastronomia prenestina è figlia della cultura contadina del luogo.

primo-pale                                    Sono i prodotti tipici della sua campagna che vengono utilizzati divenendo le componenti di base dell’arte culinaria di Palestrina. Il piatto caratteristico per eccellenza è la ‘pasta povera’ (sagna), confezionata a mano con acqua e farina. Con essa si realizzano i tonnarelli (gnocchetti a cò de soreca) che richiedono un condimento a base di pancetta (amatriciana) o ragù con carne di maiale. Da non dimenticare la polenta con salcicce e spuntature. Anche le ministre di fagioli, di broccoli e di ceci si possono preparare con la pasta povera.Un altro tipo di pasta, le fettuccine al ragù (sempre impastata a mano, ma con l’aggiunta di uova) possono trasformarsi in tagliolini e quadrucci, ottimi per realizzare delle minestre. Aggiungiamo anche il riso con le lenticchie.Per quanto concerne le carni, il pollo arrosto, il pollo con i pinoli e l’uvetta ed il pollo con i peperoni, vengono offerti parimenti all’agnello arrosto, all’agnello fritto o a quello brodettato, nonché all’agnello ed al coniglio in salmì (cacciatora). Veniamo ai formaggi: la caciotta e la ricotta sono prodotte esclusivamente con latte di pecora.Tra i dolci, quello buono per tutte le stagioni è il ‘re giglietto’, che ha una storia singolare, essendo stato modellato sul giglio simbolo della monarchia francese nel 1600. Le festività natalizie hanno il loro dolce: il panpepato e quelle pasquali il ‘cavallo’ o la ‘pigna’.
Completano il panorama della pasticceria di Palestrina le ciambelle con il vino.

Pallacanestro Palestrina

La Pallacanestro Palestrina è la principale società di pallacanestro maschile di Palestrina. Fondata nel 1962, ha raggiunto al massimo la Serie B nel 1973-74 e in seguito ha disputato gli spareggi per l’ammissione in Serie A2, senza successo. photo.jpgAttualmente milita nel campionato di Serie B. Stella di Bronzo al merito sportivo del Coni ricevuta nel 1985 e Stella d’Argento nel 2002. Gioca al Palasport di Palestrina e i suoi colori sociali sono il verde e l’arancio. Il Palestrina Basket vede la luce tra le mura del Circolo Studentesco Prenestino (C.S.P.) nell’estate del 1962, sotto la guida di Gigi Stellani, attuale vice presidente della società. Le prime maglie riportano ricamate, appunto, le iniziali C.S.P. Grazie anche alla passione del professor Eugenio Tomassi sorse anche il primo impianto dedicato al basket, un campo in cemento rosso tuttora esistente nel Parco Barberini, che più tardi venne ricoperto con mattonelle di asfalto. Dopo le prime amichevoli fu il turno del primo torneo, la coppa “Palestrina” messa in palio durante le feste patronali e vinta proprio dal Circolo Studentesco Prenestino sull’Anagni. Nel 1964-65 i prenestini esordirono nel campionato di Prima Divisione. Dopo tre anni arrivò la vittoria del proprio girone e l’approdo in Promozione, dove Palestrina rimase altri tre anni. Guidata in campo dai vari Casilli, Vento, Cecconi, Busca, Libianchi, Fornari e Manieri giunse nel 1970 la scalata alla serie D sotto la presidenza del mitico Ing.Dino Viola. Gli anni d’oro per il basket arancioverde non finiscono, e nel 1972 ecco lo spareggio a Rieti contro il Basket Todi per l’accesso alla serie C. Con un’ottima prestazione di Vincenzo Busca gli umbri vengono superati 56-55. L’entusiasmo salì alle stelle, fu anche l’anno della maturazione cestistica di Maurizio Tomassi che in breve tempo spiccherà il volo per le serie maggiori. Altro spareggio, ancora a Rieti, e Banco di Roma battuto di due punti, per accedere alle finali promozione al primo anno di C. In quei giorni di fine maggio, ottenendo una vittoria con Avellino, una sconfitta contro Viareggio e un altro successo con Brindisi, si schiusero le porte della serie B, che allora rappresentava la seconda serie nazionale.

Carchitti

La nascita di Carchitti, non avendo una data ben definita, si fa risalire alle migrazioni stagionali che avvenivano agli inizi del secolo scorso e che trasferivano moltissimima gente dai monti del Basso Lazio all’Agro Romano per le attività agricole. In mancanza di date certe, perciò, bisogna fare riferimento a quanto ci è stato trasmesso dalle più accreditate fonti storiche; queste rimandano ad alcuni eventi succedutisi in un arco di tempo che possiamo collocare tra il 1825 e il 1880 circa.

1825.30- grave carestia nelle popolazioni di montagna del Lazio e conseguente trasferimento in pianura (F. Tonetti).

1860 – passaggio da una colonìa precaria a una perpetua, e conseguente insediamento quasi stabile di alcuili gruppi (E. Sereni).

1880 – diminuiscono considerevolmente gli abitanti di Capranica Prenestina (S. Nespolesi).

Uno dei centri montani maggiormente interessati alle migrazioni fu Capranica Prenestina, comune situato a Nord di Palestrina a 915 m. s.l.m.

Questo popolo viveva miseramente poiché roccioso e arido era il territorio circostante; accudiva il bestiame che poteva sopravvivere in un luogo così aspro e possedeva magri vigneti e piccoli castagneti; mangiava cavalli e somari e non godeva di nessun genere di servizi. Di conseguenza fu necessario scendere dai monti e trovare lavoro nella sottostante vallata, al soldo dai potenti dell’epoca (latifondisti, mercanti di campagna, caporali). Nella vallata sottostante ai monti Prenestini si estendeva a perdita d”;occhio, tra i Colli Albani e il Monte Ginestro, la tenuta di Mezza Selva di, proprietà della famiglia BarberinL così chiamata perché tenuta principalmente a bosco. In un primo momento pochi capranicotti presero coraggio e accettarono quivi un lavoro saltuario. Lavoravano dall’alba al tramonto, soffermandosi qualche istante a mezzodì per mangiare la «stozza» e passavano la notte in un anfratto, presso una forra o dentro qualche capannola costruita con scopiglie e stoppie. Col tempo fu tollerato, dal proprietario e dagli affittuari del latifondo, che si costruissero le capanne sul luogo. Allora i contadini traslocarono anche i famigliari che, nel frattempo, erano rimasti a Capranica. La seconda guerra mondiale vide una ricca schiera di carchittani partire per i vari fronti: sovietico, albanese, greco. Quattordici furono i morti. Con lo sbarco degli americani ad Anzio, anche Carchitti fu interessata da vicino essendo la via Casilina il tratto d’unione tra Roma e il fronte di Cassino. A Colle di Fuori fu organizzato il quartiere generale tedesco; un paio di volte i tedeschi fecero ricorso ai carchittani, tramite rastrellamenti, per costruire opere di difesa. Durante l’attacco finale i carchittani trovarono rifugio alla Mola, a Fontana Nova e presso i Colli Albani. Molte abitazioni furono distrutte, con feriti e due morti.

Anche la scuola fu distrutta; riprese quasi subito a funzionare in un locale presso il “Casaletto” e i un posto detto “l’Ovile” dove c’era un altro locale libero. In seguito nacque anche la Scuola Popolare serale per giovani e anziani; la maestra è Cristina Socciarelli, figlia del maestro Socciarelli.

 

Sagra delle fragole

Era il 1969 quando, grazie soprattutto al grande impegno di Romeo Gori (fondatore della Pro Loco di Carchitti), Carchitti conobbe per la prima volta la Sagra delle Fragole che tanto divertimento regala ogni anno a tutti coloro che ne prendono parte.

download (9)Ci accingiamo a festeggiare l’edizione numero 28 della Sagra, sempre con lo stesso entusiasmo che caratterizzò il maestro Gori 36 anni fà! Lo scarto che esiste tra il numero delle edizioni e la differenza tra la prima e l’attuale edizione è dovuto al fatto che, a causa delle avversità atmosferiche che hanno provocato la mancanza di fragole, alcune edizioni della festa sono purtroppo saltate. Auguriamo a quanti vorranno partecipare alla sagra un buon divertimento.Ora vogliamo ripercorrere attraverso alcune fotografie e attraverso l’elenco degli artisti intervenuti le edizioni passate della nostra festa. Le prime piantine di fragole nel territorio di Carchitti vennero importate negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale da intraprendenti contadini del vicino comprensorio denominato “Pratoni del Vivaro” di Rocca di Papa. Le prime coltivazioni vennero praticate per il solo fabbisogno familiare e, sporadicamente, qualche fruttivendolo dei comuni vicini veniva ad acquistare piccole quantità del prodotto per la vendita nei mercati locali.
A Carchitti, quindi, non vi era all’epoca nessuno stimolo alla coltivazione intensiva della fragola proprio per la palese difficoltà di smercio, dovuta anche all’isolamento del territorio dalle realtà vicine per la carenza di vie di comunicazione sia provinciali sia comunali.
Con la sistemazione delle strade di collegamento del centro abitato di Carchitti con la SS Casilina prima, e poi quelle per Colle di Fuori, San Cesareo e Vivaro (Castelli Romani), negli anni ’60 la coltivazione della preziosa piantina iniziava a dare consistenti redditi per il ripianamento del bilancio dei vari nuclei familiari e, di conseguenza, subito veniva intrapresa da un numero maggiore di contadini fino a farla diventare la principale coltura del luogo. Pur nella considerazione della mancanza totale di sistemi di irrigazione o di protezione dalle avversità atmosferiche, la maggior parte dei contadini di Carchitti riusciva a coltivare con esiti più che positivi, circa 5000 metri quadrati di terreno a fragoleto.
Il prodotto veniva per la maggior parte ritirato alla sera da tre autotrasportatori locali che, caricati i vari cestini di vimini adornati di profumate felci e contenenti circa 5 Kg di fragoloni al 100% biologici sui loro mezzi il giorno successivo rifornivano i vari venditori all’ingrosso dei mercati generali di Roma. Questi ultimi però, senza tanti scrupoli, ben presto dimostrarono di non tenere in debita considerazione il faticoso lavoro dei contadini che spesso si trovarono anche a pagare il trasporto delle fragole, senza ricevere nulla dalla vendita delle stesse perché “buttate al fiume per mancanza di acquirenti” in determinati giorni della settimana.
Il 26 Ottobre 1969 l’illustre Maestro della locale scuola elementare Romeo Gori, stabilitosi con la sua famiglia nel plesso scolastico con funzioni di Fiduciario del Direttore Didattico, unitamente ad altri benemeriti cittadini, con rogito notarile sottoscritto lo stesso giorno, costituiva l’Associazione Pro Loco di Carchitti di Palestrina con lo scopo, quasi primario, di valorizzare la coltura delle fragole del posto. Tale intendimento era scaturito proprio nella primavera precedente in occasione della 1^ Sagra delle Fragole ideata e portata a svlgimento dallo stesso Maestro Gori. La Sagra delle Fragole a Carchitti ha avuto sempre un crescendo di successi grazie anche alle nuova forme di commercializzazione del prodotto curate dalle due locali cooperative agricole nel frattempo costituitesi. Le cooperative hanno sperimentato negli anni anche l’importazione di nuove cultivar (varietà di fragole sempre più rispondenti alle richieste del mercato) e l’introduzione della coltura in serra.Già nelle prime edizioni della Sagra, la frazione di Carchitti è stata meta di migliaia di forestieri richiamati soprattutto dalle particolari caratteristiche organo-lettiche delle sue fragole, tra cui la resistenza alle malattie crittogame dopo la raccolta e, quindi, migliore e sicura lavorazione sul mercato. La Sagra vede l’organizzazione anche di varie manifestazioni concomitanti, tra cui incontri-dibattiti sulle problematiche dello speciale settore agricolo, mostre varie, tornei sportivi, spettacoli d’arte varia di primaria importanza, sfilate di gruppi folkloristici locali, degustazione, spesso anche gratuita, di fragole alla panna e frullati. L’Associazione Pro Loco di Carchitti, grazie anche alla collaborazione dell’Amministrazione Comunale di Palestrina, cura da sempre l’organizzazione di tutte le edizioni della Sagra, giunta quest’anno alla 28^ edizione (in alcuni anni la manifestazione non ha avuto luogo per mancanza del prodotto dovuta alle avversità atmosferiche durante la fioritura della pianta).

Palestrina is a village in the province of Rome  in Lazio . it is located along prenestina street , to which  it gave its name , as the ancient name of the city was Preneste .

TERRITORY

Palestrina stand on the slopes of mount Ginestro , on of the summits of  Palestrina mountains between the banks of the Sacco and Aniene rivers . The territory  is geographically  heterogeneous , has it passes from  660 yard  of the district of Scacciato to 350 yard from the downstream fractions .

CLIMATE

For the particular location of Monte Prenestini there are different types climate . Winters  are stiff with frequent ice at night ,the snowfall is abundant , at least 5yard but it defends on for the changing altitude .

Coat of arms

Palestrina city coat of arms is half green and half orange shield . inside there are three laurel crowns on of oak and one of olive trees, two above and one below . the latter is tied of the blue ribbon . the shield is surmounted by a golden crown on whose band are five green ,red ,blue ,  gems alternated with 4 pearls .

HISTORY

ANCIENT AGES

Palestrina stands on the ancient Preneste ,  a latin village famous  four  for its ancient fortune Primigenia Shrine , a sanctuary dedicated to the goddess Fortuna Primigenia and which the latest studies date back to the last decades of the 2nd century BC.

The first archaeological finds, date back to the beginning of the 8th century BC, on the eve of the incredible flowering that invested the city in orientalizing times (VIII-VII century BC)

There are  numerous legends that tell  about  its foundation .Several traditions note the founding of Telegono , the son of Ulysses and circe , or the eponymous hero Prainestos , son of the latin king  and nephew of Ulysses . The Palestrina village was conquered the Romans for its Strategic position , dominating the Valle del Sacco , thanks to the imposing works of fortification , that favoured  the passage between Lazio in Italy . For  attesting  the favoured it was build on  monument for  the oracle Fortuna Primigenia , dated at the end of century BC . in the 90 AD during the civil war Gaio Mario died and Lucio Cornelio Silla  installed  his military colony .

MEDIEVAL AGE

From the Middle Ages  it was a suburban  home , whose patron was ST. Martyr Hope .Among his bishops are counted five cardinals who later became popes . Historical possession of the Column ; he was involved in the struggles against the papacy ,  and had disastrous consequences .

MODERN AGE

In the 16th it gave birth to the composer Giovanni Pierluigi da Palestrina

Contemporany Age

Since the end of the 19th because of famine that struck the population of the inhabitants of the  mountain moved to territory of Palestrina called Carchitti , devoted to the cultivation of strawberries. During the Risorgimento in 1849 Luigi Cucelli distinguished himself in Palestrina as he accompanied the retreat of Garibaldi from Rome , that was followed by fall Roman Republic

In 1944 the old town was destroyed by bombing , but the destruction of the buildings that had  settled  after the abandonment allowed the old republican sanctuary  to be re-illuminated.

Noteworthy was  and still remains , the archaeological activity of rediscovery.

TRADIOTN AND FOLKLORE

the Giglietto festival and delicacies  of the Monti Prenestini , which has changed its name in to “Giglietto and ghiottonerie of Monti Prenestini “ since 2015 ,  held on at first weekend of August with tastings , coneerts and handcraft  markets .
San Giuseppe Artigiano (on march 19th) during  which large bonfires are lit where you faind eagle
-feast of Madonna del Carmine at the church of Sant’Antonio Abate with a great evening on the first Sunday of October .
-the Corpus Domini procession in the street of the ancient village, coinciding with the Corpus Domini religious festival.

Palestrina est une ville italienne de 21,661 habitants dans la capitale métropolitaine de Rome dans le Latium. Il est situé sur la principale rue, qui a donné le nom, parce que l’ancien nom de la ville était “Praeneste”. Géographie physiqueterritoirePalestrina se dresse sur les pentes du mont Ginestro, l’un des meilleurs montagnes Prenestini, entre les bassins des rivières Sacco eAniene. Le quartier est orographique hétérogène, en ce qu’au lieu des 660 m . Chassez du district jusqu’à 350 m. villages de aval.Le sanctuaire se situe entre les chefs-d’œuvre de l’architecture romaine d’époque républicaine, influencé, en la scénographique disposition aux terrasses,à partir de le medioevo il fut siège suburbicaria, avec patron Sant’Agapito martyr. Entre ses éveques se comptent bien cinq cardinaux par la suite devenu papes. Dans le XVI siècle il donne les anniversaires au compositeur Giovanni Pierluigi de Palestrina. A partir depuis la fin de XIX siècle, à cause d’une famine que coups les populations de montagne,  un groupe d’agriculteurs de Capranica Prenestina il s’établit dans un territoire appartenant à la commune de Palestrina, territoire qu’il prise la dénomination de Carchitti.    L’immeuble barberini et le temple de la chance               primordiale Le musée archéologique national de Palestrina est préparé à l’intérieur du palis Barberini, construit sur la sommité du sanctuaire ellenistico de la chance primordiale. Il recoit  nombreuses pièces : bornes, bustes, bases funèraires, statues et objets d’usage quotidien provenants des nécropoles du colombin et de la pavée. Il conserve importantes pièces nombreuses de lesquelles retrouvé après les bombardements de la seconde guerre mondiale. De relief l’escalier dédié aux cultes témoignés  au praeneste. Meme si l’œuvre plus belle du musée est la mosaique du Nile qui remonte a la fin du II siècle a.C. , il est un des plus grandes mosaiques ellenistici représentant avec des scènes de vie quotidienne de l’ancienne Egypte.     Musée diocésain à l’intérieur du Curia épiscopal

 

Ouvert en 2005, il est à voir le musée diocésain à l’intérieur du curia épiscopal qu’il recueille importantes œuvres picturales et sculptures, entre lequel un tableau du Caravaggio ‘ décapitation de s. agapito’ et un eolo en marbre de Michelangelo. Finalement à visiter la maison natale de Pierluigi de Palestrina, (1525-1594) prince de la musique polyphonique, un des plus grands gènius musicaux de tous le temps.

Cathédrale de Sant’Agapito

Au principe du XII siècle la cathédrale fut agrandie par le cardinal Conone en suivant le style roman : elles furent réalisée  les deux nefs latérales, le maitre-autel, le presbytère et l’abside et sous l’abside une crypte ; le tout qui en utilise aussi partie de la zone retrostante, occupée par l’ancien trou de la ville. à l’intérieur sont conservé peintures du Sermoneta, des Sarrasins et de Bruschi et une copie de la pitié de Palestrina de Michelangelo. Dans l’an 2017 recourt le 900° an de la dédicace de la cathédrale.

Sant’Antonio Abbé

La fete de Sant’Antonio Abbé se déroule le 17 janvier de tous les ans. C’est une tradition historique qui si maintient  vive dans le temps. En organisant défilés folkloriques qui rappellent les atmosphères magiques des anciens travaux. Une passé dans lequel les muletiers avaient le devoir de transporter marchandises de nature différente en les servant de mulets qu’ils permettaient difficilement aussi l’accès aux localités accessibles. Les charretiers étaient colore par contre qu’avec le secours des chariots, trainé par aniamux, ils transportaient denrées alimentaires principalement vers le Roma. Finalement, les bouviers étaient et aujourd’hui ce sont encore les éleveur de bétail. La fete, entre sacré et profane, il se termine avec la bénédiction des animaux et des véhicules le moment solennel de la journée attendu par tous avec grand enthousiasme.

Palio de Sant’Agapito

Sant’Agapito est le patron de la ville et du diocèse de Palestrina, Agapito était membre de la famille noble Anicia de l’ancien praeneste. Supplicié vint avec la décapitation dehors de la ville le 18 aout de 274 a.C.

 

 

Cave

LA STORIA DI CAVE

cave-centro-storico-2Cave sorge sul versante occidentale dei Monti Prenestini fra le loro ultime pendici e la Valle del Sacco.
Fin dai tempi più remoti la città di Cave si è caratterizzata come insediamento stabile di carattere essenzialmente agricolo, organizzato a ridosso del fosso del Rio che confluisce nella Valle del Sacco.
Cave fu uno dei più antichi castelli del medioevo nel Lazio. Fu un feudo dei Colonna(La famiglia Colonna è una storica casata patrizia romana).
Nel territorio preesistevano monasteri benedettini e piccole chiese che dipendevano dall’abbazia di Subiaco, ma i primi diritti sul territorio spettarono, per concessione del papa Stefano III nel sec. VIII, alle monache di S. Ciriaco di Roma. Nel 970 Giovanni XIII concesse in feudo alla senatrice romana Stefania, la cittàIMG_20170406_095615_395 di Palestrina nelle cui pertinenze era compresa Cave. Il paese fu feudo di varie famiglie, ma quelle più importanti per la cittadina furono gli Annibaldi ed i Colonna. I primi governarono con saggezza, garantendo tranquillità e prosperità ai cittadini, ed emanarono due importanti statuti di cui uno, del 1296, concesso da Riccardo de Militiis, è conservato nell’archivio di casa Colonna; l’altro più articolato, concesso nel 1307 da Riccardo di Tebaldo Annibaldi, è custodito dalla famiglia Orsini, e rappresenta un vero codice civile e penale capace di regolare l’intera vita cittadina.
La famiglia Colonna entrò nella realtà di Cave con Pietro Colonna, che nel 1092 IMG_20170406_204958_154sottrasse il feudo dal dominio del papa che ne era “de jure” il sovrano. Per i tre secoli successivi Cave subì varie incursioni degli eserciti papali: particolarmente disastrose furono quella del 1482, durante la guerra fra il papa Sisto V e il re di Napoli, di cui i Colonna erano alleati, e di due anni dopo, quando venne coinvolta tra le ostilità della famiglia ed il papa. Poi il Cardinal Cosenza, inviato dal papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia) mise a fuoco la città, togliendo ai Colonna i diritti sul feudo. Cave fu di nuovo messa a ferro e fuoco dall’esercito di Paolo III che marciava contro i prenestini, quando insorsero per la soppressione dei benefici fiscali concessi loro da Martino V.
Momenti di distensione con il potere papale si ebbero sotto il pontificato di Martino V che era un membro della famiglia Colonna, con papa Giulio II che mise pace tra i Colonna e gli Orsini, e con papa Pio V che affidò a Marcantonio Colonna la flotta cristiana nella guerra contro i Turchi, risolta con la famosa vittoria di Lepanto. Importante fu il trattato di pace firmato a Cave nel 1557, col quale si mise fine alla dura guerra fra papa Paolo IV e Filippo, re di Spagna e di Napoli. Dalla fine del 1500 Cave visse un periodo di pace, con la presenza degli ordini religiosi, il fiorire delle confraternite e la costruzione delle chiese ancor oggi esistenti.

Attrattori ambientali

La cittadina di Cave, ubicata alle porte di Roma, offre delle ottime possibilità di ristoro a chi è di passaggio e qualche occasione di benessere.
Un tempo considerata meta di villeggiatura estiva per i romani, grazie alle proprietà benefiche della sue acque, ancora oggi mantiene quella tradizione grazie alla presenza dell’antica fonte Santo Stefano, una sorgente di acqua oligominerale ancora oggi a disposizione di chiunque voglia usufruirne.
Le virtù salutari della fonte – da cui trasse beneficio anche Michelangelo Buonarroti – sono storicamente conosciute, poiché la sua acqua possiede qualità terapeutiche utili nelle malattie del ricambio e nella calcolosi. L’importanza della fonte viene ricordata ogni anno con l’evento “Tre giorni alla Fonte di Santo Stefano”, durante i quali la popolazione affluisce sul posto per godere il fresco dell’ambiente, bere l’acqua della fonte, ammirare mostre di pittura e di artigianato e per assistere in letizia fino a tarda sera a spettacoli teatrali e musicali di carattere folcloristico.

Cave e l'antica fonte del benessere quadLa fonte è circondata da una natura lussureggiante, boschi di castagni e una campagna tutta intorno che fa parte del Parco naturale Villa Clementi, dove si incontrano giardini e fontane e una parte in pendio occupata da acacie, cipressi, abeti e castagni. Le persone con qualche filo d’argento nei capelli, ricorderanno certamente Villa Clementi, il bel gioiello che fino ad una trentina di anni fa impreziosiva Cave con la sua lussureggiante vegetazione. Ne era proprietaria la famiglia Clementi una delle più importanti famiglie della cittadina.
La bellezza della villa era costituita dal terreno che la circondava, di 45000 mq.
L’Amministrazione Comunale, al fine di rendere l’immenso parco ancora più accogliente ha inteso realizzare, nel rispetto più assoluto della natura, una splendida opera di costruzione (completamente in legno) del teatro comunale. Di notevole importanza artistica e religiosa è il Santuario della Madonna del Campo, “nato” da un affresco presente nell’antica Basilica Petriana. La zona ha preso il nome “del Campo” perché nel 267 A.C. fu teatro di una battaglia tra Romani e Prenestini guidati da Tito Sicinio da una parte e Volsci ed Ernici dall’altra; inoltre, nei secoli passati, fu usata come “campo” di addestramento degli armigeri posti a difesa del feudo Colonnese.
Un altro tesoro verde cavense è rappresentato dal Parco Salvo D’Acquisto, progettato nel 2008 e delimitato da una ringhiera in ferro zincato saldata in modo da riprodurre un canneto artificiale, ma l’elemento caratterizzante del progetto è la “Pergola Tecnologica” formata da tubolari gialli e lilla che si snoda per un percorso di circa 300 metri alla quale si andranno ad attorcigliare, nel tempo, dei rampicanti vegetali che cambieranno l’aspetto al parco e lo renderanno ancora più vivibile dato l’aumento delle zone d’ombra in cui sostare per riposare, leggere o semplicemente godersi l’ambiente circostante.
Consigliamo, inoltre, di visitare la Chiesa di San Lorenzo e il Chiostro della Chiesa di San Carlo Borromeo, che ospita ogni anno la serata del premio letterario “Caffè corretto” (che si svolge nel mese di giugno).
L’Oratorio di Sant’Antonio Abate conserva il Presepio monumentale, composto da nove statue di eccezionale grandezza (la più alta misura m. 4,10), tanto da essere stato considerato il presepio più grande del mondo. Ne è autore lo scultore Lorenzo Ferri, che lo scolpì nel 1948 per essere poi fuso in bronzo, su commissione dei Padri Pallottini della chiesa di S. Andrea della Valle a Roma. La fusione in bronzo non avvenne e, quindi, le statue predisposte dall’artista rimasero a Cave. Recentemente, la famiglia Ferri ha ceduto la proprietà dell’opera al Comune di Cave.
Nel 1902 fu costruito il Museo dedicato all’artista Lorenzo Ferri, che ha realizzato, tra le altre opere, il monumento dedicato a Trilussa a Roma (quartiere Trastevere) e la porta bronzea della Chiesa dell’Assunta a Cave.

Le sagre…

Rappresentazione Venerdì Santo: La Sacra Rappresentazione, che ininterrottamente il Popolo di Cave tiene viva da 135 anni, è l’Evento, certamente unico nella Città, nel quale si assiste ad una fusione perfetta di età, generazioni, classi sociali, idee politiche. Il risultato è che Cave “vive” il Venerdì Santo come fosse la migliore rappresentazione di sé stessa:

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(Rappresentazione della mostra del venerdì Santo)

Un Popolo, una Comunità, che nella sua storia ha conosciuto e conosce accese divisioni e contrapposizioni che sovente ne hanno ostacolato lo sviluppo economico e sociale, si trova magicamente e perfettamente coesa nella Processione del Venerdì Santo e nella Rappresentazione della Passione e Morte di Gesù Cristo. Ed allora è evidente che questo Sacro Evento riesce a unire persone che forse sono diverse in tutto ma che sono accomunate da qualcosa che trascende le antipatie, i rivalismi, gli esasperati individualismi; qualcosa che tutti abbiamo ricevuto in Dono, qualcosa che silenziosamente ci è stata tramandato dai nostri Avi, qualcosa che unisce la Terra al Cielo: la Fede.
imagesQuesta Tradizione è rimasta invariata sino ad oggi quando, al calar delle tenebre e dopo il suggestivo Rito della “Desolata”, i Venerati Simulacri del Cristo Morto e della Vergine Addolorata “escono” da San Carlo accompagnati dal Clero e dalle Confraternite, accodandosi al Corteo Storico già incolonnato ed in attesa, per dare compimento e maggior senso liturgico alla intera Sacra Manifestazione.

Sagra della Castagna e dei prodotti tipici locali: Da secoli la città di Cave è nota per la produzione di castagne, noci e nocciole.Ogni ultimo fine settimana di ottobre le strade e i vicoli del borgo vecchio si riempiono di gente e di angoli in cui si possono degustare oltre al frutto prelibato piatti della cucina locale, come gli “gnocchetti a sassetto” e il dolce tipico che è la “serpetta”, così chiamato dalla tipica forma ad esse.

Le chiese

Chiesa di Santo Stefano

chiesa-santo-stefano-2-caveSembra che da alcuni atti già dal 1125 nel territorio di Cave ci fosse una chiesa dedicata ai santi martiri Stefano e Sabino.. Successivamente per donazione o per acquisto la chiesa ed il convento divennero di proprietà dei padri eremitani di S. Agostino. Solo nel 1385, per volere della nuova sposa di un uomo della Famiglia Colonna, Mascia Annibaldi che venne eretta in parrocchia “regolare” per meglio conservarne l’opera spirituale e concedendo così agli Agostiniani tutti i diritti e i doveri connessi. Nel 1430 grazie a Papa Martino V venne eretta la nuova chiesa di Santo Stefano questa volta in un luogo più vicino alla cittadella protetta dalle scorribande barbariche. Così nel borgo sorse la nuova Chiesa di Santo Stefano e grazie alla nobildonna Annibaldi che donò un palazzo adiacente che i padri trasformarono in convento. Questa chiesa fu la principale del paese fino al 1572 quando poi passò l’onore alla Chiesa di Santa Maria Assunta. Nella seconda metà del settecento si decise che la chiesa non era più sufficiente a contenere i fedeli così venne eretta una nuova chiesa con la facciata che dava sul borgo. Nel 1870 non esistendo più lo stato pontificio la chiesa ed il convento divennero proprietà del ministero degli interni (attuale proprietario). La chiesa parrocchiale di santo Stefano è fiancheggiata da un possente campanile, nel quale sono situate le tre campane più antiche della città di Cave. La prima pesa circa sette quintali e misura circa 103 cm di diametro. Fu realizzata per volere dell’agostiniano fra Felice nel 1616 in onore di santo Stefano e per la pubblica utilità ovvero per scandire le ore e gli eventi più significativi della vita della comunità cristiana e civile. La seconda campana, che risulta essere la più piccola, risale al 1652 e misura cm 35 di diametro. Reca una graziosa immagine della Madonna del Buon Consiglio, patrona dell’Ordine Agostiniano . La terza campana, la maggiore, pesa circa una tonnellata e misura cm 108 di diametro. Vi è, in rilievo, l’immagine di sant’Agostino, la cui Regola osservano gli Agostiniani, per oltre sei secoli legati alle vicende di S. Stefano di Cave, e quella di san Lorenzo, patrono della città. L’ultimo, ma non meno importante, pezzo da vedere è L’Organo. Sopra la porta d’ingresso si trova la cantoria con l’organo a canne. Negli atti della visita del cardinal Spada si parla di un “organo bellissimo e ben funzionante”. Fu rimaneggiato nel 1871, come si evince da un cartiglio posto sopra la consolle. Ancora funzionante con il mantice tradizionale, presenta undici registri, con tastiera e pedaliera “a scavezza”. Purtroppo alcune canne sono state asportate, ma un’adeguata opera di restauro potrebbe renderne il bel suono ancora fruibile per le sacre funzioni o eventuali concerti, data l’ottima acustica della chiesa.

Chiesa Sant’Anatolia al Ceppo
IMG_20170406_210316_443La chiesa è situata ai piedi del centro storico, e precisamente in via del Ceppo, laddove una volta cominciava la città antica e la salita al borgo. Analizzando la struttura si può ritenere di origine medievale, anche se la parte più antica degli affreschi ancora presenti vengono datati alla prima metà del ‘400. Si tratta di un piccolo edificio ad aula rettangolare con finestre solo sul lato destro. La copertura è composta da due grandi campate con volta a crociera sorrette da due coppie di pilastri addossati alle pareti. L’altare è posto sul lato sinistro e decorato con affreschi che si estendono su tutta la parete. Gli affreschi, posti in successione, sono databili ad epoche diverse: il primo rappresenta il Redentore tra i Santi Anatolia e San Rocco del XVII sec.; di seguito l’affresco di San Carlo, purtroppo molto danneggiato, della seconda metà del XVII sec.; entro la lunetta è dipinto un affresco rappresentante gli angeli reggi-corona inizio XVII sec.; poi due Santi disposti frontalmente a figura intera in cui sono visibili solo alcuni tratti del volto del XV sec.; la Madonna con Bambino attribuita al sec. XV di scuola alatrina; a seguire San Giovanni Evangelista di inizio ‘500 di autore anonimo di influenza umbro-laziale; nella parete in fondo è riportato un affresco raffigurante il Cristo che riceve il Battesimo da San Giovanni Battista, il dipinto è attribuito ad un anonimo pittore locale della seconda metà del ‘500. Nel corso dei secoli sono avvenute trasformazioni della struttura e restauri degli affreschi spesso con metodi inappropriati. La Chiesa è stata ristrutturata ed inaugurata nel 2013

Chiesa Parrocchiale San Carlo Borromeo

download (4)Questa Chiesa risale al XVII secolo sull’antico “colle dell’Aquila”. Hanno partecipato alla costruzione della stessa Padre Antonio Salomini e quattro fratelli della famiglia Lombarda “biscia”. Inizialmente fu dedicata a S. Francesco D’assisi , poi per volere del Principe Filippo Colonna, nonché suo nipote, a S. Carlo Borromeo. La costruzione iniziò nel Febbraio 1616 ma fu inaugurata nel 1640. Nel 1703 le due scosse di terremoto provocarono diversi danni, come riportano i frati nelle loro cronache giornaliere, “spaccò li due arconi maggiori della nostra chiesa che tengono il catino, aprì la tribuna e fece altre aperture e fessure nella nostra chiesa”. Solo nel 1729 fu finalmente consacrata. La chiesa ed il convento subirono numerosi danni a causa del secondo conflitto mondiale, soprattutto a causa della vicinanza con la Villa Clementi, occupata dai tedeschi; il 17 maggio 1944, una bomba colpisce il centro del chiostro, provocando morti e feriti, frantumando tutti i vetri della chiesa e dissestando la chiesa in diversi punti, la quale verrà colpita più volte anche dai bombardamenti dei giorni successivi. Solo nel 1947 iniziarono i lavori di restauro della chiesa e del convento da parte del Genio Civile. La chiesa ha la pianta a croce latina con una sola navata a tre cappelle comunicanti per lato e con cupola all’incrocio del transetto. Alle spalle dell’altare maggiore si trova il coro ligneo semicircolare eretto dal maestro veneziano Giacomo Maschiò. Degno di nota è il crocifisso in legno del XVI secolo, da poco restaurato, ospitato nella cappella Venzi, la prima a destra dell’entrata.
Chiesa di Santa Maria “In Plateis”detta Chiesa della Cona
Agli inizi del Quattrocento edificarono un modesto edificio dedicato a Maria. In questo posto, dove presumibilmente sorgeva un “plateam militum”, un campo di addestramento per soldati (da qui il nome in plateis), era presente questo piccolo oratorio aperto dedicato alla Madonna Solo verso la metà del XVII secolo, l’oratorio fu trasformato in chiesa, prolungando le pareti esistenti e realizzando la facciata con portone centrale e due aperture laterali. L’edificio di forma rettangolare con tettoia a capanna di legno mattoni e capriate a vista è ricco di suggestivi affreschi di notevole pregio pittorico. Il presbiterio, incorniciato da arco trionfale, è coperto con volta a crociera. Di fronte all’entrata si trova l’altare maggiore, con mensa in stucco, decorata da grandi foglie e scanalature, al centro delle quali si trova la corona del martirio. Alle spalle di questa si ha l’immagine della Madonna con Bambino che nutre il piccolo, poggiata in una raffinatissima edicola in marmo della scuola romana del Trecento. Tutto il presbiterio e le pareti laterali presentano un’interessante serie di affreschi.

Santuario della madonna del Campo

chiesa-madonna-campo-2Il santuario della Madonna del Campo sorge poco distante dal centro di Cave. A questo santuario è statao dato il nome di “campo” proprio perché la chiesa si erge nel luogo dove fu combattuta la battaglia fra Romani e Prenestini contro Volsci e Ernici nel 267°. C. e dove, nel corso dei secoli si svolgevano addestramenti militari. Si suppone che qui si ergesse una chiesa antica nella quale cripta fu trovato nel 1655 l’affresco raffigurante la Madonna dedicata a Santa Sabina o San Pietro. Curiosa è la storia che racconta quest’evento .. si dice infatti che il 27 Aprile 1655 due cavalli di due carrettieri diretti a Roma si inginocchiarono davanti ad un misterioso vano. I due cavalieri scesero e muniti di lanterne entrarono in quella costruzione sotterranea. Proprio lì in un ambiente ampio a forma quadrata con muri umidi e muschi ovunque in una nicchia apparve in tutta la sua bellezza un grande dipinto della Madonna seduta su un trono riccamente decorato con in braccio Bambin Gesù. Così fu intitolata “madonna del Campo”. Susseguirono miracoli e guarigioni non comprese dalla medicina dell’epoca e in breve tempo divenne luogo di Pellegrinaggio dei credenti. Il paese passò indenne per molto tempo calamità come peste invasioni e colera. Nel 1659 l’amministrazione comunale decide di costruire un tempio dedicato alla Madonna che però non fu finito per mancanza di fondi. Solo a seguito dei terremoti del 1703 interpretati come segnali divini, venne completata la costruzione e nel 1707 fu consacrata. Negli anni successivi si intensificarono i pellegrinaggi, anche in periodi particolari come l’anno 1837, quando Roma fu colpita dal colera, e gli abitanti di Cave, che con essa commerciavano, si affidarono alla Vergine, per preservarli da tale morbo.
Promisero così di dedicare una giornata di festa alla Madonna, da celebrarsi ogni 27 aprile, compreso il giorno della vigilia, in cui si seguiva uno stretto digiuno. Nel 1880, il Cardinal Antonio De Luca, con suo decreto, proclamò la Madonna del Campo, Patrona di Cave, insieme con San Lorenzo. Purtroppo la chiesa, costruita in soli quattro anni, subì presto diversi dissesti, per molti anni si susseguirono tentativi di restauro mai portati a termine seriamente infatti rimase chiusa al culto su imposizione dello stesso Genio Civile, fino al 1924 quando, con l’importante aiuto dei fedeli ,fu demolito il soffitto tuttavia nel 1933, il Genio riscontrò ancora delle gravi lesioni e la chiesa fu di nuovo chiusa al culto. Nemmeno l’appello allo Stato, consentì di reperire i fondi necessari al restauro, fino agli anni ’50. Infatti nel 1955 la chiesa fu consacrata dal Cardinale Benedetto Aloisi Masella. La chiesa si presenta oggi a navata unica absidata, con soffitto ligneo a cassettoni degli inizi del Novecento. La facciata è a due ordini, con due campanili; nell’ordine inferiore si apre il portale centrale, incorniciato da due coppie di lesene doriche, ai lati delle quali si aprono altre due porte. L’interno, dalle linee molto sobrie, presenta a metà navata, una doppia scala, che scende fino alla cripta che conserva l’affresco della Vergine, incoronata nel 1942 con diadema d’oro e pietre preziose e ricollocato qui definitivamente dopo l’ultimo restauro del 1969/70. Alla cripta si può accedere anche dal cimitero, il quale si trova alle spalle del santuario.

Chiesa di San Pietro Apostolo

chiesa-san-carlo-borromeo-caveLungo la via di Rapello si trova l’antica chiesetta dedicata a San Pietro , consacrata da Papa Simmaco nel VI secolo d. C. Il Marianecci nelle sue memorie Cavesi ha formulato l’ipotesi che la chiesa di San Pietro possa essere nata nella contrada Campo e solo dopo la distruzione per mano dei barbari riedificata intorno all’anno mille nel borgo antico protetto dalle mura. Sostiene inoltre che la cripta, con l’immagine della vergine Maria , denominata “Madonna del Campo” , rinvenuta nel 1655 possa essere appartenuta proprio a questa antichissima chiesa. Nella lapide posta sull’architrave del portale d’ingresso si parla di un benefattore che restaurò la chiesetta nell’anno 1508. La chiesa presenta un aula unica con copertura a capriate, un piccolo altare murale sulla destra e una piccola finestra che si affaccia su Via del Fossato. La decorazione dell’interno è composta da un unico affresco sull’altare, che raffigura la Madonna del Campo, di scuola romana della seconda metà del XVII secolo.

Chiesa di San Lorenzo Martire

Risale all’anno 988 il primo nucleo della Chiesa edificato sul colle “Quadrangolo” terreno all’ora dell’episcopato di Palestrina. Si occupò della costruzione l’abate Stefano di Subiaco, che edificò accanto alla chiesa anche un piccolo Monastero Benedettino, in cui i religiosi dimorarono fino al XIII secolo. La chiesa originaria, con un aula absidata dedicata alla vergine Maria e ai Santi Stefano e Lorenzo, è stata modificata più volte nel tempo, dando vita ad un suggestivo “ecclettismo”. Le pareti interne della chiesa e della cripta a cui si accede dalla navata centrale tramite una scala a “tenaglia” sono decorate con affreschi votivi databili tra il XV e XVI Secolo . I primi ampliamenti furono effettuati nel 1093 anno in cui il vescovo scismatico di Palestrina Ugone Candido riconsacrò l’altare maggiore , ampliò la chiesa ed il convento costruendo le nuove navate laterali che determinano l’attuale aspetto di chiesa Romanica a tre navate con copertura lignea. download (5)I tre archi a sesto acuto che dividono la navata centrale da quella di sinistra sono tipicamente gotici. Nel XVI secolo , come attesta l’iscrizione del 1502 murata sul portale d’ingresso della chiesa, nuovi restauri furono compiuti da un facoltoso signore di Cave Paolo Pulani. Con gli interventi per lo più di natura muraria si andarono a tamponare le fessure di una struttura fatiscente e trascurata , oltre che a riorganizzare diversi ambienti del monastero di cui non rimane nulla e della sagrestia . Nel 1911 i successivi interventi murali operati per eliminare le parti modificate dal Pulani determinarono l’attuale configurazione asimmetrica. La chiesa rimase nel degrado fino al 1958 quando la Soprintendenza dei beni culturali di Roma decise di attuare immediati lavori di restauro. Grazie anche alla manutenzione attuata negli anni che seguirono oggi possiamo ammirare questa grande opera di indiscutibile fascino.

Mostre

Museo della civiltà contadina

ll museo è nato per volontà d’alcuni cittadini di Cave riunitisi in associazione, che si sono messi alla ricerca nelle case di campagna del territorio di Cave e altrove, oggetti ormai dismessi e abbandonati, appartenuti alle popolazioni contadine del passato. La ricerca, molto fruttuosa, consente già nel 1992 di allestire nel chiostro di S. Carlo una prima mostra degli oggetti rinvenuti. L’iniziativa fu tanto successo, da provocare una gara di spontanee offerte dei più vari oggetti da parte dei possessori, così da poter riuscire, in un tempo relativamente breve, a realizzare un vero e proprio museo. Grande interesse ha dimostrato le scuole di Cave e del territorio laziale. museo-civiltà-contadina-3Il museo della civiltà contadina è ospitato all’interno dei locali al piano seminterrato dell’ex Convento degli Agostiniani, nel centro storico di Cave, da sempre utilizzati a deposito, cantina e stalla. Il concept progettuale si è basato nella duplice finalità di: restaurare i locali dell’ex convento, caratterizzati da murature in tufo a faccia vista e da pavimenti rustici in pietrame di fiume, e nella realizzazione di una struttura espositiva in ferro su cui esporre gli elementi, gli oggetti e gli attrezzi caratteristici di un periodo storico non lontano. La struttura in ferro è costituita da elementi lineari, trattati e ossidati, incrociati tra loro, la cui sezione ad “U” ha favorito l’alloggio delle lampade e degli impianti. Gli oggetti “appesi” ricordano il sistema con cui il contadino riponeva i propri utensili o attrezzi da lavoro all’interno della propria rimessa che, solitamente ad un chiodo o ad un ferro. L’Amministrazione Comunale ha intenzione di ampliare i locali collegandoli con spazi attigui.

Museo Ferri e presepe monumentale più grande del mondo

museo-ferriDalle nostre parti a 400 mt dalla struttura si trova il più grande presepe monumentale del mondo! Per raggiungere il museo occorre passeggiare lungo il centro storico fin davanti al municipio. Una volta entrati si potrà ammirare il più grande presepe monumentale del mondo con statue alte fino a 4 metri. E la particolarità è che questa è la rappresentazione più grande al mondo. Si conta la Madonna con Gesù Bambino, San Giuseppe e tre re di cui uno in ginocchio davanti a Gesù Bambino rispettivamente, indiano, africano e assiro con i loro paggi. Otto imponenti statue che fanno parte di un gigantesco complesso monumentale che, finalmente, dal lontano 1975 attendeva questa sistemazione definitiva. Gli eredi donarono al comune di Cave questo gigantesco presepe subito dopo l’improvvisa morte a Roma di Lorenzo Ferri, assieme a molte altre importanti sue opere ma alla condizione che venissero degnamente conservate ed esposte in un museo. Così è stato fatto in queste sale ipogee dove finalmente il presepe monumentale è aperto al pubblico.
Associazioni culturali

Banda musicale

La nostra associazione Musicale Bandistica nasce dalla passione per la musica e coltiva una tradizione secolare che l’ha vista ai primi del ‘900 ricevere il 2° premio a Genova in un concorso per bande italiane.download (1)
Ha attraversato tutto il secolo scorso avvalendosi di Maestri di indubbia fama e preparazione, che hanno saputo tener viva la cultura popolare della nostra terra, arricchendo culturalmente i musicanti che si sono succeduti (operai, contadini, studenti, impiegati..) con la conoscenza e lo studio della musica lirico-sinfonica, oltre che della musica espressamente bandistica (marce militari, marce sinfoniche…).
La musica ci unisce, ci fa crescere e ci fa scoprire mondi altrimenti sconosciuti, non per ciò, tutti questi anni hanno visto la nostra associazione emergere sia in Italia che all’estero, portando così, con senso di responsabilità e amore, il nome di Cave in tutte le occasioni che si sono a noi presentate.
Il nostro spirito organizzativo ci porta a incontrare continuamente altre realtà simili alla nostra ed è per questo che siamo sempre disponibili a intrecciare nuovi rapporti, finalizzati anche ad effettuare dei gemellaggi.
A tal riguardo, abbiamo innumerevoli amicizie strette con reciproci scambi di visite, con bande musicali della Regione Lazio, ma anche bande di altre regioni come: Civezzano (Trento), Porretta Terme (Bologna), Rimini.
Tutto ciò fa da corona a ben altre esperienze che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere in campo europeo.
La nostra prima uscita all’estero risale al 1994, nello specifico in terra austriaca, dove abbiamo stretto fraterni rapporti, che durano tuttora, con la banda musicale di Kremsmunster, cittadina in prossimità di Linz, nella quale siamo stati ospiti portando musica italiana, essendo il nostro Maestro Ambrosini Giuseppe un cultore della musica lirico-sinfonica. Grazie a questa splendida amicizia, abbiamo avuto l’onore di eseguire concerti, oltre alla Sala dell’Imperatore Francesco Giuseppe, anche a Vienna e Salisburgo. Questa non è stata l’unica occasione nella quale ci siamo scambiati visite reciproche, in quanto da lì ce ne saranno delle ulteriori fino ad oggi, e speriamo anche in futuro!
Negli anni successivi, precisamente nel 1996, la banda vedrà una seconda tournée in Ungheria , nonché il gemellaggio con la città di “Balaton Maria Furdo”, svolgendo concerti a Budapest, in alcune cittadine nei dintorni di Balaton e nella tradizionale sfilata alla festa del vino insieme a molte altre bande musicali, gruppi folkloristici, majorettes, e carri allegorici;
Nel 1997 forse la più costruttiva e splendida esperienza in Danimarca dove abbiamo partecipato al 3° Raduno Bandistico Internazionale con Concerti in diverse città danesi, in particolar modo a Roskilde e nella quale abbiamo avuto l’opportunità di conoscere diverse associazioni europee da Germania, Svezia, Svizzera, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Diverse amicizie sono sorte anche a seguito di iniziative portate avanti dalla nostra associazione come nel 2007 organizzando un raduno Internazionale, in occasione della tradizionale “Festa del Socio”, che ha visto la partecipazione di bande provenienti da Francia, Inghilterra e Malta.
Nel 2008 la banda è stata a sua volta invitata dalla banda maltese “King George V” a Mqabba (Malta) in occasione della festa di “Santa Maria Assunta”.
Nel 2009 c’è stato il ritorno dagli ormai intramontabili amici di Kremsmunster in Austria con un nuovo concerto al Palazzo degli Imperatori
Nel 2010, grazie al gemellaggio che c’è tra la città di Cave e Cateau Cambresis (Francia), la banda ha sfilato e suonato in concerto nella cittadina francese sopra citata in occasione della festa di Saint Matthieu;
Nel 2011, una nuova tournée della banda comprende le città di Monaco di Baviera, Bad Hall (Austria) e Predazzo (Trentino – Alto Adige).
Tutte queste tournée, ci hanno dato meravigliosi ricordi di viaggi suggestivi e ci hanno portato nel cuore amicizia, facendoci conoscere nuove culture, inoltre possiamo anche dire che pian piano siamo cresciuti musicalmente soprattutto grazie alla caparbietà del nostro infaticabile maestro Giuseppe Ambrosini (effettivo della Banda Musicale della Guardia di Finanza per 40 anni, nella quale ha suonato sotto la direzione del grande Maestro D’Elia) che con spirito di abnegazione ci segue e ci insegna il rispetto per le tradizioni e per le persone da ormai quasi 30 anni.
Non va dimenticato inoltre l’instancabile lavoro svolto dai Musicanti e dai Consiglieri che si sono succeduti negli anni fin dalla nascita dell’Associazione ed hanno saputo superare brillantemente tutte le difficoltà incontrate, creando questa bellissima realtà che è la nostra banda.
Per quanto riguarda il nostro repertorio, esso comprende, oltre ai brani classici per bande, fantasie di opere quali Cavalleria Rusticana, Norma, Aida, Thurandot, Traviata ecc., nonché esecuzioni di autori quali Rossini, Biret,Verdi, Mozart, insomma siamo una banda che predilige la musica lirico-sinfo

Manifestazioni:

rievocazione storico-religiosa del venerdì santo con processione e quadri viventi (500 figuranti).
Feste patronali della Madonna del Campo (27 aprile) e san Lorenzo (10 agosto).
Giugno “Infiorata” (Corpus Domini).
Premio letterario “Città di Cave” (seconda quindicina di giugno).
Rievocazione storica (con corteo e palio) del Trattato di Pace di Cave del 1557 (secondo fine settimana di settembre).
Ultima settimana di ottobre “Sagra dei marroni Cavensi e dei prodotti tipici locali”.
Novembre in musica: santa Cecilia.

Impianti sportivi:
A Cave sono presenti numerosi impianti sportivi: una piscina privata con palestra dove sono praticabili diverse attività sportive, uno stadio “Luigi Ariola” dove gioca la U.S. Cavese 1919 in prima categoria ed il suo settore giovanile. Diversi campetti da calcetto, due campi da tennis ed uno stadio di basket, inoltre la palestra dell’Istituto Comprensivo “Via Giulio Venzi 11” ospita l’attività del Volley Cave che oltre al fortissimo settore giovanile (numerosi trofei a livello di Under 14/16/18 femminile), vanta una squadra femminile nel Campionato professionistico di B2. Nel Dicembre 2013 sono nati i Minatori Cave AFT, prima società di football americano della Provincia di Roma, che si allenano presso lo stadio Luigi Ariola.

Attrattori per il tempo libero

Parco di Villa Clementi e fonte di Santo Stefano

parco-villa-clementiIl Parco naturale Villa Clementi, realizzato nel XIX secolo, apparteneva in passato alla famiglia Clementi che era circondata da un parco di circa 45 ettari costituito sia da terreni coltivati sia da centinaia di alberi secolari di alto fusto, di ogni genere e specie. Quest’area protetta interessa il parco comunale di Cave, la villa storica, i viali alberati, le fontane e la sorgente di acqua oligominerale: la “Fonte di Santo Stefano”, una polla curativa che pare abbia giovato anche a Michelangelo Buonarroti. L’acqua sgorga da sedimenti di origine vulcanica e contiene tracce di magnesio e di calcio. Ancora oggi le si attribuiscono virtù benefiche per il trattamento delle malattie della pelle e delle infiammazioni delle vie urinarie. Durante l’ultimo conflitto mondiale, Villa Clementi, fu notevolmente danneggiata in quanto fu prima occupata dai soldati tedeschi e trasformata in autoparco e poi bombardata dagli aerei alleati. Alla fine degli anni Sessanta la quasi totalità del terreno appartenente alla Villa fu suddiviso in decine di lotti e venduti per costruirci un quartiere residenziale. L’area cambiò completamente aspetto in quanto furono abbattuti viali alberati per dare spazio ad abitazioni e strade asfaltate. Contestualmente, la famiglia Clementi donò alla Città di Cave la parte del Parco che sovrasta la strada SS155, con una parte pianeggiante adibita a verde urbano e una parte in pendio occupata da tigli, acacie, cipressi, abeti e castagni. Oggi il Parco è riconosciuto dalla Regione Lazio quale Monumento Naturale protetto assieme alla sorgente di acqua “Fonte di Santo Stefano” e insieme costituiscono il Parco Comunale di Cave a disposizione dei cittadini con un ampio parcheggio a pochi metri dai maggiori servizi della Città.

Parco Salvo D’Acquisto

Il Parco fu inaugurato nel 2008 e prende il nome dall’omonimo Monumento eretto in onore del vicebrigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto nel 1989. L’area del parco pubblico, di circa 5.000 mq, è stata delimitata con una recinzione costituita da elementi in ferro zincato saldati in modo da riprodurre un “canneto artificiale”, simile a quelli che crescono spontaneamente lungo i corsi d’acqua, i fossi e i piccoli torrenti caratteristici del territorio locale. In corrispondenza dell’ ingresso al giardino, un’aiuola a forma triangolare suddivide il percorso in due: a destra la parte commemorativa, che conduce al monumento a Salvo D’Acquisto, e a sinistra la parte ludica. La pavimentazione della piazza interna è a forma di “M” stilizzata, in memoria della località “Morino”, ed è stata realizzata con resine colorate ottenute miscelando ossidi blu e rossi. Pietre calcaree bianche, definiscono lateralmente lo spazio, in gabbioni metallici o sciolte semplicemente in “aiuole di inerti”. Gli elementi di arredo maggiormente caratterizzanti sono i tubolari in ferro verniciato giallo e lilla, che si sviluppano per una lunghezza di circa 300 mt. Essi costituiscono una sorta di “pergole tecnologiche” sulle quali si attorcigliano i rampicanti vegetali e i cavidotti in rame dell’impianto d’illuminazione. Le piante di glicine, che hanno già parzialmente avvolto la struttura, contribuiscono a migliorare il comfort ombreggiando la piazza d’estate e lasciando filtrare i raggi del sole d’inverno. Anche le panche in acciaio zincato sono state realizzate secondo il medesimo stile essenziale e minimalista che caratterizza l’intero giardino. Ogni elemento istallato è stato appositamente disegnato e prodotto in esemplari unici, in officina o in cantiere.

Cave: Lo Stile Liberty che non ti aspetti

Nelle passeggiate a Cave ho potuto ammirare numerosi edifici Liberty che contribuiscono a rendere molto diversa Cave da tutte le città vicine. Le sue caratteristiche principali sono l’uso di elementi floreali in dipinti, nelle decorazioni di legno e in tutte le strutture in ferro della costruzione. Particolare da sapere per riconoscere un autentico manufatto liberty è l’assenza della moderna tecnica di saldatura. Gli edifici “Stile Liberty” possono avere facciate colorate con tinte vivaci e/o stucchi, un doppio scalone monumentale, una torretta, una terrazza e un grande giardino con alcune piante caratteristici come palme, ortensie e begonie.
Molto bello è uno dei villini di via Pio XII con una facciata giallo pallido e con una cornice tipicamente floreale, un grazioso balcone in ferro battuto che propone la stessa decorazione floreale che incornicia le finestre .

L’oca bianca

Chi siamo

Oca Bianca, antico gruppo di casali dei primi del novecento, sito a circa 400 metri sul livello del mare, offre disponibilità di pernotto in 7 comodi appartamenti termoautonomi, composti di due ampie stanze, angolo cottura e bagno; di fronte l’abitato, un’ampio giardino con spazio giochi per bambini e piscina, esclusivamente riservata agli ospiti.DSC_0060
Nel punto ristoro potrete gustare una cucina semplice e genuina, tutta a base di prodotti freschi, per gran parte prodotti e venduti dalla nostra Azienda agricola, come miele, olio, castagne, prodotti caseari, dolci.
A circa 45 km sud-est di Roma, l’Oca Bianca, offre un’ampia possibilità di scelta di escursioni e visite per ogni gusto a siti culturali e naturali, tutti facilmente raggiungibili dal nostro agriturismo.
Alle pendici dei monti Prenestini, siamo facilmente raggiungibili:

In automobile da Roma
– È possibile percorrere le consolari Via Casilina (ss 6) o Via Prenestina fino a Palestrina e poi seguire le indicazioni per Cave.
– È possibile percorrere l’ autostrada “A1 Roma–Napoli“, fino all’ uscita “San Cesareo”, seguendo le indicazioni per Palestrina e
– poi per Cave, oppure fino all’ uscita “Valmontone“ seguendo le indicazioni per Cave.
– È possibile percorrere l’ autostrada “A24 Roma – L’Aquila“ fino all’ uscita “Tivoli“, seguendo le indicazioni per Palestrina e
– poi per Cave.

In pullmann da Roma
– È possibile usufruire del servizio di Linea extra-urbano COTRAL con partenza da Roma presso le stazioni “Termini” o
– “Anagnina“ (stazione Metro “Linea A“) per Genazzano, Fiuggi.

In treno da Roma:
– È possibile usufruire del servizio Ferrovie Italiane, linea “Roma–Cassino “ e scendendo alla stazione di “Valmontone“ o
– “Zagarolo“ proseguire poi con il servizio di linea extra – urbana COTRAL per Cave.

Appartamenti
L’ospitalità è offerta in 7 appartamenti da 4 e 6 posti letto, con soggiorno, angolo cottura, bagno, frigobar e televisione, termoautonomi, tutti arredati in stile counrty.
A pochi metri dal casale, nel nostro parco è stata realizzata un’ ampia piscina ad esclusivo uso degli ospiti dell’ agriturismo.
I nostri ospiti potranno inoltre usufruire di:
• Locale lavanderia e stenditoio in comune.
• Parco giochi per bambini.
• Area barbecue e forno a legna.
• Maneggio per passeggiate a dorso

Informazioni Turistiche

Adiacente al nostro agriturismo troverete la rinomata e salutare fonte dell’Acqua di Santo Stefano, durezza 3,05 acalcica, diuretica, antigottosa, una delle più leggere d’ Italia. La Fonte di Santo Stefano venne realizzata nel ventennio fascista, beneficiando dell’ acqua le cui sorgenti si trovano a monte della fonte stessa, proprio sotto i superstiti e maestosi castagni secolari del parco di Villa Clementi, villa sorta nella prima metà dell’ ottocento originariamenteappartenuta alla locale famiglia benestante dei Gramiccia, venduta ai Clementi, utilizzata in parte dalle suore Pie Filippini come Scuola Materna dal 1938 e poi adibita ad autoparco militare durante la seconda Guerra Mondiale, donato negli anni sessanta dai Clementi al Comune che lo ha adibito a Parco Pubblico.Parte della Villa è tutt’ora rimasta alle suore Pie Filippini.
La fonte di Santo Stefano è stata ed è tutt’ora motivo di richiamo per le sue acque, che hanno caratteristiche terapeutiche.DSC_0064
Circa trenta anni fa si è anche tentata la commercializzazione di quest’acqua ma con scarso successo. L’acqua di questa fonte è oligominerale acalcica, antiurica, antilitiaca, diuretica, poco radiattiva di durezza 3,05, tra le più leggere d’Italia. Indicata per chi ha problemi di gotta, calcolosi, renella, portentosa per la cura delle infezioni alle vie urinarie, per i trattamenti disintossicanti generali, per la cura della calcolosi e della uricemia, come è possibile leggere dagli studi dei Professori Mariano Messini, Mario Talenti, Giovanni Labranca, Giorgio Lulli, Luciano Mazzanti (pubblicazione su Omnibus, articolo di Luciano Serra, Mar 23nov1969 – pag 9).

Azienda agricola

L’Azienda agricola sorge nel comune di Cave, alle pendici dei monti Prenestini. All’ inizio del secolo copriva una superficie di circa 200 ettari che sono andate nel tempo riducendosi soprattutto a seguito del conseguente espandersi del vicino paese. L’azienda copre dunque oggi 25 ettari, di cui circa 6ha adibite ad Agriturismo. Rilevante è oggi l’ allevamento di ovini, in particolare della pecora siciliana e sarda da cui produciamo, mediante mungitura manuale, latte di elevate qualità organolettiche, grazie anche all’ esclusivo utilizzo nell’ alimentazione degli animali di produzioni aziendali quali orzo, mais, fieno di medica, pascoli naturali. L’allevamento ovino si avvale della transumanza che nel periodo estivo vede i propri greggi portati sul limitrofo monte di Rocca di Cave ad una altitudine di mt. 900 s.l.m. Alleviamo inoltre alcune razze bovine, tra cui la famosa “Chianina”, la “Podolica”, la “Maremmana” anch’esse allo stato brado e semibrado ed un piccolo allevamento di asini dell’Amiata in purezza. La presenza di alcuni cavalli e muli, completano il panorama dell’ allevamento. Le nostre api (specie “Ligustica Mellifica”) ci danno modo di produrre dell’ottimo miele di Acacia, Castagno e Millefiori, ognuno con proprie caratteristiche, peculiarità e sapore. Maiali, conigli, polli, e galline ruspanti, danno un tocco di sapore antico alle ricette eseguite nel punto ristoro. Anche le gustosissime uova, rendono le nostre paste all’ uovo un prodotto prelibato che ricorda le ricette delle nostre nonne. Infine un grande orto ci permette di servire sulla tavola una varietà di verdure fresche nelle diverse stagioni dell’anno..

Formaggi

I nostri formaggi ovini come la caciotta romana, la ricotta, il pecorino o il primo sale, vengono tutti prodotti artigianalmente.
Form01Il latte, per la maggior parte munto a mano, viene poi filtrato e conservato a temperatura controllata quindi travasato in un paiolo e riscaldato fino a circa 37° C.
A questo punto, dopo l’aggiunta di caglio, viene portato a coagulazione.
Si provvede poi a rompere manualmente la cagliata, riscaldata ulteriormente, per ottenere così formaggi a pasta pressata semicotta o cotta.La successiva operazione di sgrondo e formatura avviene mediante l’estrazione della cagliata dall’alto e la distribuzione in apposite forme o stampi.Il siero rimasto, portato ad una temperatura di circa 80° C, viene utilizzato per la produzione della ricotta la cui raccolta avviene a mano. Ricotte e caciotte vengono conservate in fresco mentre i formaggi a pasta cotta vengono salati e lasciati ad un periodo di maturazione e conservazione.

Produzione miele

La produzione del miele (smielatura) viene effettuata una volta o al massimo due nell’arco dell’anno solare, considerando le varietà botaniche di maggior rilievo come la robinia, il castagno ed in secondo ordine il millefiori che daranno i mieli tipici del nostro territorio, nei mesi di giugno e luglio in particolare.
Si procede iniziando con il recupero dei melari dall’alveare ed il trasporto e la disopercolatura dei favi nel banco disopercolatore.
Si estrae poi il miele per forza centrifuga in apposito smielatore manuale o elettrico, raccogliendo il miele grezzo in contenitori per alimenti.
La filtrazione avviene manualmente per gravità, travasando e conservando in appositi maturatori inox.
Il confezionamento avviene poi in barattoli in vetro con tappo a vite.

FESTIVITÀ E FOLKLORE A CAVE
S. Lorenzo e la Madonna del Campo sono i Santi Protettori di Cave a cui viene reso omaggio con grandiosi festeggiamenti. Sagra della Castagna lungo le vie del paese; l’ultima settimana di ottobre si festeggia la ricorrenza a ricordo della produzione del “marrone”, rinomata un tempo a Cave, ma soprattutto famosa per la sua esportazione in Francia dove veniva prodotto dell’ottimo “marron glacé.
Ancora il marrone di Cave è uno tra i migliori d’Italia. Venerdì Santo di Pasqua con la Rievocazione storico-religiosa della tragedia del Golgota con processione e quadri viventi in costumi d’ epoca (dal 1879).
Rievocazione storica del Trattato di Pace di Cave del 1557: 13 e 14 settembre. Corteo storico in costumi rinascimentali per la rievocazione del Trattato di Pace di Cave del 1557 e Palio della Pace ( gara tra arcieri e balestrieri abbinati alle sette antiche contrade di Cave), con menù rinascimentale (manifestazione organizzata per la prima volta nel 1996).

Il nostro punto ristoro consta di ben 120 coperti in ambiente caldo e rustico dove potrete gustare piatti tipici e genuini come gli gnocchi a “coda de soreca”, gnocchi di patate, polenta, formaggi e dolci per la maggior parte di nostra produzione.
Per gruppi, famiglie e scolaresche attraverso un’esperienza diretta sarà possibile imparare a fare dolci, impastare il pane, lavorare il formaggio, fare il sapone, seminare nell’orto, raccogliere i frutti della terra, per non dimenticare i valori e i mestieri della nostra tradizione. Un’ampia piscina è disponibile a pochi metri dal casale, nel nostro parco ad esclusivo uso degli ospiti dell’agriturismo. Passeggiate a dorso d’ asino, lungo sentieri naturalistici e boschi di castagni;
trattasi di asini di razza Miccio Amiatino da noi allevati. Programmi didattici, per gruppi di bambini ai quali verranno illustrate le fasi lavorative e di raccolta in campagna delle olive, la semina, la produzione di miele e formaggio, come si trasforma il grano in pane.

Altri servizi di cui potranno usufruire i nostri ospiti:
– Locale lavanderia e stenditoio in comune.
– Parco giochi per bambini.
– Area barbecue e forno a legna.
– Maneggio per equitazione e per passeggiate a dorso d’asino
Si organizzano rinfreschi, banchetti e serate a bordo piscina
Preventivi personalizzati per le vostre occasioni.
Siamo aperti tutti i giorni dal martedì alla domenica.
Chiusura: Domenica sera e lunedì (aperto solo su prenotazione)

Bellegra

Bellegra è un comune italiano di 2 887 abitanti della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio. Sorge a 815 metri sul mare.

Territorio

Bellegra sorge sul Monte Celeste, a 815 metri sul livello del mare, ed ha una superficie di 18,77 chilometri quadrati.
I Monti Ruffi, una catena montuosa compresa tra i monti Prenestini ad ovest, e imonti Lucretili a nord, ricadono nel territorio comunale.
Nel territorio comunale scorre il fiume Sacco.

Clima

Il clima di Bellegra è tipico delle zone subappenniniche di bassa montagna, con inverni relativamente lunghi e freddi con frequenti gelate (media di gennaio di 3 °C) ed estati tiepide e temperate con rari giorni di calura e nottate piuttosto fresche (media di agosto di 21 °C). La neve è fenomeno frequente, e in caso di freddo marcato può cadere abbondante e perdurare al suolo diversi giorni essendo il paese arroccato in cima e quindi esposto ai venti. Le temperature in pieno inverno possono toccare punte di -11 °C. Secondo la classificazione dei climi di koppen ricade nel clima “Cfsb” (clima temperato submediterraneo ad estate tiepida con un breve periodo di moderata siccita’ estiva) anche si riscontrano alcuni caratteri di continentalità dovuti dalle escursioni termiche sia giornaliere che annue (temperatura media annua di circa 12 °C).

Storia

Fu edificata sulle rovine dell’antica Vitellia, di cui sono ancora visibili alcuni tratti di mura pecetto-ciclopiche. Fu abitata dagli Equi, antica popolazione, che occupava un’area oggi compresa fra il Lazio e l’Abruzzo, costantemente citata nella prima decade di Livio come ostile a Roma, che praticava l’agricoltura e l’allevamento degli ovini. Inoltre, vengono ricordati come un popolo di cacciatori e di guerrieri.

Monte Celeste

Monte Celeste si erge nel Lazio centrale, tra la valle del fiume Aniene, affluente sinistro del Tevere e quella del Sacco, affluente destro del fiume Liri-Garigliano. Esso inizia in contrada Sbarre, gradualmente si innalza fino all’altezza di 815 metri sul. livello del mare e con la Mora Valea o Vallea digrada in contrada Vaccarecce. Sulla zona più alta di Monte Celeste sorge Bellegra, denominata Civitella dal secolo X al secolo XIX.
Il fianco Est di Monte Celeste, che guarda verso Subiaco, scende a precipizio sul territorio sottostante; il lato Ovest, volto verso San Vito, digrada in massima parte con l’impressionante pendenza del 60 % circa. Monte Celeste è al centro di un immenso anfiteatro di monti che formano un imponente, ed incantevole corona, ricca di vivaci forme.
A Nord si ergono i Monti Tiburtini, e spicca monte Gennaro. Seguono, allineate, le tre vette dei Ruffi, denominate volgarmente le mammelle d’Italia. L’arco montuoso segue con i Monti Car¬seolani ed i Simbruini settentrionali, nei quali si annidano Oricola e Cervara di Roma. Ad Est i Simbruini centrali e meridionali. Fra loro emergono: Monte Calvo, che rimboschito con conifere dopo la seconda guerra mondiale sta ricoprendosi di verde; Monte Livata, sede di sport invernali; Monte Talco, nelle cui grotte il giovane Benedetto da Norcia si santificò e maturò il disegno di fondare il monachesimo occidentale; Monte Autore, che durante l’inverno, coperto a lungo di neve, pare un vecchio incappucciato.
Sul fianco occidentale il celebre e venerato santuario della SS. Trinità, annualmente visitato da migliaia di credenti.Monte Viglio, alto 2156 metri giganteggia sul sistema; alle sue falde nasce il fiume Aniene, che dà il nome a tutto il bacino imbrifero.A Sud i Monti Ernici, la fertile pianura della Ciociaria ed i Monti Ausoni ed Aurunci. Ad Ovest i Lepini nei quali troneggia la vetta Semprevisa, alta 1536 metri. Dopo la stretta zona pianeg¬giante; percorsa nell’Evo Antico dalla Via Latina, i Prenestini chiu¬dono l’immenso anfiteatro. I monti, che circondano Monte Celeste, non sono ricchi di vegetazione ed anche durante il periodo estivo presentano zone brulle. D’inverno si ammantano di neve e formano un diadema candidissimo e luminoso intorno ad esso. Il territorio della valle dell’Aniene è ondulato. Colline coltivate a cereali e ricche di viti ed olivi succedono a colline verdi di ca¬stagneti, fino ai piedi dei monti. In luoghi sicuri e pittoreschi sor¬gono vetusti e storici castelli. Da monte Celeste possono contem¬plarsi a Nord ed Est, nella terra degli Equi: Ciciliano, Cerreto, Rocca S. Stefano; Rocca di Mezzo,. Rocca Canterano, Canterano, il territorio di Arsoli, Oricola, Cervara di Roma, Subiaco con la sua medioevale rocca abbaziale, i celebri monasteri sublacensi, centri di religiosità e di cultura, Arcinazzo Romano annidato tra i Monti Affilani ed il grazioso Monte Altuino, il territorio di Affile, e Roiate adagiato sul fianco del maestoso monte Scalambra.
La valle del Sacco, con la sua testa nei boschi di Montecasale, si stende verso il meridione, allargandosi nella Ciociaria fra i Monti Ernici ed i Lepini. I suoi fianchi, costituiti inizialmente da fertili colline, ricche di vigne e di oliveti, produttori di ottimo vino e raffinato olio, prolungandosi, lasciano il posto alla pianura. Gli Ernici la resero celebre. Nel varco, lasciato dai Lepini e dai Prenestini, ha timidi inizi il territorio pianeggiante, che si pro¬tende fino al Mar Tirreno; fu abitato dai bellicosi Volsci. Da Monte Celeste ad Ovest e Sud, sulle vette e sui fianchi dei monti, sulle colline ed in pianura, si osservano: un lembo di S. Polo, Guada¬gnolo, La Mentorella, Capranica, Rocca di Cave, S. Vito, Velletri, Anzio, Nettuno, l’azzurro Tirreno, Artena, Valmontone, Colleferro, Segni, Montelanico, Carpineto, Gavignano, Gorga, Sgurgola, Mo¬rolo, Rocca Massima, Anagni, Ferentino, Paliano, Olevano Romano, le terre del Serrone, del Piglio e di Acuto.
Il Panorama, che si apre intorno a Monte Celeste, è vasto, vario e splendido in ogni stagione dell’anno, presentando ubertose pianure, ridenti colli, austeri monti, con molteplici colori e forme e numerosi cittadine e paesi, che durante il giorno ricordano le vicende del passato e nelle ore notturne sembrano costellazioni luminose.Gli osservatori ne restano incantati, lo incidono nella loro fantasia, lo rammentano con perenne emozione. Monte Celeste al pregio panoramico associa la sua millenaria storia. Vi ebbero stanza gli Ernici, gli Equi, i Romani. I maestosi avanzi poligonali, la strada consolare, le tipiche opere cementizie romane, i reperti archeologici in metallo, in marmo ed in ceramica, le sue vicende di libero comune, il complesso edilizio, le chiese, le tradizioni religiose, culturali e sociali ne proclamano la vitalità. Gli scrittori ne hanno lasciato elogi entusiastici.
Valga per tutti ciò che scrisse il reverendo don Vincenzo Maria Ronconi, vicario generale dell’abbazia nullius di Subiaco, nel manoscritto della sua visita pastorale del 1791, visita effettuata per mandato del pontefice Pio VI. “ Civitella sorge su un alto monte, ma il suo aspetto è così bello ed elegante che piace anche a chi non lo voglia. Domina all’intorno l’intera abbazia e le pianure delle diocesi di Palestrina e di Anagni, e da questa sua splendida posizione gode, giubila e saluta le stesse onde del mare. (Il Mar Tirreno).
L’aria è piacevolissima e saluberrima e le comode strade of¬frono gradite occasioni a passeggiare. Possiede un vastissimo ter¬ritorio ed abbonda di ogni genere di prodotti (rinomati per qualità e quantità)

Grafico abitanti Bellegra

Architetture religiose
La cappella di Santa Lucia si trova vicino alla casa dei Patrizi. Possiede un solo altare e ha in un quadro le immagini della beata vergine Maria di Santa Lucia e di altri santi dipinti.Attualmente è di proprietà Tuzi.
La chiesa di San Nicola è costituita dal presbitero e da un’unica navata, sull’arco principale si legge la dedica: LAUS DEO, BEATAE VIRGINI MARIAE ET S. NICOLAI ECCLESIAE PATRONO. È artisticamente decorata in stucchi anteriori al 1671, la navata è coperta con la volta a botte, che sostituì nel 1873 il soffitto a cassettoni, è illuminata da sette finestroni dei quali 3 aperti nel lato destro, 3 nel fianco sinistro ed uno sulla parete frontale.Ingloba una chiesa del 1200 intitolata a Santa Lucia.
Convento di San Francesco
Faggi e castagni circondano il ritiro francescano che ospitò, in occasione del suo soggiorno sublacense nel 1223, san Francesco. Nei secoli successivi il complesso crebbe e nel 1683 il convento venne eretto a Ritiro francescano anche se incerte appaiono, ancora oggi, le sue origini. Al suo interno è presente un museo francescano, in cui sono documentati gli aspetti legati alla vita monastica, ma anche le testimonianze della religiosità popolare. Incerte sono infatti le origini del convento di San Francesco per il quale, essendo stato più volte rimaneggiato, non è possibile risalire con certezza, attraverso le analisi stratigrafiche e murarie, all’epoca della fondazione. La presenza di San Francesco a Bellegra, comunque, è attestata da più eventi e legata tra l’altro ad un’opera di proselitismo, noi oggi diremmo di promozione, secondo quanto si può leggerenelle cronache dell’ordine dei Frati minori. Un’opera di “conversione” che per i tempi e la presenza massiccia del fenomeno del banditismo nella valle dell’Aniene ha del “miracoloso”. È una testimonianza della conversione di tre briganti, da parte del poverello di Assisi sarebbe dimostrata, secondo alcuni studiosi, dalla presenza nel convento di antiche pitture e iscrizioni che rammentano il fatto, e dal conservarsi delle loro presunte spoglie, collocate nella cappella di S. Teofilo da Corte, identificabili con quelle ricordate nel XVII secolo nella sagrestia della chiesa. È certo, comunque, che la presenza di San Francesco nel convento di Bellegra ha rappresentato un momento importante per l’affermazione, all’interno dell’ordine, di questo convento, ma la presenza francescana sul territorio, non bisogna dimenticarlo, ha rappresentato un momento importante anche per la vita civile.
Le origini di Bellegra si perdono nella notte dei tempi.
Stando alle fonti più attendibili, sembra che il vecchio nucleo – l’allora Vitellia – esistesse già nel VI secolo a.C. sul Monte Celeste, dove oggi sorgono le case del paese, vi furono insediamenti degli Equi e degli Ernici ed infine dei Romani. Questi ultimi vi si stabilirono dopo aspre battaglie, facendo del monte un’importante postazione strategica.
Anche se la storia del paese sembra in più punti offuscata dalle contraddizioni, di quanti hanno voluto ricostruirla, le testimonianze tangibili di quel passato si trovano ovunque nella zona, a cominciare dai resti di un tempio dedicato alla dea Bona e caratterizzato da imponenti muraglioni squadrati, detti “Mura Ciclopiche “, che costeggiano il paese in più parti, e danno un’idea dei sistemi difensivi di allora. Interessanti anche le “Opus Cementicus”, costruzioni cementizie erette dai Romani.
Nel comune di Bellegra è presente un’area di grande rilevanza ambientale e paesaggistica, detta “Pantano”, interessata da vistosi fenomeni carsici, tra il fosso delle Vaghe ed il Fosso La Cona troviamo le “Grotte dell’Arco” lunghe quasi 1000 mt. ed in alcuni punti alte fino a 30 mt., precedute da un grande arco naturale esterno, quale residuo del primordiale sviluppo della grotta.
La cavità naturale risulta estremamente suggestiva per la ricchezza di stalattiti, stalagmiti, inghiottitoi e contiene resti di faune del paleolitico medio e superiore con tracce di industria litica del Mesolitico, nonché pitture antropomorfe e zoomorfe. Il Ministero per i Beni Culturali Ambientali in una sua nota del 27 giugno 1981, considerato che la grotta riveste importante interesse per lo studio delle culture del paleolitico e del mesolitico, riteneva l’area interessata dal percorso della grotta di particolare interesse archeologico ai sensi della legge 01 giugno 1939 n. 1089.
Il sito è inoltre oggetto di recupero e valorizzazione di tale bene archeologico e dell’area circostante per la ri-costituzione di microhabitat soprattutto acquatici per la riproduzione della batracofauna; la creazione poi di un percorso naturalistico tra la grotta e la sede dell’attuale camping per la fruizione di un’area turistico didattica.

Convento di San Francesco

Il convento di San Francesco è del 1200, dove vivono pochi frati dediti ai lavori dell’orto e alla preghiera.
Sono qui vissuti San Tommaso da Cori, il Beato Oddi da Vallinfreda, e Il Beato Mariano da Roccasale.
Immerso nel verde dei Castagni e dei Faggi, il ritiro francescano sorge sulla strada che porta a Rocca Santo Stefano.
Fu proprio San Francesco, durante il soggiorno a Subiaco del 1223, a sperimentarne la suggestione. Pochi anni dopo, i frati francescani lì residenti trasformarono in cappella la celletta vissuta dal santo.
Nei secoli successivi il complesso crebbe e nel 1683 venne eretto a Ritiro Francescano; vi accorsero una lunga schiera di religiosi, con l’intenzione di dedicarsi ad una vita di sacrifici: ricordiamo fra Mariano da Roccacasale e fra Diego Oddi.
Il convento oggi ospita un interessante museo francescano, che documenta non solo la vita di raccoglimento e meditazione dei cappuccini ma anche le folcloristiche testimonianze di religiosità popolare succedutesi dei secoli.

GROTTE DELL’ARCO

A circa 4 km ad Est dal centro abitato di Bellegra,
vi è una area di grande rilevanza ambientale che si estende tra la Valle Cupa e la zona conosciuta con il toponimo Le Cese interessata da vistosi fenomeni carsici.Caratteristica è una depressione carsica, la valle del Pantano dove, fino al inizio del 900’, esisteva un lago, prosciugato nel 1911 per utilizzazione agricola.
Da questo piccolo bacino e da un suo emissario sotterraneo si è originato un fenomeno di carsismo naturale “le Grotte dell’Arco”, lunghe quasi 1.000 m.Sono denominate “Grotte dell’Arco” perché ad una trentina di metri più a valle dalla sua entrata, si trova un arco naturale di pietra.
Sono le uniche della Provincia di Roma. Oggi sono facilmente raggiungibili grazie ai nuovi lavori di pavimentazione della strada rurale. La visita delle grotte risulta estremamente suggestiva per la ricchezza di stalattiti, stalagmiti, inghiottitoi, camere e per l’osservazione della fauna di grotta in particolare chirotteri, anfibi e ancora micro e mesofauna tipica di tale strutture. Lo sviluppo della grotta è soprattutto in lunghezza piuttosto che in profondità consentendo un accesso relativamente agevole.

FONTE NOCCHIETTA
Tra i grandi castagneti di Bellegra,
sgorga l’acqua salutare della caratteristica Fonte Nocchietta. Da un punto di vista botanico è interessante notare un insediamento di leccio sul Monte Celeste, proprio sopra le case del centro abitato: questo tipo di quercia, infatti, nonostante sia tipico della macchia costiera, riesce a crescere e svilupparsi in una zona ad alta quota, sfruttando il calore che le rocce accumulano durante il giorno.
Meritano una visita anche il bosco comunale, all’interno del quale è possibile seguire un percorso naturalistico, e il parco pubblico «Giardinetti».Tutto il territorio è ricco di acque sorgive che danno origine ad una fitta rete di torrenti con forte azione erosiva; le stesse acque alimentano anche numerosi fontanili, disseminati per il Comune, molto pittoreschi. Uno di questi torrenti sotterranei è particolarmente importante perché percorre uno dei luoghi più belli di Bellegra e cioè la Grotta dell’ Arco, una caverna formatasi per erosione carsica, unica cavità in Italia con imboccatura singola e a sviluppo orizzontale, lunga circa un chilometro e che consente un accesso piuttosto facile ai visitatori essendo alta, in alcuni punti, fino a 30 metri. Proprio per il fatto di essere attraversata dal torrente, la grotta anticamente costituiva il serbatoio d’acqua per un mulino chiamato «mola» in dialetto locale.

San Vito Romano

San Vito romano è un paese della provincia di Roma, situato su240_F_117475942_yYW7RYrYPK5O7iYG8yzsZ7rprnstkL2Zi monti Prenestini, con un’ altitudine di 720 m s.l.m e una superficie  di 12,66 kmq, la popolazione ammonta a 3355 abitanti .
Sono presenti vari attrattori ambientali tra cui:

13445556_1020530851329397_7092292675840269476_nBoschi e foreste: in questo piccolo comune sono presenti dei boschi tra cui la “Macchiarella” caratterizzata per la maggior  parte da castagni e abeti con la presenza di panchine e tavoli adatti per pic-nic . Il restante dei boschi è caratterizzato da pioppi , querce e lecci , dove si possono trovare monumenti vegetali come alberi secolari .

Valli e valloni :San Vito è noto per la Valle del Sacco, dove un tempo si faceva il bagno e, nelle decine di ruscelli che si formavano nella valle, si poteva bere acqua fresca.

Sorgenti: l’acqua che rifornisce le nostre abitazioni proviene da una fonte molto lontana 13432441_1020530761329406_2720279466988022987_ndei monti  Simbruini vicino Vallepietra  (altri paesi che usufruiscono di questa sorgente sono:  Jenne , Affile ,Arcinazzo ,Vicovaro , Roiate , Tivoli, Subiaco, Gerano e Pisoniano). Molti anni fa l’acqua, prima di essere distribuita nelle case, veniva accomulata in un grande bottino situato sul punto più alto di San Vito , il quartiere della Torricella . Ancora oggi quel colle viene chiamato “il bottino” da dove oggi partono le nostre tubazioni. Anche San Vito è ricco di fonti; quella più nota è il “Canale” dove nasce un’acqua diuretica simile  a quella di Fiuggi . Un’altra sorgente famosa è quella dell’acqua “Piucchiosa” chiamata cosi dal popolo , situata nelle campagne sotto il santuario della Madonna di Compigliano .

16804547_1038966829537356_451996961_o (1)Punti panoramici:  data la sua altezza il paese presenta vari punti panoramici dove si possono ammirare i paesi circostanti.     Sentieri escursionistici : ricco di sentieri tra cui il più noto “San Martino” che parte dal santuario della Madonna di Compigliano e conclude la passeggiata con una piccola chiesetta dove si possono ammirare i panorami DSC_5290-300x201della campagna Sanvitese. La Cona di San Martino è un’edicola molto antica dedicata a Papa Martino V , da cui prende il nome tutta la zona vicina. Nei tempi passati la chiesa era un ritrovo di ristoro per tutti i contadini della zona. Dentro l’edicola vi è una croce e un affresco che si pensa sia della fine del 1400, rappresentanti il Vescovo e altri Santi .

Particolarità climatiche : San Vito offre vaste particolarità climatiche , inverni freddi e rigidi con estati non particolarmente afose ma piuttosto calde .                                        download (6)

Riserve di caccia: Varie zone del paese sono dedicate alle riserve di caccia, attività molto praticata dai cacciatori della squadra nostrana .

CULTURE AGRICOLE PARTICOLARI : Sul punto di vista agricolo i nostri punti di forza sono la cultura dell’ulivo e della vite . Rinomata l’azienda agricola la Rosciola , nome tipico derivato da una particolare pianta diffusa nella zona . San Vito possiede anche un frantoio tradizionale nel quale le olive vengono lavorate come tanti anni fa . Oltre all’olio , sono diffuse molte cantine le quali producono un vino nei nostri territori e nelle zone limitrofe .

ATTRATTORI SOCIO CULTURALI: A una quarantina di chilometri8013073_orig ad est di Roma nel comprensorio dei monti Predestini San Vito assunse la denominazione di Romano con “ Reggio decreto del 16 maggio 1872”. Il paese si estende su due centri urbani: quello 6802154110_055ba2dcdd_bmedievale al di sotto del castello detto “Nnabballe “ caratterizzato dalle suggestive logge, dalla chiesa di San Biagio fino a chiudersi con la porta della mola e con porta Olevano e quello seicentesco detto “Nnammonte “ che dalla porta del borgo Mario Theodoli risale l’ abitato fino a snodarsi nei due rami , l’uno verso Genazzano e l’altro verso Pisoniano .

13319789_1020530741329408_3326935276893106822_n13445565_1020549864660829_6983300358988869046_nDSC_5289-300x20116776237_1038967099537329_1400205785_o

LE CHIESE

IMG-20170217-WA0022SAN BIAGIO: Datata 1200 la chiesa di San Biagio venne realizzata su un images (3)antico oratorio preesistente , ampliata tra il 1607 e il 1609 , rappresenta uno  dei simboli della valenza artistica dei Theodoli. Disegnatore fu l’architetto e signore della terra di San Vito Giovanni Theodoli e i più importanti restauri successivi sono databili a dopo il 1830 durante i quali vennero aggiunte le due cappelle all’altezza del presbiterio. La chiesa è ricca di elementi decorativi lungo quasi tutto il soffitto. Il 3 febbraio ha loco la festa di San Biagio Martire, dove nella chiesa si può trovare l’ olio benedetto che il parroco mette sulla gola di ogni fedele e recita un’antica formula. La sera precente viene rappresentata una processione con la statua del Santo e durante la messa viene benedetto l’olio. In questa giornata di festa viene fatta una fiera lunga tutto il borgo,dove si possono comprare merci di tutti i tipi. Si tratta di un Santo il cui culto è molto diffuso sia nella Chiesa Cattolica che in quella ortodossa; nella sua città natale, dove svolse il suo ministero vescovile, si narra che operò numerosi miracoli, tra gli altri si ricorda quello per cui è conosciuto, ossia, la guarigione, avvenuta durante il periodo della sua prigionia, di un ragazzo da una lisca di pesce conficcata nella trachea e tutt’oggi, infatti, il Santo lo si invoca per i “mali alla gola”.

16735366_1038966769537362_636669027_oSAN ROCCO E SAN SEBASTIANO:La chiesa è l’adiacente palazzo che divenne il convento dei Carmelitani, rientrarono nel vasto programma di download (1)sistemazione dell’abitacolo avvenuto tra 1640 e il 1660 circa. L’opportunità del restauro che dal 1999 al 2003 ha interessato la Chiesa,ha consentito di raccogliere un ampio materiale storiografico. La chiesa è ricca di elementi decorativi riconducibili all’arte Barocca. Ai lati dell’altare emergono invece gli elementi araldici che denotano l’antica proprietà Theodoli e la presenza dei Carmelitani: su entrambi i lati lo stemma dei Carmelitani è sul parapetto, e appena al di sotto un putto sorregge il blasone coronato Theodoli-Sacchetti. Tuttavia mentre il pulpito di destra è fiancheggiato dalle statue del Profeta Elia e di San Sebastiano, in quello di sinistra si ritrovano San Rocco ed il Profeta Eliseo.

17360959_1249738635139292_97465815_nSAN VITO MARTIRE: La chiesa risale alla prima metà del Settecento, la struttura,la decorazione dell’ altare, la parte centrale del soffitto con tela della “Gloria del Santo” e la tela  di San Lorenzo posta sull’altare. La chiesa del patrono è priva di campanile e, l’unica campana presente, è contenuta in una sopraelevazione del tetto a forma di piramide. Accanto all’altare maggiore le tele che raffigurano scene di vita del Santo e del suo martirio sono attribuite ad Aronne del Vecchio (1910-1998) che eseguì anche commissioni per la chiesa di Santa Maria de’ arce e che restaurò l’effigie della Madonnina di Compigliano per l’anno dell’incoronazione (1948). Ad ogni modo la chiesa, ad unica navata, è databile al 1725, ed appartiene a quel piano di risistemazione urbanistico patrocinato dai Theodoli: sulla sommità dell’altare maggiore si riconosce per questo lo stemma del Casato (la ruota a cinque raggi).

download (1)SANTA MARIA DE ARCE: Sulla sommità della rocca la chiesa di Santa Maria 17437985_1336393203122429_1310891552804962304_nprese il nome dalla sua posizione. Realizzata per i militari e solo in un secondo momento divenne chiesa parrocchiale. La chiesa era in origine una stanza con il tetto a schiena d’asino ricoperta di tavole. Posta ai limiti dell’antica piazza d’armi dei Colonna, da sempre fu legata alla residenza signorile: esolo dopo la metà del XVII secolo venne abbellita dai Theodoli: sul portale sormontato da un timpano spezzato, si riconosce lo stemma del casato marchionale.
Il Rocca ne fa risalire la datazione al 1400, poiché Bartolomeo Piazza riporta che in una campana fosse scritto in gotico: A.D. 1489 Magister Petrus de Petrinianus fecit.

download (2)SANTUARIO DELLA MADONNA DI COMPIGLIANO: La breve strada di campagna che conduceva al Santuario della Madonna di Compigliano , forse sul colle intorno sul quale la Vergine nel 1500 apparse a un pastore sordo muto.Il giovane riebbe la parola e l’udito e la Vergine iniziò ad essere venerata sul luogo del miracolo dove venne creato il Santuario alla fine del sedicesimo secolo per volere dei cittadini. Inizialmente realizzato su un unico blocco architettonico e su un’unica navata, fu ampliato tra la fine del settecento e la metà del novecento, la sacrestia venne realizzata nel 1890 e la cantoria sulla conto facciata risale al 1918. Diversi i miracoli della Madonna, a lei si attribuisce la guarigione dei Sanvitesi dalla peste e dal colera nella seconda metà del XIX secolo,avvenuta durante la processione.

IL CASTELLO E LA FAMIGLIA THEODOLI

 13413769_1020530161329466_4954837144937609134_nGerolamo Theodoli, vescovo di Cadice , il 9 giugno 1575 acquistò il feudo di SAN VITO , PISONIANO E CICILIANO e per la somma di 20.000 scudi romani.La famiglia Theodoli governò il paese per circa tre secoli e regnò portando la pace, la giustizia e il benessere. Fu il cardinale Mario Theodoli a far costruire il borgo, lungo circa 400 metri. Adornò il borgo di un convento e di una chiesa. Purtroppo il cardinale morì prima13315753_1020531524662663_236249622782642479_n che il convento fosse terminato, ma il marchese Carlo Theodoli fu il suo fedele continuatore. Nell’anno 1870 San Vito diventò un comune libero anche se la famiglia Theodoli continuò ad abitare nel castello. Il castello Theodoli , verso l’anno mille , era una semplice fortezza denominata “LA ROCCA “ . Nel XII sec si ha notizia di un piccolo insediamento che passò in proprietà dei principi Colonna. Trasformarono la fortezza in un castello, circondata da un muro altissimo e da una strada dove sostavano di continuo le IMG-20170217-WA0034sentinelle armate. I Colonna tennero il castello fino al 1575 dopodichè dovettero vendere il feudo ai principi Massimo ; questi lo cedettero ai Theodoli solo dopo 10 anni. Essi eseguirono importanti lavori di restauro : l’architetto Carlo Theodoli diede al castello la forma di una nave, intorno fece costruire un muro a scarpa e abbellì l’interno con affreschi e quadri. Modificò notevolmente il suo aspetto conferendogli funzioni di residenza signorile; infatti ancora oggi il castello appartiene ancora alla famiglia Theodoli che lo utilizza come residenza estiva.

Le ville a San Vito Romano

Villa Augusto Baccelli; sorta nella seconda metà dell’ottocento ad opera del senatore Augusto Baccelli è quella situata alla fine del borgo Mario Theodoli. Essa è delimitata da un alta muraglia, formata da blocchi di peperino. Ne sono attualmente proprietari l’avvocato Guido Viscogliosi Baccelli e la sorella Letizia. Nel 1950 essi hanno curato la ricostruzione dell’edificio fatto saltare con mine nel 1944 dai tedeschi in ritirata.

Villa Castellini; bella e di grande ornamento per questa cittadina, di squisita struttura artistica, di stile quattrocentesco , è la Villa Castellini. Il proprietario di essa è il Comm. Notaio Paolo Castellini. Egli non risparmiò fatica e denaro per renderla sempre più bella. Essa è situata a sinistra della strada provinciale che conduce a Genazzano e fa angolo con la strada che conduce alla “ Madonnina”. Non mancano graziose statue e fontane con altissimi getti alimentati che il Castellini ha fatto ricercare nel territorio stesso della villa. Tutto è curato nei minimi particolari con una meticolosità sorprendente

Villa Guido Baccelli di vaste proporzioni la villa Guido Baccelli  è situata a fianco alla villa Castellini. Essa era la residenza preferita del celebre clinico fu creata da Guido Baccelli, il quale amante del classico e del bello pose ogni cura a che la sua villa estiva fosse corrispondente ai suoi ideali.

Villino Ivella del signor Pasquale Ivella, nella contrada denominata “ Colle Piccolo”. La costruzione fu progettata e seguita da lui personalmente.

Villino Pacini sorge accanto al santuario della madonnina di Compigliano e da esso si può veramente spaziare in ogni lato.

Prodotti Tipici di San Vito Romano.

I principali prodotti locali sono : VINO , OLIO E FRUTTA . Il vino sanvitese, molto gustoso, è un ottimo vino da pasto . Il vino bianco è desiderato da tutti i gusti , anche i più raffinati .E’ dolce , gustoso, sulla vena o se si preferisce asciutto. Inoltre è fragrante,profumato e genuino. Esso è veramente gradito al palato ed i buoni intenditori lo apprezzano nella giusta misura. Gustosissima è l’uva , vi è dalle più svariate qualità: da tavola e da vino. Accanto al vino, il prodotto sanvitese più ricercato è l’olio, la qualità che vi si coltiva è la cosiddetta ROSCIOLA che per la qualità del del terreno vi cresce rigogliosa . L’olio prodotto in questo paese è quasi completamente privo di acidità , è limpido molto leggero e raffinato, tanto da considerarsi quasi medicinale per i malati di fegato ; è molto gustoso al palato.

Un altro prodotto molto diffuso in questa terra è la frutta:

Uva

Ciliegie

Fichi

Pere

Pesche dalla polpa succosa e tenerissima ; ma la frutta più abbondante è la castagna . vastissimi sono i boschi di castagne in San Vito, la raccolta delle castagne in San Vito è sempre abbondante , i ragazzi ne attendono la stagione come un rito. A questo cespite abbastanza rilevante , ne va aggiunto un altro , quello delle derivante dalla vendita delle nocciole , anch’esse coltivate su larga scala nella zona. La tradizione Enogastronomica sanvitese è basata sui piatti tipici della cucina contadina romana; tra i primi piatti ci sono Fettuccine, Cannelloni , Pomodori ripieni al riso ; notevoli i fiori di zucca fritti e le “ Nusche” ciambelline di zucca fritte e marinate ; i dolci tipici sono le ciambelle di magro, i “Morzellitti” al miele o al mosto cotto , il “Pampepato” e lo “ Scacchione”, dolce pasquale ornato da un uovo sodo .

I NEGOZI A SAN VITO

A San Vito ci sono negozi di ogni genere :macellerie,alimentari,supermercati,lavanderie, mercerie,pastifici, pasticcerie, bar, pizzerie, tabaccherie e ferramenta. San Vito è rinomato per la carne, il pane, le verdure,l ’olio  di oliva e il vino tant’è vero che dalle campagne e dai paesi vicini si accorre per ogni tipo di rifornimento. Tutti i mercoledì ha luogo il mercato settimanale.

ASSOCIAZIONI CULTURALI                       

Logo-300x128L’associazione Pro Loco di San Vito Romano si è costituita il 7 aprile 1966. Fin dalla sua nascita l’associazione ha avuto tra i principali obiettivi lo sviluppo turistico del paese attraverso la promozione di attività culturali e musicali (“notte di natale”, mostre, concerti bandistici, eventi di musica classica e leggera), sagre legate alle tradizioni locali (“pizza e broccoletti”, “bruschetta e olio novello”), oltre che la mostra estemporanea di pittura che ha richiamato nel tempo numerosi pittori di rilievo nazionale e internazionale.

Associazioni  culturali

Teatro “Caesar”

imagesIl Teatro – Cinema “CAESAR”, è situato in via Remigio De Paolis a San Vito Romano. E’ una struttura in calcestruzzo armato degli anni settanta (1968-69). Nasce come parte di un condominio e soltanto successivamente viene acquistato dal Comune di San Vito.
Il Teatro si sviluppa su un solo piano: ha una hall completa di cassa e guardaroba, un foyer su entrambi i lati della platea, con il bar e i servizi per il pubblico e una zona laterale al palcoscenico con camerini e servizi per gli attori. Con accesso direttamente dall’esterno ci sono due ambienti: il locale caldaia e il locale trattamento aria. In relazione alla vicinanza con Roma, nel passato il teatro è stato utilizzato per molti spettacoli e frequentato da attori e cantanti di un certo rilievo. Dopo 10 anni di chiusura e 3 di lavori di restauro, il Teatro Caesar è stato riaperto domenica 14 dicembre 2003, alla presenza del Presidente della Regione Lazio On. Francesco Storace, dell’Assessore alla Cultura della Provincia di Roma On. Vincenzo Vita, dei Sindaci, amministratori e rappresentanti delle Città e delle Associazioni Culturali dei Monti Prenestini e della Valle dell’Aniene.

Protezione civile

apicL’Associazione italiana Volontari della Protezione Civile di San Vito Romano è stata fondata nel gennaio 1992 ed ha iniziato la propria attività durante la guerra nella ex Jugoslavia, quando raccolti beni di prima necessità, un gruppo di volontari partì per le zone di conflitto con l’obiettivo di consegnare alla popolazione quanto raccolto. In modo analogo, i volontari hanno affiancato la raccolta dei beni e curato la consegna presso il centro di raccolta di Cittareale (Rieti), avvenuta il 17 settembre, a favore delle popolazioni dell’Italia centrale colpite dal sisma del 24 agosto 2016. Numerose le attività annuali per la tutela del patrimonio boschivo nella fase di prevenzione e spegnimento incendi, nella fattispecie nella vasta area dei monti Prenestini, valle dell’Aniene,10433089_500864126713877_1667997926324078166_n del Sacco e del Giovenzano, per la disponibilità dell’area attrezzata con vasca di pescaggio e piattaforma per l’elisoccorso, che contraddistingue l’Associazione a livello regionale. Ubicata in una zona a nord ovest di San Vito Romano, in località Le Cese, l’area affianca la bellissima «Passeggiata del Marchese»: un percorso naturalistico che sovrasta il centro abitato e che fa dell’area un parco naturale in cui svolgere attività didattiche, potenziate nel prossimo 2017, grazie allo spostamento della sede operativa presso la cosiddetta  «Casina Rossa», nell’attuale villa comunale «Vittorio Bachelet»,  accanto al boschetto de «La macchiarella» con castagni di origine antropica. Il boschetto è stato appena risistemato con percorsi naturalistici realizzati nell’ambito degli interventi di «Recupero e sistemazione aree naturali ed itinerari tematici nella villa comunale e nel vicino boschetto della macchiarella» (2015) che consentiranno un avvicinamento al territorio da parte delle scuole e della 13319689_838727796260840_507108483512743729_npopolazione giovanile, nonché dei turisti. La partecipazione alle emergenze, insieme alla cura del patrimonio ambientale e boschivo e la campagna AIB (antincendio boschivo), è dunque un punto di forza dell’Associazione che è stata di notevole supporto agli interventi  per le calamità del 2008 e del 2011. Questi per le intense piogge hanno procurato, a San Vito Romano,  il crollo di porzioni di carreggiata delle strade provinciali: SP 33/a Empolitana I tronco al Km 24.5,  SP 7/f Ponte Orsini (Costa Est) ed ancora la SP 33/al Km 26, oltre al crollo del cimitero cittadino. L’Associazione dispone anche di una tensostruttura (Luna) inaugurata il 1 maggio 2015 di 14 metri per 30 di lunghezza (5 moduli divisibili) da utilizzare per le emergenze. Attualmente (gennaio 2017) e dal 5 novembre 2016 la tensostruttura Luna è montata presso il campo sportivo comunale del comune di Posta (Rieti) interessato dagli eventi sismici del 24 agosto,1524721_424496574350633_604597_n     del 26  e del 30 ottobre 2016, ed ospita le scuole. L’attivazione dei mezzi e volontari per calamità ha visto l’Associazione impegnata a: Posta (Rieti): montaggio tensostruttura a seguito degli eventi sismici agosto-ottobre 2016; Illica/Amatrice (Rieti): terremoto del 24 agosto 2016; San Vito Romano/Pisoniano/Gerano: incendio 2016; Benevento: alluvione 2015; Emilia Romagna: terremoto 2012; San Vito Romano: frane per calamità 2011; L’Aquila: terremoto 2009; San Vito Romano/Pisoniano: frane per calamità 2008; San Vito Romano/Ponte Orsini: frane per calamità 2008; San Vito Romano: incendio loc. Pentima 2006; Gerano (Roma): terremoto 2000; Molise: terremoto 2002; Umbria/Marche: terremoto 1997; (ex) Jugoslavia: 1992.

Banda musicale

DSC08403_s-250x167La Banda Musicale di San Vito Romano fu istituita nel 1919 e diretta per oltre 40 anni dal Maestro Luigi Paolacci ed al quale fu successivamente intitolata.
Nel 1976, dopo oltre un ventennio di inattività, la Banda fù ricostituita . Il primo maestro fù Guido Colaneri, Si susseguirono nella direzione i Maestri Tomassetti, Chiacchierarelli e Piromalli che la fecero crescere ed apprezzare per la competenza e professionalità.
Dal 1984 è diretta dal Maestro Vito Ferrazzi.
Dal 1995 l’organico si è arricchito del Corpo da Ballo delle Majorettes. Dopo il susseguirsi di varie istruttrici, oggi il Corpo delle Majorettes vive soprattutto grazie all’impegno organizzativo della Signora Vilma Barile, della maestra Monica Rizzi , e all’assiduo lavoro di alcune giovani componenti che istruiscono le nuove entrate.
Negli ultimi anni la nostra associazione ha partecipato alle seguenti manifestazioni culturali: Concorso Nazionale per Majorettes a Faleria in provincia di Viterbo
Raduno nazionale per Bande e Majorettes presso il parco MagicLand di Valmontone
Udienza generale in Vaticano con il Santo Padre riservato alle Bande musicali, Majorettes, Gruppi folkloristici e artisti di Strada. Fa parte integrante del gruppo ANBIMA grazie al quale con oltre 160 bande ha partecipato ad un raduno nazionale a Firenze. Raduni bandistici ad Artena e Cave, inoltre il nostro gruppo Majorettes, singolarmente partecipa a diversi stage di perfezionamento e acquisizione di gradi federali, con l’ANBIMA, l’NBTA e la FITW con la collaborazione dell’allenatore nazionale di Twirling e coreografi internazionali di Majorettes. Da circa due anni la nostra banda, insieme alle bande “Puccini” di Cave e “Città del Palestrina” di Palestrina, ha formato la “Confederazione delle Bande Musicali Cattoliche” L’atto costitutivo della Confederazione è stato firmato il 6 dicembre 2013 in occasione della ricorrenza di Santa Cecilia presso la chiesa di Santa Maria a Cave, dai tre presidenti delle bande promotrici dell’unione. Garante dell’atto e testimone è stato Mons. Francesco Gioia Arcivescovo emerito di Camerino e San Severino marche nonché presidente della Peregrinatio ad Petri Sedem, don Antonello Sio, direttore dell’Ufficio Pastorale Giovanile della diocesi di Palestrina e dal sindaco di Cave Massimo Umbertini.
A marzo il primo concerto della neonata confederazione presso il teatro di Cave, in presenza del Vescovo di Palestrina Domenico Segalini, il 14 luglio presso la villa comunale di S. Vito,
la confederazione si è ampliata facendo entrare nel suo organico altri gruppi bandistici per un totale di 12.

Sport

ASD Audace SanVitoEmpolitana

downloadIn tempi di nascite importanti non si può non rilevare che ha visto la luce una nuova ed affascinante realtà calcistica: l’A.S.D. Empolitana Giovenzano, nata il 25.06.2013 della fusione tra l’A.S.D. Pisoniano Calcio (Eccellenza e Juniores Elite) e l’A.S.D. Empolitana PSV (Scuola Calcio e Giovanissimi Provinciali). Questa nuova Società, sorta ai piedi del santuario della Mentorella, nasce dalla felice intuizione di un gruppo di amici, alcuni dei quali rivestono anche cariche amministrative nei propri comuni, ispirati da un’unica idea: intraprendere iniziative sociali, che nel nostro caso si coniugano con la tradizione sportiva, al servizio di una collettività non più rinchiusa nei recinti del campanilismo comunale ma proiettata verso una più ampia visione di un territorio omogeneo, quello che si affaccia appunto sulla valle del torrente Giovenzano (affluente dell’Aniene), collegato dalla Via Empolitana (da Tivoli a Genazzano) e comprendente i Comuni di San Vito Romano, Pisoniano, Gerano, Cerreto Laziale, Ciciliano e Sambuci, i quali, nonostante la vicinanza alla Capitale, scontano un deficit strutturale che investe molti aspetti della vita quotidiana .Questo legame al territorio e alla sua storia ha ispirato anche il logo: una ruota di carro, che vuol rappresentare la ruralità del territorio a sei raggi, ciascuno dei quali rappresenta uno dei sei comuni che convergono verso un unico obiettivo. Mai prima, in questo spicchio di territorio ad Est di Roma, vi è stata una così coesa idea dello “STARE INSIEME” che vuole essere anche il nuovo slogan societario e proprio sulla base dell’aggregazione sociale che la nuova dirigenza societaria ha già preso contatti con le varie realtà sportive presenti nell’area per individuare con loro, nella piena autonomia di ciascuno, la possibilità di progetti e percorsi comuni. 15826194_779168538912872_5781275753303360195_nFinora tutto ciò è stato possibile grazie sia alla positiva ostinazione della Dirigenza sia alla disponibilità di molte Amministrazioni Comunali a supportare, nei limiti dati dalle esiguità di bilancio, il progetto. Il primo aspetto operativo già attivo è l’accordo (tramite l’associazione dei comuni) di portare il calcio come disciplina sportiva all’interno degli istituti scolastici interzonali (con piccole dimostrazioni sportive miste tra calciatori e studenti, coadiuvate da un gruppo di istruttori iusm), il secondo aspetto è portare il calcio nelle piazze dei paesi, attraverso partitelle (di scuola calcio) su campi ridotti ed improvvisati, coinvolgendo anche le famiglie, facendogli rivivere così i felici momenti passati quando, con poco, si viveva una serena giovinezza. E’ proprio questo spirito di intendere lo sport, nel nostro caso il calcio, ad impegnare ancor di più la nuova dirigenza affinché, a partire dalla scuola calcio in poi, si confermi, e ove è possibile si migliori, il progetto intrapreso. Da domani, affinché questa Società possa crescere, rafforzarsi e ampliare il suo raggio d’azione, occorre che vi sia una presa di coscienza da parte di tutti coloro (cittadini, imprese, Istituzioni) che vivono questo territorio, perché: “STARE INSIEME” si può, fa vivere ed è … bello.

Club Hockey Libero San Vito Romeo Gigli

539098_203615629815242_1306729716_n-300x265Il Club Hockey Libero San Vito nasce nel giugno del 1967. All’epoca San Vito Romano era una rinomata stazione turistica laziale e proprio dall’ incontro tra due “villeggianti”, alloggiati presso l’albergo “il Castagneto”, e un nostro compaesano è nata l’avventura dell’hockey su prato nel nostro paese. I due, il dott. Pizzoli e l’avv. Tondo, erano praticanti e dirigenti dell’hockey su prato e riuscirono ad incuriosire prima e appassionare poi “il nostro” Massimo Testa. Da questo incontro furono messi a disposizione alcuni bastoni che Massimo, con solerzia e generosità, cercò di distribuire agli amici e conoscenti che vollero intraprendere “l’avventura”. Si formò così una squadra, anche se i primi approcci furono difficili e le sconfitte non si contavano. Ci vollero un paio d’anni per avere il conforto della prima vittoria avvenuto contro “l’OLIMPIA” per 1 a 0 con la rete segnata da Bruno Testa. Alterne vicende da allora si sono succedute, alcune positive come la promozione nel 1982 nell’allora serie “B”, l’organizzazione e partecipazione a tornei internazionali. Altre vicende negative hanno portato la società al limite dello scioglimento. A seguito di una accurata riorganizzazione nel 2006 siamo riusciti nuovamente a riemergere dal baratro fino a raggiungere nel 2008 alla promozione in serie A2, persa nel 2010 e riconquista nel 2012. Qui, nel primo campionato disputato, la nostra formazione è arrivata seconda a 2 punti dalla prima. Ai risultati della prima squadra dobbiamo aggiungere l’attività del settore giovanile, fiore all’occhiello della società. Dal 2008 tutte le Ns. squadre giovanili hanno partecipato alle fasi finali dei rispettivi campionati classificandosi sempre ai primi posti. Attualmente siamo presenti con squadre femminili e maschili conseguendo risultati davvero lusinghieri. I nostri più prestigiosi successi sono stati i tre scudetti nel campionato nazionale, categoria under 16 maschile vinti nelle stagioni 2009-2010, 2011-2012 e 2012-2013. Sempre i ragazzi U16 hanno vinto il campionato nazionale di categoria settore indoor nel 2013. Altro prestigioso titolo è lo scudetto nel campionato nazionale, categoria under 16 femminile vinto nella stagione 2012-2013. Si aggiungono al palmares lo scudetto 2013-14 nella cat. U17 e sempre nello stesso Anno la storica Promozione in A1. San Vito Romano si estende sulle colline orientali della catena dei Monti Prenestini, in posizione dominante sulla Valle del Sacco.
Meta ideale di soggiorni estivi per la bellezza dei suoi scorci antichi e per l’altitudine, che gli conferisce una gradevole condizione climatica.
La zona collinare lo rende particolarmente vocato per la produzione di vino ed olio.

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La famiglia Carrarini svolge da ben tre generazioni l’attività vitivinicola. Iniziata in una impianticasa colonica nelle campagne in località, Fagnano, si è trasferita negli anni 1960 nel paese, San Vito Romano, dove tuttora risiede, costruendo qui la Cantina e le abitazioni.botti
Nel 1993 il figlio Antonio, in continuazione degli insegnamenti appresi dal papà Marcello, rileva l’attivià denominando la Cantina “il Merlo”, dal soprannome usato in famiglia.
serbatoiLa vigna, la cantina e l’organizzazione distributiva sono svolte completamente a livello familiare. L’azienda é localizzata sul tracciato della Strada del Vino Cesanese di Olevano Romano, associazione tra produttori
riconosciuta dalla Regione Lazio.

La Cantina e’ dotata di:

  • pressa pneumatica
  • serbatoi termocondizionati per la vinificazione
  • serbatoi in acciaio INOX per lo stoccaggio
  • impianto di imbottigliamento

vigneto2All’interno delle vecchie cisterne in cemento, è stata creata una bottaia per l’affinamento in barriques ed un luogo interrato per l’affinamento in bottiglia, con una temperatura ottimale di 12-16 °C.Un mosaico in ceramica di cm 240×240 della Richard Ginori, risalente al 1940 e rappresentante la società del periodo, arricchisce di storia e di bellezza la cantina. L’azienda vinifica uve autoctone come Bellone (Uva Pane), Ottonese, Cesanese e anche uve di varietà internazionali come Malvasia, Moscato bianco, Trebbiano e Merlot. vigneto1I vigneti si estendono su un territorio collinare in località Cascaglione. I terreni sono declivi di terra rossa e caratterizzati da persistenti escursioni termiche che li rendono particolarmente vocati alla viticultura e alla produzione di vini dalla spiccata personalità. Si effettuano concimazioni organiche e potature mirate ad ottenere basse rese per ettaro. Si produce anche una modesta quantità di olio dalle 400 piante di proprietà di famiglia (varietà rosciola). Dalle olive raccolte manualmente si produce un olio extravergine, con bassa acidità, destinato in buona parte al consumo familiare ed in parte alla vendita, prenotando in largo anticipo rispetto alla raccolta.

Vini rossi

Rosso Carato

RossoCarato DENOMINAZIONE
Lazio I.G.T. Rosso
UVE
Merlot 90%, Cesanese 10%
VINIFICAZIONE
Fermentazione condizionata in acciaio a 25°C, con 3 rimontaggi al giorno per 10-14 giorni
AFFINAMENTO
In barriques 12-24 mesi ed in bottiglia
GRADAZIONE ALCOLICA
13-13,5% vol.
COLORE
Rosso rubino intenso con riflessi granata
PROFUMO
Complesso, con sentore di tostato, speziato, vaniglia
SAPORE
Asciutto, di buona struttura, piacevolmente tannico
ABBINAMENTO
Carni grigliate, agnello, cacciagione, formaggi stagionati
CUCINA SANVITESE
Abbacchio e conigilo alla cacciatora, polenta con spuntature di maiale e pecorino
TEMPERATURA DI SERVIZIO
18°C

Cascaglione

CascaglioneDENOMINAZIONE
Lazio I.G.T. Rosso
UVE
Cesanese, vendemmiato leggermente surmaturo
VINIFICAZIONE
Fermentazione condizionata in acciaio a 25°C, con 3 rimontaggi al giorno per 10-14 giorni
AFFINAMENTO
In acciaio
GRADAZIONE ALCOLICA
14-15% vol.
COLORE
Rosso rubino con riflessi granata
PROFUMO
Vinoso, tipico, con leggero sentore di ciliegia
SAPORE
Rotondo, morbido, piacevolmente tannico
ABBINAMENTO
Carni grigliate, pecorino romano di media stagionatura
CUCINA SANVITESE
Polenta con spuntature di maiale e pecorino
TEMPERATURA DI SERVIZIO
18°C

Fontananova

FontananovaDENOMINAZIONE
Lazio I.G.T. Rosso
UVE
Merlot, Cesanese
VINIFICAZIONE
Fermentazione condizionata in acciaio a 25°C, con 3 rimontaggi al giorno per 10-12 giorni
AFFINAMENTO
In acciaio, 10% in barriques
GRADAZIONE ALCOLICA
13-13,5% vol.
COLORE
Rosso rubino intenso con riflessi violacei
PROFUMO
Vinoso, con leggeri sentori di frutta rossa e viola
SAPORE
Asciutto, fresco, giovane, giustamente tannico
ABBINAMENTO
Carni bianche e rosse, formaggi di media stagionatura
CUCINA SANVITESE
Tacchie e polpette, fagioli e cotiche
TEMPERATURA DI SERVIZIO
16-18°C

Vini bianchi

Coe Piccu

CoePiccuDENOMINAZIONE
Lazio I.G.T. Bianco
UVE
Trebbiano, Malvasia
VINIFICAZIONE
Pressatura soffice e fermentazione a temperatura condizionata a 15°C
AFFINAMENTO
In acciaio
GRADAZIONE ALCOLICA
13-13,5% vol.
COLORE
Giallo paglierino
PROFUMO
Fresco, fruttato, floreale
SAPORE
Asciutto, rotondo, leggermente amarognolo
ABBINAMENTO
Primi piatti, minestre, carni bianche
CUCINA SANVITESE
Quadrucci in brodo o con fagioli, minestra di gnocchi
TEMPERATURA DI SERVIZIO
10°C

VecchiFilari

VecchiFilariDENOMINAZIONE
Lazio I.G.T. Bianco
UVE
Malvasia, Ottonese, Bellone
VINIFICAZIONE
Pressatura soffice, chiarifica statica e fermentazione in acciaio
AFFINAMENTO
In barriques con batonnage e sosta sui lieviti per circa 12 mesi ed affinamento in bottiglia
GRADAZIONE ALCOLICA
14-15% vol.
COLORE
Giallo paglierino con riflessi dorati
PROFUMO
Complesso, con sentori di mandorla, pasticceria secca, pera matura
SAPORE
Pieno, rotondo, di buona acidità e struttura
ABBINAMENTO
Quasi tutti i piatti a base di pesce saporito, frittura
CUCINA SANVITESE
Fritto misto sanvitese, pizza gialla ed erbe campagnole, pomodori ripieni di riso
TEMPERATURA DI SERVIZIO
10-12 °C

La Rosciola

1L’azienda agricola La Rosciola, situata sulle colline di San Vito Romano in provincia di Roma, produce olio extra vergine d’oliva a partire da una particolare varietà di alberi di ulivo autoctona del territorio sanvitese. Rosciola è infatti il nome degli alberi autoctoni che richiama il colore rossastro delle olive prodotte. Ma i nostri uliveti comprendono anche altre varietà di alberi d’ulivo secolari dalle caratteristiche diverse. Il risultato è un olio extravergine d’oliva dal sapore unico e antico prodotto da secoli sulle propaggini orientali dei Monti Prenestini a 700 metri sul livello del mare. Tradizione, innovazione e passione per i prodotti della natura e del territorio sono i principi alla base della filosofia della nostra azienda agricola olearia. Da una parte la conduzione familiare dell’azienda e un sistema di coltivazione degli ulivi a terreno terrazzato che favorisce il drenaggio dell’acqua e crea le condizioni ideali per far giungere a maturazione le olive con il giusto quantitativo idrico e di principi organolettici. Dall’altra la scelta di produrre un olio d’oliva di qualità anche con il supporto tecnico di agronomi e altre figure professionali al fine di seguire ognuna delle singole fasi della produzione dell’olio d’oliva:

Solo con la cura di queste tre fasi di produzione dell’olio, insieme al metodo di coltivazione rispettoso del territorio e alla filosofia aziendale familiare del notro oleificio possiamo portare sulle vostre tavole un olio unico, limpido e profumato che sa di natura:images (2) l’olio extra vergine d’oliva La Rosciola. L’olio extra vergine d’oliva prodotto nella nostra azienda agricola a San Vito Romano, in provincia di Roma, è frutto di un’antica sapienza sorretta dai metodi di estrazione e conservazione all’avanguardia. Il suo gusto è fruttato e maturo, piccante di media intensità. Il profilo aromatico è caratterizzato da sentori di erba, mandorla e carciofo. Come dimostrato dalle analisi chimiche effettuate sull’olio d’oliva di nostra produzione, il rapporto minimo di acidi grassi insaturi/saturi e il contenuto in acido oleico determinano un olio con fluidità elevata e un alto tasso di polifenoli, molecole antiossidanti che combattono l’invecchiamento:

Polifenoli tot (mg/kg) fino a 570

Rapporto insaturi/saturi fino a 6.10%

Acidità fino a 0.2%

images (1)L’azienda agricola di produzione olearia La Rosciola è particolarmente attenta all’individuazione del tempo giusto per la raccolta delle olive, eseguita sempre con il verificarsi dell’invaiatura (stato di maturazione dal verde intenso al rosso porpora). Il risultato è un olio extra vergine d’oliva a elevato contenuto di tutti i principi nutritivi e attivi contro l’invecchiamento. Una volta raccolte, le olive vengono assemblate in cassette forate che facilitano la circolazione dell’aria evitando così il formarsi di muffe che danneggerebbero il prodotto. Alla base del sistema di produzione olearia dell’azienda agricola La Rosciola, c’è la volontà di portare sulla vostra tavola un olio d’oliva dalle qualità olfattive e organolettiche inalterate. Per questo disponiamo di un  che ci permette di estrarre l’olio extra vergine d’oliva, gestendo al meglio i tempi di molitura, annullando l’attesa e utilizzando sistemi continui e gramolatura a bassa temperatura. È così che nasce il nostro olio extra vergine d’oliva di alta qualità, a livello nutrizionale e di gusto, con il suo sapore unico sulle note del piccante – amaro – fruttato. La conservazione dell’olio d’oliva rappresenta una fase estremamente delicata contro l’insorgenza di fenomeni degenerativi in grado di alterare le qualità chimiche organolettiche del prodotto. downloadL’olio d’oliva della nostra azienda agricola La Rosciola mantiene inalterate le proprie caratteristiche nel tempo, grazie allo stoccaggio in contenitori in acciaio inox in camera di azoto.
Prima di ogni imbottigliamento inoltre, l’olio viene filtrato per evitare la presenza di deposito sul fondo della bottiglia. Il risultato è un olio extra vergine d’oliva che arriva sulle vostre tavole conservando tutta la sua ricchezza nutrizionale e la sua limpidezza.

Pellegrinaggio alla santissima trinità

15219484_1199335626814637_5026494210502321398_nOgni anno la compagnia di San Vito Romano organizza il pellegrinaggio alla santuario della santissima trinità . Il pellegrinaggio dura tre giorni , sono tre giorni di cammino e di preghiera . Il santuario della Santissima Trinità è un piccolo santuario della chiesa cattolica, dedicato alla Trinità, situato nel territorio del comune di Vallepietra (RM), al confine del Lazio con l’Abruzzo, 13606626_864815306996341_9050899907480811268_nin un territorio montano a quota 1337 metri s.l.m.. Il santuario, incluso nel territorio della diocesi di Anagni-Alatri, si trova al di sotto di una grande rupe rocciosa a strapiombo del gruppo montuoso del monte Autore (a 1885 metri s.l.m.) (Colle della Tagliata), lungo il versante sud-ovest della catena dei monti Simbruini, affacciandosi sulla sottostante valle del Simbrivio. Meta frequente di devoti, pellegrini, curiosi ed escursionisti, è raggiungibile download (5)facilmente salendo da Vallepietra per circa 14 km di strada asfaltata, oppure dal limitrofo territorio abruzzese  attraversando la strada sterrata circondata da faggete secolari del pianoro carsico di Campo della Pietra, località nota anche per essere stata sede del set del film Lo chiamavano Trinità…. Oltre al vecchio santuario è presente una piccola installazione moderna per le celebrazioni religiose. Il santuario è meta di pellegrini provenienti soprattutto da LazioAbruzzo e Campania.

Menù tipico San Vito Romano\

Antipasto di montagna:

salumi assortiti,olive,verdure sott’olio,prodotti caseari e bruschette con patè vari e lardo nostrano.

Primi piatti :

“tacchie con le pallocche” : tacchie pasta a base di acqua e farina , stese a mano,condite con salsa al pomodoro arricchita con polpettine a base di carne di manzo. “polenta con salsicce e spuntature” : polenta a base di farina di mais , condita con salsa al pomodoro arricchita da salsicce e spuntature di maiale nostrano,servita su una “spianatora” , su delle “scifelle” o ancor meglio posta su un tavolo,lasciata raffreddare e tagliata con un filo di cotone in piccole fettine per poi essere sovrapposte e condite con la salsa e una spolverata di parmigiano o pecorino.

Secondi piatti :

“pizza gialla , broccolitti e zazzicchie” : un piatto semplice della tradizione sanvitese composto da una pizza gialla a base di farina di mais , ripiena di broccoletti di rapa e salsiccia .

Contorni :

“frittegli” : frittelli misti di ; carciofi , broccoli , ricotta , zucchine , fiori di zucca , melanzane e borragini , pastellati e fritti io olio di oliva bollente.

Dolci :

dolcetti secchi tipici della cucina sanvitese .

Frutta :

frutta di stagione tipica della zona.

Liquori e digestivi:

vasta è la scelta di amari e liquori che offre la nostra terra .

Vini :

offriamo una vasta gamma di vini rossi e bianchi ricavati dai vigneti sanvitesi, che accompagnano i piatti.

San Vito Romano

San vito Romano is a small village nearby Rome ,it is  situated on the mountains Prenestini , with an altitude of 720 m.on the sea level a surface of 12,66 kmq and  a population of 3355 inhabitants. In this village there are woods mostly consisting of  chestnuts . The most common wood is called “MACCHIARELLA” . San Vito is famous for the valley of river Sacco , a small source flowing in the countryside . other common sources are“ CANALE”  and “ACQUA PIUCCHIOSA”  . The strength of this village is the production of oil and wine The local  wine is very tasty and pairs well  with  local food. The oil  is of good quality because it doesn’t contain  acidity ; it is clear , light and refined ; it flavours dishes.

Here you can also  find fruits like : cherries , figs , pears , apples , apricots and prunes.

Churches:

SAN BIAGIO :(1200)the architect and designer of the church was  Giovanni Theodoli

SAN ROCCO and SAN SEBASTIANO:(1640 1660) they were renovated from 1999 to 2003 . The church is a good example of Baroque architecture.

SAN VITO MARTIRE :dates back to the first half of 700 ; and it is famous for san Lorenzo ‘s canvas placed on the altar of the church  .

SANTA MARIA DE ARCE: it was built only for soldiers at the beginning, later it was opened to the to the religious people .

SANTUARIO MADONNA DI COMPIGLIANO: it is the church built often the appearance of the Virgin in 1500.

THEODOLI’S FAMILY

The cardinal Mario Theodoli built the hamlet, long about 400 m.

The hamlet surrounded by a of nunnery and a church.

In the 1870 San Vito became a free city of residence, also Theodoli’s family continued to live in the castle.

In the XII century there a small settlement was ruled by Colonna’s.

That  transformed the hamlet to a castle, surrounded by a  high wall and a road where stopped the armed watchmen.

The Colonna held the castle until 1575 after that they sold the feud to Massimo’s prince,  they sold it to Theodoli only 10 years later.

They did important restoration work . The architect Carlo Theodoli gave the

Castle the shape of a ship.

Nowadays the castle still belongs to Theodoli family that uses it as a summer residence.

Villa Augusto Baccelli; It was erected in the second half of the 19th century at the hands of Augusto Baccelli Senator and is situated at the end of  Mario Theodoli Medieval village.

It is bounded by a high wall, made from blocks of lava stone.

Villa Castellini; it is a beautiful and great ornament for this town, symbol of 15th century artistic structure and style. There are graceful statues and fountains with high powered jets that Castellini researched in the same area of the villa.

Villa Guido Baccelli it is a large Villa situated next to Villa Castellini. It was the favourite residence of the famous doctor Guido Baccelli.

SHOPPING IN SAN VITO

In San Vito there are all kinds of shops: butcher shops, groceries, supermarkets, laundries, haberdasheries, pasta factories, bakeries, bars, pizzerias, tobacconists and hardware. Inside these small shops you can find everything, are you can find fresh dairy products and homemade bread and shops where you can find everything for the house and the work. San Vito is famous for products meat, bread, vegetables, olive oil and wine. To meet the needs of the population, a market takes plays in Guido Baccelli on Wednesday.

Typical San Vito Romano menu:

Mountain Appetizer;

Assorted cold cuts,olives, pickled vegetables, dairy products, bruschetta with various patè and

typical lard.

First courses;

“Tacchie con le Pallocche”: pasta made from water and flour, homemade, tomato sauce with beef meatballs.“Polenta con Salsicce e Spuntature”: polenta made from of corn flour, tomato sauce with sausages and Pork spare, served on a “spianatora”, on the “scifelle”, or even better served at table, cut with a cotton thread in small slices and seasoned with sauce and parmesan or pecorino cheese.

Main courses;

“Pizza gialla, broccolitti e zazzicchie”: a traditional simple sanvitese dish made from yellow pizza (corn flour) with broccoli and sausages.

Contours;

“Frittegli”: mixed fritteli of artichokes, broccoli, ricotta, courgettes, courgette flowers, aubergines and borages ,bettered  and fried in boiling olive oil.

Desserts;

Typical dry sanvitesi biscuits.

Fruits ;

Typical fruit

Liqueurs;

Large choice of liqueurs

Wines;

There is a wide range of red and white wines made from San Vito, vineyards well paired with dishes.

SAN VITO ROMANO

San Vito Romano est un petit village en province de Rome situé sur les monts Prenestini, à une altitude de 720 m sur la mer et une surface de 12,6kmq et la population est de 3355 habitants . Dans ce village il y a beaucoup de bois de châtains et le bois le plus fameux est ‘La Macchiarella’ . San Vito est très connu pour la vallée du fleuve Sacco qui traverse la campagnes. Une autre source connue est  ‘Il Canale’ et d’autres sources mineures comme ‘L’Acqua Piucchiosa’ La cultivation del l’ olive et la vigne sont les plus prisées. Le vin Sanvitese est très savoureux et très bon pour accompagner les plats. L’huile produite est complètement dépourvue d’acidité, claire, légère et raffinée, et finalement très savoureuse en bouche. Les fruits le plus cultivés sont : les cerises, les figues, les poires, les pommes, les abricots et les prunes.

Églises:

San Biagio (1200) de l’architecte Giovanni Theodoli

Saint Rocco et Saint-Sébastien (1640 1660) et rénové en (1999-2003) est une  baroque.

San Vito martyr (de la première moitié de 700) célèbre église du protecteur du village avec l’autel de San Lorenzo

Santa Maria bâtie pour les militaires, puis devenue plus tard une église paroissiale.

Le Sanctuaire de l’église Madonna Compigliano construit pour l’apparition de la Vierge en 1500.

FAMILLE THEODOLI :

C’Était le cardinal Mario Theodoli qui a construit le village, qui s’étend sur 400 mètres de long. Il orne le village d’un couvent et à une église. En 1870 San Vito est devenue une commune libre, bien que la famille Theodoli a continué à vivre dans le château. Le château Theodoli, autour de l’an 1000, était une forteresse appelée “LA ROCCA”. Au XIIe siècle, le petit village devient la propriété des princes Colonna. Ils ont transformé la forteresse en un château, entouré d’un haut mur et une route où ils avaient des soldats constamment armés. La famille Colonna occupe le château jusqu’en 1575, puis elle il a dû vendre la propriété au prince Massimo; ils vendent  à Theodoli seulement après 10 ans. Ils ont effectué d’importants travaux de restauration: l’architecte Carlo Theodoli donna le château sous la forme d’un navire et, il y a de lui avec de belles fresques et des peintures. Même aujourd’hui, le château appartient toujours à la famille Theodoli qui l’utilise comme une   résidence d’été.

Les villes à San Vito Romano

Villa Augusto Baccelli : Elle bâtie dans  la seconde moitié du dix-neuvième siècle et nom née Augusto Baccelli .La ville est située à la fin de l’ ancien village de (Mario Theodoli)

La Villa Castellini ;est très belle selon le style du XVe siècle. Il y a beaucoup de statues et de fontaines avec des jets de haute puissance .

La Villa Guido Baccelli :est de vastes proportions et elle est située à côté de la villa Castellini. Ce fut la résidence préférée du fameux médecin Guido Baccelli.

 

                                      LES BOUTIQUES DE SAN VITO ROMANO :

A San Vito il y a toutes sortes de magasins: boucheries, épiceries, supermarchés, blanchisseries, merceries,les usines de pâtes, boulangeries, bars, pizzerias, Tabacs et de matériel.

Dans cet petites boutiques on peut trouver toute. Elles sont bien approvisionnés et les aliments où on peut trouver des produits laitiers frais et du pain fait maison. San Vito est réputé pour notre viande, le pain, les légumes, l’huile d’olive et le vin .Pour répondre aux besoins de la population, le mercredi, il a lieu un marché pour les habitants .Le marché occupe toute la rue Guido Baccelli.

LE MENU’ TIPIQUE DE SAN VITO ROMANO :

ENTRÉES DE MONTAGNE:

assiette de charcuterie , olive, légumes  dans l’huile, fromage et ‘bruschetta’ avec patè et lardons du pays.

PRIMI PIATTI:

« TACCHIE CON LE PALLOCCHE » : Tacchie : pâte à base de farine et d’eau, faits à la main, assaisonnée de sauce tomate enrichie avec des boulettes de viande à base de bœuf.

« POLENTA CON SALSICCE E SPUNTATURE  » polenta à base de farine de maïs, assaisonnée à la sauce tomate enrichie avec des saucisses et des côtes de porc du cru, servie, sur le “scifelle” ou encore mieux placée sur une table, on laisse refroidir et couper avec un fil coton en petites tranches et ensuite assaisonne avec la sauce et une pincée de parmesan ou de pecorino.

PLATS PRINCIPAUX :

« PIZZA GIALLA , BROCCOLITTI E ZAZZICCHIE » : un simple plat de tradition Sanvitese qui se compose d’une pizza jaune fait avec de la farine de maïs, bourré de feuilles de navet et des saucisses.

PLAT DE LEGUMES :

« FRITTEGLI » Mixed Fritelli d’ artichauts, brocolis,courgettes, fleurs de courgettes, d’aubergines et de bourrache, battue et frit avec de l’huile d’olive chaude.

GÂTEAU :

Pâtisseries typiques de la cuisine de San Vito,des biscuits.

FRUIT :

Fruits de saison .

LIQUEURS ET DIGESTIFS :

Une large choix de liqueurs typiques.

 VINS : nous offrons une vaste gamme de vins rouges et blancs issus des vignobles de San Vito, qui accompagnent les plats.

Numero abitanti nucleo storico San Vito Romano :

 Via Borgo Mario Theodoli : 165 Abitanti                                                                                            Via Santa Maria                  :   17 abitanti                                                                                            Vicolo Santa Maria             :   11 abitanti                                                                                       Via Santa Maria De Mattias:   48 abitanti                                                                                      Piazza Santa Maria              :    7  abitanti                                                                                            Via delle logge                    :    59 abitanti                                                                                            Via Governo vecchio          :    22  abitanti                                                                                    Piazza governo vecchio      :    18 abitanti                                                                                          Via Olevano                        :    31 abitanti                                                                                        Via Porta Olevano              :    18 abitanti                                                                                              Via Arco telli                       :    9  abitanti                                                                                         Via San Biagio                    :    48 abitanti                                                                                               Via della mola                   :     17 abitanti                                                                                             Via delle “mòre”                :    11 abitanti                                                                                         Via dell’arringo                  :    62 abitanti                                                                                  Vicolo dell’arringo              :   25 abitanti                                                                                          Via della libertà                   :   18 abitanti                                                                                      Via del casarino                   :   15 abitanti                                                                                      Via carrozza                         :   24 abitanti                                                                                            Via castellana                       :   5   abitanti                                                                                        Via Guido Baccelli               :  101 abitanti                                                                                        Vicolo della rocchetta            :  8    abitanti                                                                                        Via San Vito                           : 60   abitanti                                                                                       Via del monte                         :  61   abitanti                                                                       TOTALE                                :    860 ABITANTI

Sondaggio fatto il 9 marzo 2017 presso l’ufficio anagrafe del comune di San Vito Romano. Prese in considerazione la strade che costituiscono il borgo ambo i lati e tutto il nucleo storico del paese.

Avendo un complessivo di 860 abitanti in gran parte del nucleo storico di San Vito,date la miriade di case vuote (più del 50%) potremmo creare un albergo diffuso con un totale di 150 posti letto spendibili con:

20 case da 2 camere con un massimo di 4 posti letto

15 case bilocali con un massimo di 3 posti letto

10 case monolocali da 2 posti letto

5 case da 1 posto letto.

Nel nucleo storico sono presenti vari negozi per soddisfare al meglio il cliente…..

Genazzano

-Genazzano ; il castello colonna

e la sua storia.

A nord, su di una collina tufacea, il Castello Colonna domina su Genazzano in tutta la sua maestosità e splendore. La sua storia è legata, come testimonia il suo stesso nome, alla famiglia Colonna che nel corso del tempo, di generazione in generazione, grazie ad ampliamenti, resero il Castello da semplice fortezza difensiva a residenza padronale di grande rilievo artistico e architettonico. Il primo documento che riguarda il castello Genazzano risale al 10 agosto 1022 ed è un atto di donazione per la badia di Subiaco. Già nel 1053 passa alla famiglia Colonna che vi installa la prima struttura solo nel Medioevo, intorno al 1227, per adibirlo ad avamposto difensivo. La fortezza infatti è posta a nord e presenta due torri per meglio difendere il luogo da eventuali attacchi nemici. Soltanto nel periodo rinascimentale la fortezza viene trasformata in residenza personale della famiglia, grazie ai lavori intrapresi da Filippo Colonna, principe del paese. Oddone Colonna che nacque a Genazzano alla fine del 1300 e che divenne poi Papa nel 1417 con il nome di Martino V, fece restaurare la parte ovest del castello per adibirla a sua residenza. Le cornici in marmo delle finestre, i camini e i sedili in marmo delle sale di rappresentanza si contrappongono agli elementi in travertino del versante est del castello, l’ “ala borgiana”; Infatti tra il 1500 e il 1503 il castello fu posseduto dalla famiglia Borgia che contribuì ad opere di fortificazione nella parte orientale di esso. Nel 1503 il feudo fu assegnato a Pompeo Colonna (probabile committente del Ninfeo), che contributi alla sistemazione del portico nel cortile. Nel 1639 il cardinale Girolamo Colonna contribuì alla realizzazione degli affreschi della cappella situata al primo piano, nell’ala est, raffiguranti squarci di paesaggi e scene sacre. Nel cortile si trovano un pozzo ed una fontana ottogonali, anch’essi del periodo rinascimentale voluti da Filippo Colonna e che ricevevano l’acqua dall’acquedotto romano. L’accesso al Castello un tempo era consentito anche al popolo che poteva rifugiarsi in caso di attacco ed usarlo come luogo di scambi commerciali durante il giorno. Ma nel XVIII secolo, la costruzione della balaustra a chiudere a sud il cortile, ne impedì l’accesso al castello da parte dei cittadini. Il castello giunge incolume fino al 1915, quando un terremoto con epicentro ad Avezzano ne provoca i primi dissesti. Continuando, Nel 1943, una squadriglia della RAF, per distruggere i forni allestiti dentro il castello dall’esercito tedesco che riforniva Cassino provocò notevoli crolli. Nel 1979, il Castello è stato acquistato dal Comune di Genazzano che diede vita ai primi lavori di ristrutturazione. Oggi il Castello torna a dominare in tutta la sua maestosità. Divenuto Centro Internazionale d’Arte Contemporanea, nei suoi spazi sono state ospitate prestigiose mostre: Cucchi, Pizzicannella, la collezione Tonelli, si sono articolate nei 3000 mq di superficie suddivisa in più di 20 sale. Il Castello è dotato di una serie di servizi quali biblioteca specializzata, archivio storico, sala conferenze, servizio visite guidate, laboratori didattici, tecnologia multimediale, videoteca, biblioteca digitale e cartacea.

(Castello Colonna, vista aerea)

 

                                             MONUMENTI PRINCIPALI DI GENAZZANO:

                                                     Ninfeo Bramante di Genazzano:

 Sorge su quello che era il “Giardino Vecchio” del castello, e fino al XX secolo si riteneva fosse di origine romanica o dell’Alto Medioevo. La datazione è incerta e non documentata: forse fu costruito tra il 1501-1503 sotto il papato di Alessandro VI Borgia il quale lo abbellì e fortificò; o più probabilmente fu eseguito su commissione del cardinale Pompeo Colonna al Bramante tra il 1507-1511.La scelta dell’ordine tuscanico nel Ninfeo e anche nel Castello Colonna è stata operata in piena coscienza, in linea con una forte tendenza della prassi contemporanea. Infatti già nei primi due decenni del XVI secolo il toscano-dorico viene considerato l’ordine più adatto alle architetture extraurbane. Dalle ricerche condotte sui materiali e tecniche costruttive, il Ninfeo risulta costruito in due fasi distinte con relativo cambio di progetto e destinazione d’uso.Inizialmente concepito come padiglione estivo, impostato sullo schema della basilica di Massenzio e dei frigidarium delle terme romane, si presenta come un piccolo complesso di ambienti dove era possibile passeggiare, incontrarsi, studiare, discutere. Il complesso fu concepito certamente come luogo di rappresentazione teatrali e di feste pubbliche. Prova di ciò è la presenza dei molti vasi in argilla, aventi funzione acustica murati nelle pareti della zona rialzata, in modo da creare una sorta di camera acustica.

 

 

 (vista frontale del Ninfeo Bramante)

 

 

                                SANTUARIO DELLA MADONNA DEL BUON CONSIGLIO:

 

Secondo la leggenda, nel 1467 a Genazzano la terziaria agostiniana Petruccia di Ienco, successivamente divenuta beata per volere di papa Clemente XIV il 22 novembre 1735, detta “beata Petruccia”, vedova di Giovanni di Nocera, spese tutti i suoi beni per restaurare una primitiva chiesa del 1356, dedicata alla “Madonna del Buon Consiglio”, che era in rovina ed in stato di abbandono. Poiché i suoi beni non erano sufficienti per terminare il lavoro, gli abitanti di Genazzano iniziarono a deriderla. Ma lei disse con tranquillità: «Non vi preoccupate, figlioli miei, prima che io muoia – allora era già molto avanzata in età – la Beata Vergine e Sant’Agostino porteranno a termine i lavori della chiesa stessa». Un anno dopo la pronuncia di queste parole i turchi invasero l’Albania ed arrivarono ad assediare la città di Scutari. Quel giorno un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino si staccò miracolosamente da un muro della basilica di Scutari (distrutta prima dai turchi, poi ricostruita e nuovamente distrutta durante il dominio comunista in Albania e ricostruita nuovamente negli anni ’80-’90) per sfuggire alla distruzione. Due uomini a lei devoti, Giorgi e De Sclavis, videro la sacra immagine volare e sorretta dagli angeli. I due decisero di seguirla e, per volere della Madonna, percorsero il mar Adriatico a piedi. Il 25 aprile 1467, durante la festa di San Marco, l’immagine arrivò e si posò sulla chiesa in costruzione. La notizia di questo fatto miracoloso si diffuse e per questo cominciarono pellegrinaggi da tutta Italia, in particolare si ricorda quello da Nepi e, grazie a miracoli e guarigioni miracolose, vennero fatte molte elemosine dai pellegrini, e così non solo venne completata la chiesa, ma venne eretto anche un convento.

 

 

 (vista frontale del santuario)

 

 

                                                      CHIESA DI SANTA CROCE:

                                                        

La chiesa di Santa Croce si trova dentro la cinta muraria, subito a destra di “Porta Romana”. Essa risale al X secolo ed era un tempo proprietà dei Benedettini di Subiaco che erano i principali feudatari delle terre laziali della Santa Sede e che per le numerose donazioni avvenute in epoca medievale, possedevano la maggior parte del territorio genazzanese . Era intitolata ai SS. Stefano e Lorenzo, per diventare poi chiesa e cappella d’ospedale fino al bombardamento nel 1944 .Ad un’unica navata absidata, all’interno conserva preziosi affreschi che da un primo studio sono stati ricondotti a quattro cicli pittorici .Del primitivo periodo di raffigurazioni, eseguiti forse da “Maestro Consolo” della scuola benedettina, si ha testimonianza a metà della parete da un gruppo di tre figure di benedettini, una con il breviario in mano, e due inginocchiate in atto di implorazione. Solo questo rimane del primo ciclo e sono venuti alla luce a causa di un distacco dell’intonaco che ha parzialmente tagliato la figura di San Francesco, raffigurato davanti ad una piccola chiesa, che riceve le stimmate .Questa immagine sovrapposta fa parte di una fascia di episodi ( terzo ciclo quattrocentesco) di minore pregio, che proseguono nella parte bassa fino a metà della parete destra, unendosi con eleganti figure sacre, probabilmente di scuola giottesca che fanno parte invece del secondo ciclo del XIII secolo .Tra i molti graffiti antichi sui cicli di affreschi che spesso hanno permesso la loro datazione, vi è un documento di grande valore costituito da una scrittura in tre righe incisa sulla tonaca della terza figura della parete destra dell’ingresso: “Hic fuit Michael Bonsemplans de Guielominii cum cardinale de Campiano anno domini MCCCXLVII”.Nella parte sinistra due sole raffigurazioni: “La Crocifissione” ed i simboli di essa, rimangono nel secondo ciclo; isolata nel resto della parete sia “La Madonna col Bambino” , sia la Crocifissione del catino absidale, appartengono al quarto ciclo (secolo XVIII)Della pavimentazione originaria non c’è più traccia, mentre all’interno è conservata un’acquasantiera ricavata da un capitello logorato .Attualmente è chiusa al culto ed è adibita a Sacrario dei Caduti, con ossario interrato al centro della navata

 

(affresco di santa croce)

 

 CHIESA DI SAN PAOLO APOSTOLO

 

Chiamata nelle antiche visite pastorali “Colleggiata Primaria Maggiore e Matrice”, la chiesa di San Paolo Apostolo è probabile sia stata eretta nel XIII secolo. Notizie certe esistono solo dopo il 1277 nelle Conventiones, dove uno dei testimoni dell’atto è Giacomo Gallinella, arciprete di San Paolo. Nell’anno 1356 Pier Giordano Colonna assegna la chiesa ai sacerdoti secolari. Il 10 settembre del 1480 Imperiali, moglie di Antonio Colonna , nel suo testamento, lascia alla chiesa vari beni.In quell’anno la chiesa non possedeva l’aspetto attuale e probabilmente non era dissimile da Santa Maria del Buon Consiglio e da San Giovanni, prima dei rifacimenti neoclassici, come ricorda il Senni, storico locale. La pavimentazione è in marmo bicolore ed è rialzata rispetto alla soglia d’ingresso; finti marmi con stucchi compongono la pesante decorazione che nel coro tenta di dare l’illusione prospettica di profondità. Il campanile cosmatesco a torre quadrata è marcato nei quattro ordini di celle trilobe, da modanature di mattoni e marmorei modiglioni.L’edificio ha subito una ristrutturazione nel secolo XVIII che, pur risparmiando la torre campanaria, ha alterato aspetti dell’originario complesso romanico. Vennero erette due navate laterali, e la sacrestia addossata al campanile, utilizzando i fondi delle confraternite genazzanesi . Una lapide posta sulla porta maggiore ne ricorda i lavori.Nel 1829 la facciata fu ristrutturata e venne creata una grande cappella dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Nel 1889, su commissione del parroco Mons. Serafino De Bellis il pittore Prof. Cesare Caroselli diresse la decorazione della chiesa e dipinse la Gloria del presbiterio. L’organo di grande valore è invece del signor Malvestio di Padova.Tra le opere presenti nella chiesa vanno ricordate: la pala dell’altare maggiore di San Nicola, un’ edicola marmorea del 1512, una fonte battesimale del secolo XVI; la pala dell’altare maggiore con Maria, San Pietro e San Paolo, i Santi titolari della chiesa rappresentati in busti marmorei del secolo XIV, posti in facciata, in altri due busti del secolo XIII posti sotto l’edicola del 1512, e ancora da altri due posti sull’arco del transetto.Peculiarità della chiesa è la decorazione sobria, seppur ricca di marmi e variopinti, e l’arco del transetto che riecheggia, nel motivo della serliana, il Ninfeo Bramantesco, parte del giardino colonnese posto fuori le mura di porta romana, nonché le serliane del tiburio della chiesa della Maddalena di Caprinica Prenestina, anch’esso attribuito al Bramante.

(entrata principale della chiesa di San Paolo)

Capranica Prenestina

 

 

Capranica Prenestina, a 915 s.l.m, è un paese dei Monti Prenestini che, poco conosciuto rappresenta una notevole riserva di verde per la presenza di vaste pinete, abetaie boschi di faggio,castagno e querce. Situato in un piacevole e tranquillo paesaggio, Capranica Prenestina è una meravigliosa meta turistica che consente, a soli 50 chilometri da Roma,soggiorni distensivi e rilassanti .Il piccolo borgo è arroccato con le sue casette e le sue stradine ripide e silenziose.

Il museo civico naturalistico;

Il Museo Civico Naturalistico dei Monti Prenestini, inaugurato il 16 giugno 2001, è inserito nell’Organizzazione Museale Regionale (O.M.R.), nel Sistema Museale Tematico RESINA ed ha ottenuto il Marchio di Qualità, riconoscimento premiante per i servizi culturali museali di qualità. All’interno del Museo è stato creato un giardino laboratorio con piante e animali del luogo, osservabili nel corso della loro crescita del loro sviluppo, della loro integrazione. Questo centro di eccellenza, in costante attività, si propone come punto di riferimento ideale per le escursioni nel territorio, attraverso una sentieristica specializzata ed appositamente attrezzata.

La chiesa di S .Maria Maddalena;L’attuale chiesa, dedicata a Santa Maria Maddalena, è frutto di varie ricostruzioni, ma conserva ancora intatta la testimonianza della sua prima fase costruttiva nel campanile, risalente alla prima metà del XV secolo, fatto erigere da papa Martino V (Oddone Colonna). Esso è alto 17 metri, a pianta quadrata, con tre ordini di finestre, bifore nel primo e nel secondo e monofore nel livello terminale, dove sono collocate le campane. La copertura del campanile è schiacciata e coperta con coppi. La torre campanaria risulta di diverso orientamento rispetto alla chiesa e ciò fa presumere l’esistenza di una costruzione diversamente orientata rispetto a quella attuale .L’elemento dominante della chiesa è l’imponente cupola definita dal Bossi come “l’elemento più bello e caratteristico” dell’edificio. E’ una costruzione rotonda, a doppia calotta, traforata da un elegante loggiato costituito da sette arcate il quale lascia un passaggio di circa un metro. Dall’arcata centrale, nel lato posteriore della chiesa, sporge un balcone a guisa di tabernacolo, costituito da due colonne corinzie che sorreggono una trabeazione. Le altre arcate si adornano di una trifora ad omega, del motivo della cosiddetta serliana, costituita da due colonne intermedie (corinzie e doriche) che portano gli architravi terminanti in alto le aperture laterali e l’arco dell’apertura mediana e concentrica agli archi è tutta una serie di fori rotondi che formano una corona .La parte inferiore della trifora è occupata da un davanzale a balaustra che corrisponde ai piedistalli delle colonne e che appoggia su di un robusto cordone di pietra. In alto il loggiato termina con una forte cornice a mensole

 

La chiesa rurale della Madonna delle Fratte; E’ questo il Santuario dedicato alla Madonna delle  Fratte: semplice e rozzo nella sua linea architettonica,  costituisce, tuttavia, il centro della devozione mariana  capranicense. Apparentemente, la piccola chiesa  potrebbe sembrare priva di ogni interesse storico;  all’incontro v’è da ritenere che tra le sue vecchie pietre  sia nascosto il silenzio di oltre quattro secoli.

L’antico tempietto, nella sua parte originaria, è di epoca assai remota, presumibilmente  della prima metà de secolo XVI, Originariamente dedicato a S. Leonardo, venne successivamente intitolato alla  Madonna delle Fratte.

La chiesetta venne restaurata ed ampliata intorno al 1741;  L’antica Sacra Immagine,  mutilata a seguito degli eventi bellici del 1944, venne  nuovamente dipinta su tavola dal prof. Giovanni. Battista Conti di Roma nel 1947 e  collocata nell’odierno santuario l’11 aprile dello stesso anno

Il 3 settembre 1971 , a seguito di  raschiature praticate sulla parete di fondo del tempietto, è venuto in luce un antico  affresco, di cui è rimasto solo un frammento, che ritrai l faccia del Bambino Gesù in  atteggiamento di abbandono sul petto della Vergine Madre.

             San Rocco con il cane e il pane

In tutta l’iconografia san Rocco, è rappresentato con il cane Oreste o Reste.Reste è di una generosità inarrivabile perché dalla sua bocca porge a san Rocco un piccolo pezzo di pane, un panino. In tempo di peste e carestia Reste, secondo il racconto, addirittura ruba il pane dalla tavola del nobile Gottardo Pallastrelli, padrone della muta alla quale il cane appartiene, e lo porta a san Rocco capovolgendo la regola secondo la quale è l’uomo che dà da mangiare all’animale.
Il nobile Gottardo, incuriosito dal modo di fare di Reste, scoprirà san Rocco e ne resterà a sua volta affascinato tanto da diventarne discepolo. Il rapporto tra Reste e san Rocco evidenzia l’illimitata santità di Rocco che avvolge il creato e tutte le forme di vita.

Il palazzo Baronale: l’attuale palazzo sorge su antiche preesistenze di cui ancora si conservano testimonianze nella struttura interna, . Alcuni ambienti del primo piano, tra cui la cosiddetta “legnara”, mostrano, nelle mensole lignee che sorreggono i travi e nella porticina , di appartenere ad una costruzione più modesta , E’ invece al secondo-terzo decennio del XVI secolo che vanno riferite le finestre che rivelano la pura arte del medio rinascimento e che, nell’adozione delle mensole a voluta sorreggenti le cornici aggettanti, si richiamano direttamente all’opera di Donato Bramante , al quale del resto ci si riferisce anche per il progetto della cupola di Santa Maria Maddalena. Con la seconda fase costruttiva ci fu il completamento del Palazzo: venne edificato un terzo ordine di finestre , si definì il grande ingresso a bugnato sormontato dal balcone e si eseguì la bugnatura negli spigoli laterali e nella costruzione della gradinata di accesso. All’interno si costruì lo scalone ed il grandioso salone rettangolare. Addossata all’antico palazzo, è visibile la costruzione, tozza e robusta, di una torre di epoca incerta, eretta tra i sec. XVI e XVII. Il Palazzo conserva all’esterno la sua nobile struttura cinquecentesca, elegantemente articolata tra fitta tessitura calcarea bianca e membrature chiaramente definite mentre all’interno si presenta quasi totalmente ristrutturata.

La tradizione a tavola:

I piatti caratteristici del menù di Capranica Prenestina debbono il loro successo ai prodotti che si trovano in natura nella zona dei Monti Prenestini: funghi, cicoria, ricotta, castagne, ecc. Provate a richiedere alcuni piatti con il curioso nome locale che affianca la traduzione italiana! Innanzitutto gli antipasti: salsicce, prosciutti e formaggi di pecora e di capra fatti a mano dai contadini e dai pastori. I primi piatti: la polenta di farina di granturco, gli gnocchi, le fettuccine fatte a mano condite con un delizioso sugo di funghi porcini, i ravioli con la saporita ricotta di pecora e le “lane pelose” (andremmappa), la pasta tipica locale (larghe fettuccine fatte con crusca di farina e acqua, tagliate o strappate a mano) condite con il sugo di castrato. Per i secondi piatti si va dalle salsicce locali alla brace, all’abbacchio alla “scottadito”, a tutte le carni arrostite nel forno a legna. Una particolarità della zona sono i funghi: il posto di prestigio spetta ai porcini (ammaracci), ottimi e copiosi nei boschi di Capranica, soprattutto nei castagneti, ma sarà gustoso assaggiare gli ovoli (velocce), i galletti (valuzzi), cucinati soprattutto per il sugo della pasta, i prugnoli (spinaroli), la famigliola (funghi di quercia), i prataioli (prataroli), in quantità nelle praterie e di cui quelli bianchi si condiscono ad insalata. Sotto la neve, si nasconde l’agarico geotropo (spinarolo invernale), scovato dagli appassionati che non rinunciano ai funghi neanche d’inverno.

 

Le sagre;

E’ proprio il suo prodotto più tipico, la “Mosciarella” ,la cui lavorazione si tramanda nei secoli con la forza di una scelta radicata nel tempo, ad essere  legato alle castagne. Ancora download (7)oggi si lavora la castagna facendola essiccare mediante un processo lungo, un vero e proprio rito che si ripete seguendo la tradizione antica. La Mosciarella ogni anno viene celebrata a novembre con una grande festa, in cui tutti possono assistere al processo di trasformazione della castagna in mosciarella: dalle “casette” per l’essiccazione alla compressione e la battitura.

 

GUADAGNOLO:

 Sopra un’enorme roccia calcarea  sorge Guadagnolo, centro abitato più alto del Lazio. La montagna, qui è caratterizzata da varietà botaniche così uniche, da essere inserite nella carta regionale del Lazio, fra gli ecosistemi da salvaguardare e si innalza solitaria e maestosa verso il cielo, coronata da formidabili rupi alpestri.  Il villaggio secondo una prima tesi, sarebbe infatti nato all’epoca delle incursioni barbariche, quando i romani, fuggiaschi, si sarebbero stanziati nei pressi di un antichissimo fortilizio del quale restano solo i ruderi di una torre precedente il V secolo. secondo altre tesi, invece, il nucleo originario sarebbe stato costruito dai contadini che lavoravano le terre di appartenenza dei Monaci del Santuario, come avvenne negli antichissimi Monasteri di Cassino, di Subiaco e vari altri luoghij, il nome Guadagnolo deriverebbe dai piccoli guadagni che locandieri ed osti ricavavano dai pellegrini che si recavano a visitare il Santuario della Mentorella.A metà del XII secolo, Guadagnolo, insieme alla vicina Poli, vennero ceduti da Oddone III alla celebreimages (5) famiglia Conti che ne rimase in possesso per 6 interi secoli finché, nel 1.808 passarono per eredità alla famiglia dei Duchi Sforza Cesarini e, da quest’ultima, nel 1.820, alla famiglia Torlonia. La connessione a Poli, formalizzata nel 1.826, prosegue fino al 1.930, quando con il passaggio al Comune di Capranica Prenestina, ne divenne una parte integrante che, dall’alto della sua collocazione, contribuisce ad impreziosirne il territorio e ad arricchirne il patrimonio storico-artistico.Proprio sulla sommità del paese si ergeva infatti l’antica Chiesa di S.Giacomo Apostolo a pianta rettangolare, divisa da due archi a tutto sesto, con il soffitto a cassettoni verdi e rossi al cui interno, era collocato un’affresco cinquecentesco rappresentante la Madonna, S.Sebastiano ed altri Santi. Purltroppo nel 1.950, nonostante le richieste di restauro da parte della comunità di Guadagnolo all’ora governo, il decadimento prodotto dalla pioggia e dall’umidità, ne determinò il crollo. Successivamente fu costruita una nuova Chiesa dedicata a San Giacomo Apostolo situata all’entrata del piccolo borgo prima di arrivare nella principale piazza detta un tempo del SS. Salvatore.L’opera di maggiore pregio storico-artistico, resta  comunque il Monumento al Gesù Redentore sorto  su proposta dello storico Monsignor Giuseppe  Cascioli per opera dello scultore Raffaele  Zaccagnini, che lo eseguì in pietra locale, Inaugurato  nel 1.903, già nell’immediato dopoguerra, il  monumento era in pessime condizioni. Nel 1.921 la  testa della statua, abbattuta da un fulmine, venne  conservata sulla base della stessa, nella cappelletta

 

Il santuario della Mentorella;

Sulla cima di una rupe che cade a picco sulla valle di Giovenzano sorge il Santuario della Mentorella. La chiesa, dedicata alla Beata Vergine, si dice che sia stata edificata dall’imperatore Costantino e consacrata da papa Silvestro I. La leggenda intorno alla nascita della chiesa è, come accade spesso, intrecciata alla realtà storica dell’epoca e si arricchisce di fascino e mistero. Il nome Mentorella ha, secondo gli studiosi, diverse origini, tra cui riportiamo le due più plausibili: dalla Torre Morella, fortilizio altomedioevale non più esistente; dal generale goto Wult, che convertitosi al Cristianesimo a Montecassino si ritirò successivamente in questo sito, che da lui trasse il nome il Wultvilla, volgarizzato, attraverso vari passaggi , in Vulturella e poi Mentorella. La storia del sito si accompagna con quella di Guadagnolo; il Santuario fu proprietà dei Monaci di Subiaco fino al tardo secolo XVI, quando lo lasciarono e ad essi subentrarono i Gesuiti. Diversi gruppi vengono  per passare la giornata in preghiera e meditazione approfittando  dell’aria buona e del silenzio che aiuta a stare tra le braccia della  Madre e ricaricarsi per affrontare la vita, tornando a casa pieni di  pace e della Grazia di Dio. Sono stati realizzati diversi restauri  della chiesa e della struttura del convento con i servizi nuovi per  meglio servire i pellegrini. Il Santuario è stato Durante il Grande Giubileo del 2000 la mèta dei  diversi pellegrinaggi giubilari delle parrocchie, vari gruppi religiosi e laici, le associazioni di  vario genere. Il tempo del Grande Giubileo è stato, come 100 anni fa, di aiuto nella  preparazione del Centenario dell’Incoronazione della statua della Madonna delle Grazie  della Mentorella.

Tradizioni

Nel paese di Guadagnalo è ancora molto praticato l’allevamento di bestiame come : mucche,pecore e capre.  Il latte derivato da questi animali viene ancora oggi trasformato a mano ,in ricotte e formaggi dai vecchi pastori.

LE SAGRE

La lumaca è un mollusco dotato di carni tenere, con pochi grassi e con un livello proteico analogo a quello del pesce. Le lumache rientravano già nell’alimentazione umana ai tempi dei romani ed erano sicuramente utilizzate anche durante l’epoca medievale. La convinzione che le lumache siano difficili da digerire è legata in realtà alle salse e agli intingoli che vengono utilizzati abitualmente per prepararle; di per sé, infatti, la loro carne non presenta problemi di digestione. Prima di preparare una pietanza a base di lumache è indispensabile lavarle bene con acqua e aceto (un 20% di aceto bianco) e bollirle; una volta lessate possono essere conservate in congelatore.

Sagra della braciola di pecora;

Tradizionale braciola di pecora, cotta alla brace con legna di faggio, acero e quercia. Viene servita con un buon bicchiere di vino.

 

 

 

Capranica Prenestina is a small village on the mountains Prenestini with an altitude of 915m.on the sea level. This village has many forests of beech, chestnut and oak trees. Situated in a peaceful landscape, Capranica Prenestina are of the most important tourist destinations near Rome.

The natural Civic Museum ;

The Museum was inaugurated in June 2001, it is part of the Organization Regional Museum.

Inside you can appreciated garden with local plants and animals.

Church Santa Maria Maddalena;

Dedicated to Santa Maria Maddalena, the church was built in the 15 century.

The rural church of  the Madonna delle Fratte;

This church dedicated of Madonna delle Fratte is a simple church, and it is the center of Marian Capranicense devotion.

The Barional Palace;

The present building  stands on ancient pre-existing structures of which are still preserved evidence in the internal structure.

The tradition at the table;

The particular Capranica’s menus are most know for the genuine products like: porcini mushrooms, chicory, ricotta cheese, chestnuts, considered basic ingredients for preparing tasty dishes as appetizers you can have try homemade sausages, sheep cheese made from the shepherds.

As main courses you can have polenta cornmeal and homemade gnocchi, seasoned with tomato sauce.

Festivals;

The most typical product is the “Mosciarella”: it is a country festival celebrated during the half of November. It refers to a chestnut that is dried during a long process that is refer to the  following an ancient tradition.

Guadagnolo

Is the highest mountain in Lazio where you can have an amazing new of the place. The original center was built by peasants who worked the land belonging to the Monks of the Sanctuary

The Mentorella Sanctuary;

The church, dedicated to Beata Vergine, was built by Costantino and consecrated by Pape Silvestro. The sanctuary was owned by the monks of Subiaco until the late sixteenth century, when they gave it to they Jesuits. Nowadays it is a place where you can go and pray and medidate on the meaning of life.

Taditions;

In the village of Guadagnolo is still widely practiced livestock such as cows, sheep and goats. The milk made from these animals is still turned the necessary ingredient to make ricotta and other cheese for shepherds.

Menù Capranica Prenestina

Appetizers :

Sheep cheese and typical cured meat.

First courses:

Ravioli stuffed with ricotta cheese and spinach: fresh pasta seasoned with tomato meat sauce.

Fettuccine with local porcini mushrooms.

Main courses:

Sausages and grilled steaks.

Lamb “scottadito”

Side dishes:

Sauteed chicory.

Desserts:

Red wine Donuts.

Liquors:

A large choice of varied liquors.

Wines:

“Cesanese” di Olevano

Capranica Prenestina, est située à 915 m. Sur le niveau de la mer, est un petit village des Monts Prenestini. Capranica Prenestina est une belle destination touristique près de Rome avec des séjours apaisants et relaxants.

Le musée civique naturel;

Le musée civique naturel des Monts Prenestini, Ouvert le 16 juin 2001,  est inséré au sein de l’Organisation des Musée Régional (O.M.R.).

À l’intérieur du musée, a été créé un jardin de laboratoire avec des plantes et des animaux locaux observés au cours de leur croissance, de leur développement et de leur intégration.

Église de S.Maria Maddalena;

L’église actuelle, dédiée à Sainte Marie-Madeleine, est le résultat de plusieurs restaurations, mais elle conserve intacte le témoignage de sa première phase de construction. Elle  est de 17 mètres de haut, avec un plan carré, où les cloches sont situées. L’élément de l’église dominante est l’impressionnant dôme défini par Bossi comme “l’élément le plus beau et caractéristique” de l’immeuble.

Eglise de Madonna delle Fratte;

C’est le Sanctuaire dédié à la Madonna delle Fratte: simple dans son style architectural est, cependant, le centre de Capranica pour la dévotion mariale. L’ancien temple, dans sa partie originale, est très ancien, vraisemblablement de la première moitié du XVIe siècle, à l’origine consacré à Saint-Léonard, a été plus tard consacré à la Madonna delle Fratte. Le 3 septembre 1971, à la suite des effacements pratiqués sur la paroi arrière du temple,  est apparue  une fresque ancienne dont nous n’avons qu’un fragment, qui répresente le visage de l’Enfant Jésus dans l’attitude de repos d’abandon sur la poitrine de la mère.

Le Palazzo Baronale;

L’édifice actuel se dresse sur des anciennes structures préexistantes qui sont encore des preuves préservées dans la structure interne. Et «plutôt à la deuxième à la troisième décennie du seizième siècle, qui devrait être des fenêtres qui révèlent l’art de la Renaissance. Avec la deuxième phase de construction il y a l’achèvement du Palais.

La tradition à la table:

Les plats typiques de la Capranica Prenestina doivent leur succès aux produits qui se trouvent dans la nature dans la région Prenestini champignons, chicorée, fromage ricotta, châtaignes, etc.

D’abord les entrées: saucisses, jambons et fromages faits à la main de mouton et de chèvre faits par des fermiers et des bergers. Les plats principaux farine de maïs de polenta, gnocchi, fettuccine fait à la main condis d’une délicieuse sauce aux champignons porcini, raviolis à la ricotta savoureuse et la «laine velue», les pâtes locales typiques (fettuccine large faite de farine et de son d’eau, à la main) assaisonné à la sauce de mouton. Pour les deuxièmes plats, allant des saucisses grillées locales, all’abbacchio les «côtelettes», à toutes les viandes grillées dans un four à bois. Une spécialité de la région sont les champignons: le lieu de prestige est le porcini (ammaracci), excellent et abondant dans les forêts de Capranica, en particulier dans la châtaigne, mais il sera délicieux pour goûter les ovules (velocce), chanterelles (valuzzi) Cuit surtout pour la sauce à pâtes, l’aubépine, la petite famille (champignons de chêne), les champignons (prataroli), en quantités dans les prairies et où les blancs sont assaisonnés de salade. Sous la neige, il est caché l’agaric géotropique (chien d’aigrette d’hiver), découvert par les amateurs qui ne renoncent pas aux champignons, même en hiver.

Festivals;

C’est seulement son produit le plus typique, “La Mosciarella”, dont le traitement a été transmis au cours des siècles avec la force d’un choix enraciné dans le temps, pui peut  être lié à des châtaignes. Aujourd’hui, ou travaille  la châtaigne séchée par un long processus, un vrai rituel qui se répète en suivant l’ancienne tradition. La  Mosciarella chaque année est célébrée en novembre avec une grande fête, où chacun peut assister au processus de transformation de la châtaignier à mosciarella: les «petites maisons» pour sécher compressif et battre.

                                                                GUADAGNOLO

Au-dessus d’un énorme rocher calcaire se dresse Guadagnolo, le village le plus haut du Latium. La montagne ici est caractérisée par des variétés botaniques uniques pour être inclus dans la carte régionale du Latium, parmi les écosystèmes à protéger et se lève solitaire et majestueux vers le ciel, couronné par formidable falaises alpines. Le village selon une premiere thèse, serait en effet né au moment des invasions barbares, quand les Romains, fugitifs, se sour refrigiés près d’une ancienne forteresse près des ruines d’une précédente tour du cinquième siècle. Le nom de Guadagnolo vient des petits gains que les aubergistes et les hôtes ont pris les pèlerins qui sont venus visiter le Sanctuaire de Mentorella.

Le sanctuaire Mentorella;

Au sommet d’une falaise qui tombe en pente sur la vallée de Giovenzano se trouve le Sanctuaire de la Mentorella. L’église, dédiée à Notre-Dame, aurait été construite par l’empereur Constantin et consacrée par le pape Sylvestre  I. Le sanctuaire appartenait aux moines de Subiaco jusqu’à la fin du XVIe siècle, quand ils sont partis et ils ont été suivis par les jésuites . Plusieurs groupes vour passer la journée dans la prière et la méditation pour  profiter de l’air et de silence.

Traditions;

Dans le village de Guadagnolo  est encore largement pratiqué l’ élevage du bétail comme les vaches, les moutons et les chèvres. Le lait dérivé de ces animaux est toujours transformé à la main pour produire le  ricotta et d’autres fromages des vieux bergers.

Fête du mouton haché;

Côtelettes de mouton traditionnelles, cuites au gril sur du hêtre, de l’érable et du chêne. Il est servi avec un bon verre de vin.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Entrée ;

Fromage de mouton, de chèvre et charcuterie typique du lieu.

 

Primi piatti ;

« Ravioli » farcis au fromage et aux épinards de mouton : pâtes fraîches, farcis avec de fromage cottage et épinards assaisonnés avec du ragoût.

 

Fettuccine au champignons porcini : fettuccine assaisonnés avec de sauce aux champignons typique.

 

Plât de resistance ;

Saucisses et steaks au barbecue.

Agneau « scottadito ».

 

Contour ;

Chicorée faire sauter.

 

Dessert ;

beignets avec du vin rouge.

 

Liqueurs ;

une large choix de liqueurs typiques.

 

Vins ;

« Cesanese di Olevano ».